L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Joan in Italia

di Marco Guardo

Nel decennale della scomparsa del grande soprano, che ricorre il 10 ottobre 2020, ripercorriamo le tappe italiane della carriera di Joan Sutherland, fra trionfi, tumulti, incomprensioni e omaggi.

Foto 1 - a Venezia

Foto 1 - a Venezia

Quando Joan Sutherland, nel 1960, approdò nella veneta laguna per il debutto italiano (foto 1) al Teatro La Fenice nell’haendeliana Alcina, la cantante australiana vantava già quasi quindici anni di carriera.  I primi cinque la vedono nella natia Sydney, dove, avviata al canto dalla madre Muriel e studentessa al Conservatorio con Aida Dickens, muove i primi passi su un terreno che sarà particolarmente congeniale alla sua vocalità, quello del Barocco e del Settecento: Bach (Oratorio di Natale), Purcell (Dido and Aeneas), Haendel (Aci e Galatea, Samson, Messiah), Arne (Judith). Gli anni londinesi (nel 1951 la Sutherland si perfeziona con Clive Carey) sono segnati da scelte di repertorio che per diverso tempo mostrano una voce alla difficile ricerca di un ubi consistam: a cominciare già dai due esordi del 1952 presso il Royal College of Music, prima con All at Sea di Shaw, poi con il Tabarro pucciniano. 

 

Seguirà, sempre nel 1952, l’esordio al Covent Garden come Prima Dama nella Zauberflöte, iniziale approccio mozartiano, al quale seguirà il ruolo della Contessa di Almaviva delle Nozze di Figaro, cantato l’anno successivo. Il primo lustro londinese, come si è accennato, disegna una carriera ondivaga: la Sutherland affronta più volte ora ruoli minori (Clotilde nella Norma con la Callas, la Sacerdotessa in Aida, prima con la Callas, poi con la Stella, Frasquita in Carmen), ora decisamente più impegnativi (Amelia nel Ballo in maschera e la stessa Aida), ora, infine, quelli wagneriani (Helmvige, Woglinde e addirittura Brangania), senza tralasciare la musica operistica contemporanea (Gloriana di Britten e The Midsummer Marriage di Tippett). Incominciano tuttavia a trovare spazio anche parti più adatte alla sua organizzazione vocale, che intanto si affina e meglio si delinea grazie ai buoni uffici del marito Richard Bonynge: Agathe nel Freischütz, Lucinda nella Buona figliola, Antonia e Olympia nei Contes d'Hoffmann, Micaela in Carmen, Pamina nella Zauberflöte, Eva nei Meistersinger von Nürnberg.

Senza ombra di dubbio è il 1957 l’anno nel quale Joan, ormai in piena virata verso il repertorio lirico di agilità, inizia a sbalordire il pubblico inglese grazie al supremo magistero tecnico: ne sono prova alcuni debutti (Alcina, Gilda e la donizettiana Emilia di Liverpool), non disgiunti da incursioni nella musica del Novecento (nel 1958 sarà Madame Lidoine nei Dialogues des Carmelites). Il trionfo riportato al Covent Garden nel 1959 nella Lucia di Lammermoor (dirige Serafin, ne è regista Zeffirelli) è pertanto l’ultima, felicissima, tappa di un percorso iniziato oltre dieci anni prima, puntualmente materiato da studio assiduo e disciplina ferrea.

Torniamo, allora, in Italia, e in particolare all’Alcina veneziana (foto 2-4), quando la Sutherland, reduce dall’esordio londinese nella Traviata, varca la soglia della Fenice “a miracol mostrare” grazie a un virtuosismo trascendentale, come rileva Abbiati: “ […] voce di soprano certamente impressionante sul piano tecnico ed espressivo, e artista senza fallo eccezionale e forse appena paragonabile, per la rara completezza dei mezzi, alla nostra Callas” («Corriere della sera» del 20 febbraio 1960).

Foto 2 - Joan Sutherland è Alcina

Foto 2 - Joan Sutherland è Alcina

Foto 3 - Joan Sutherland è Alcina

Foto 3 - Joan Sutherland è Alcina

 Foto 4 - Joan Sutherland è Alcina

Foto 4 - Joan Sutherland è Alcina

 

Ancora una volta lo spettacolo è affidato alla regia di Zeffirelli, il quale pone la maga ariostesca su un trono che sorge da una roccia tempestata di diamanti. Come osserva Gina Guandalini, “Alcina-Joan è un’incantatrice preziosa, avvolta in veli e broccati, con diademi che scintillano al minimo movimento, e si muove tra gigantesche cornucopie di frutti e conchiglie spalancate, chiari simboli erotici”. (Per inciso, siede al cembalo Bonynge, che indossa un costume d’epoca, con parrucca bianca, calzoni al ginocchio e calze di seta).

Da Venezia la Sutherland vola a Palermo per una trionfale Lucia, nell’edizione zeffirelliana, sempre diretta da Serafin e cantata insieme con Raimondi e Panerai: a proposito della prima, seppi da un parente che dopo la scena della pazzia il pubblico del Teatro Massimo, dalla platea al loggione, diede vita a un coro da stadio (foto 5). Il giorno successivo la cantante si reca a Catania, dove visita la Casa di Bellini, lasciando una sua fotografia con dedica: “Al Museo Bellini con devozione” (foto 6).

