Imperfetta chirurgia
di Valentina Anzani
Nonostante i promettenti presupposti, delude l’allestimento di Il labbro della Lady, la nuova commedia lirica con musica di Carlo Galante e libretto di Stefano Valanzuolo.
Modena, 22 novembre 2015 – Il soggetto della nuova commedia lirica di Carlo Galante è la divertente e surreale storia della vendetta di un marito ai danni della moglie e dell’amante di lei. La punizione è alquanto strana: ingannare il seduttore, che di mestiere è chirurgo plastico, facendogli a sua insaputa iniettare tanto silicone nel labbro dell’amante da sfigurarla. Da qui il titolo, Il labbro della Lady, tratto da Stefano Valanzuolo dal gustoso racconto breve di Arthur Conan Doyle Il caso di Lady Sannox. Il materiale da sviluppare sarebbe interessante e variegato: la comicità intrinseca, la morale filosofica, i temi dell’amore vero contrapposto all’egoismo, la natura umana, la vendetta. Ciononostante, nulla di tutto questo emerge dallo spettacolo in scena in prima assoluta al Teatro Comunale Pavarotti di Modena, che si è rivelato deludente sotto troppi aspetti, a partire da quello visivo. Le premesse sono infatti quelle per uno spettacolo allegro e leggero, insaporito da una vena di spavento verso il finale, ma l’impostazione registica di Stefania Panighini ha tanto calcato la mano sugli aspetti comici da ottenere un risultato per lo più sgraziato e buffonesco. La regista dichiara poi nelle note di sala di volersi astenere da un giudizio morale, e con questo sembra giustificarsi quando priva l’insieme di una reale interpretazione: davanti agli occhi degli spettatori stanno delle figure statiche, chiuse nel proprio piccolo mondo. Negli arredi e nei costumi si ritrovano dettagli che sarebbero efficaci spunti di caratterizzazione, ma che perdono ogni significato perché non vengono valorizzati né dalla resa musicale né dalle azioni sceniche degli interpreti.
Il libretto, affidato alla stesura di Stefano Valanzuolo, non è particolarmente ispirato. Posticci sembrano soprattutto i continui richiami rimici sparsi tra le righe del testo in prosa. Così facendo l’autore deve optare il più delle volte per termini inappropriati e frasi che risuonano malassortite: nulla da dire se all’atto pratico la scelta si rivelasse un espediente espressivo, ma così non accade e non fa che rendere claudicanti e goffi i dialoghi.
Di altra natura è il discorso sul materiale musicale. La scuola da cui esce Galante non è certo votata al rispetto di regole convenzionali, ma è anzi aperta alle nuove sperimentazioni: l’autore, senza costrizioni di tonalità, ritmo e stile, può decidere liberamente degli strumenti espressivi di cui dispone. L’ensemble strumentale, diretto da Carlo Boccadoro, è di organico ridotto, ma ha tutto quello che serve: pochi archi (violino, violoncello), altrettanti fiati (clarinetto e flauto), pianoforte e percussioni. Quello che l’autore ne fa (tappeto sonoro, evocazione acustica degli avvenimenti raccontati in scena) risulta inefficace però se non abilmente coniugato con ogni altro elemento dell’allestimento. Il trattamento del testo cantato è forse la pecca maggiore di questo lavoro: quando non ci sono più regole compositive date da un canone stilistico o di tradizione, l’autore può scegliere le forme di cui servirsi per il proprio personalissimo carattere espressivo. Le strade che può percorrere sono tutte quelle che vuole permettersi di seguire; molte di queste forse non saranno immediatamente comprensibili, ma nessuna potrà dirsi inefficace a priori a patto che, una volta intrapresa, questa sia veicolo di un messaggio. Non è accaduto nel caso di questo allestimento, per il quale la linea vocale era sciorinata in una totale assenza di inflessioni o accenti, ridotta a un semplice succedersi ripetitivo e innocuo di parole intonate. I tre cantanti – il soprano Francesca Tassinari nel ruolo di Lady Sannox, il tenore Mirco Guadagnini, indisposto ma comunque coraggiosamente sulla scena, nel ruolo del chirurgo plastico Narciso, e Matteo Ferrara, basso, nel ruolo di Lord Sannox – si sono dovuti confrontare, senza poterne trar partito, con un materiale musicale arduo e dalla difficile scrittura. Ai tre è aggiunta la voce recitante di Tony Contartese, giornalista che racconta il fatto di cronaca come narratore esterno: l’amplificazione microfonica di cui era dotato non ha fatto altro che dare un senso di straniamento in più alla già instabile rappresentazione.
I meriti dell’autore sono ben noti: gli entusiasmi che aveva suscitato con Tempesta al Teatro Regio di Torino nel 2006 facevano ben sperare per la nuova esperienza di teatro d’opera. L’attesa è per la sua prossima prova.
Foto Rolando Paolo Guerzoni