Foto 5 - Joan Sutherland Lucia a Palermo

Foto 5 - il trionfo al Teatro Massimo di Palermo

Foto 6 - dedica a Vincenzo Bellini

Foto 6 - dedica a Vincenzo Bellini  

 

Il mese dopo la Sutherland porta in tourné la Lucia zeffirelliana a Genova, questa volta con la direzione di Rescigno, e l’anno successivo a Venezia, dopo aver cantato a Palermo nei Puritani (la cui regia reca ancora la firma di Zeffirelli) con Raimondi, diretta da Serafin (foto 7-8); lo spettacolo sbarca successivamente a Genova (foto 9) con altro direttore, Rescigno, e altro tenore, Filacuridi. Siamo alle soglie del trionfale debutto scaligero in una Lucia che questa volta non porta la firma di Zeffirelli, sempre con Raimondi e con a fianco Bastianini (dirige Votto). Segue un altro strepitoso esordio scaligero, la belliniana Beatrice di Tenda (foto 10), che la Sutherland, insieme con la Horne, ha già trionfalmente collaudato a New York circa tre mesi prima, in forma di concerto (a Milano la parte di Agnese è sostenuta invece da una giovane Kabaiwanska, “promettentissima artista” a giudizio di Montale). La Beatrice scaligera avrebbe dovuto essere diretta da Gui, il quale intendeva presentare al pubblico una nuova versione del finale, che priva Beatrice della cabaletta, sostituita da una parte corale. La filologia di Gui, fondata sul rinvenimento di alcune carte belliniane a Catania, cozza inevitabilmente contro l’estetica del belcanto difesa a spada tratta dalla Sutherland, fermamente decisa a non farsi scippare trilli e sovracuti con i quali accomiatarsi dal pubblico in delirio. Gui batte in ritirata (sostituito su due piedi da Votto) e due anni più tardi il direttore scriverà alla Gencer: “Alla Scala dove tutto era pronto per eseguire l’opera così i capricci della prima donna australiana furono messi avanti a ogni interesse artistico, e io me ne andai sbattendo la porta”.

Foto 7 - I puritani a PalermoFoto 7 - I puritani a Palermo Foto 8 - I puritani a PalermoFoto 8 - I puritani a Palermo

Foto 9 - I puritani a Palermo

Foto 9 - I Puritani a Genova

Foto 9 - I puritani a Palermo

Foto 10 - Beatrice di Tenda alla Scala

Tra gli spettatori corsi a udire il nuovo prodigio canoro vi fu Montale, che ritenne “l’esecuzione […] di gran classe, quale certamente Bellini non riuscì ad ascoltare dal vivo”. È straordinaria la sintesi con la quale il critico tratteggia le doti vocali della cantante australiana, non mancando di accennare ai provvidi consigli dati dalla Callas (“Forse, se non avesse incontrato la Callas, la signora Sutherland si sarebbe indirizzata, con successo, all’opera wagneriana, ormai a lei sconsigliabile”). Secondo Montale “di Beatrice Joan Sutherland fa una grande creazione […]. Dotata di una voce perfetta, robusta anche nel centro, di un portentoso virtuosismo nel canto di coloratura, di un’arte scenica considerevole, questa artista non ha certo, oggi, rivali in parti che come Norma, Beatrice e Lucia richiedano un doppio registro”, auspicando a ragione “un ulteriore addolcimento della pronunzia italiana”, costante punctum dolens del soprano.

Non diversamente Franca Cella, secondo la quale l’estetica del soprano “pare più quella barocca del simbolismo belcantistico […] che quella romantica di Giuditta Pasta”, mette il dito nella piaga a proposito della registrazione dal vivo: “Che la pecca della Sutherland sia il non rapporto con la parola è cosa nota. Basta il recitativo iniziale, con l’agitarsi del suggeritore mentre lei s’avvia, impassibile, a scombinar vocaboli, e il procedimento assurdo delle frasi recitate a puzzle. La sua logica è esecutiva più che interpretativa”. Anche Celletti muoverà appunti analoghi recensendo l’edizione discografica della prima Norma del 1964 (“Sul piano vocale, Joan Sutherland è la migliore Norma della storia del disco […] sul versante elegiaco virtuosistico [...] è la carta vincente. Ma in tutto il resto la cantante australiana è di un immobilismo psicologico addirittura glaciale. I recitativi, mai o quasi mai scanditi, sono di un’inerzia irritante […]. Quando la Sutherland canta, alludendo ai figli, Ed io li svenerò, vien fatto di pensare che non conosca il significato italiano della frase”) e della Semiramide del 1966 (“La Sutherland non ha il fraseggio largo e imperioso d’una regina guerriera. Nella scena 4 del I atto, allorché Semiramide impone agli astanti il giuramento d’obbedienza, la sua arringa potrebbe sì e no convincere un manipolo di boy-scouts”).

Dopo il “capriccio” scaligero un incidente analogo grava sul capo della Sutherland, che, lasciata Milano dopo l’ultima recita di Beatrice, nei giorni immediatamente successivi deve cantare a Venezia in Sonnambula con Kraus, diretta dal giovane Santi. Casus belli è il tempo di “Non è questa, ingrato core, non è questa la mercede”, che secondo la cantante è troppo lento. Joan prega il Maestro di staccare un tempo più veloce, invano: Santi è irremovibile. Dalla preghiera si passa alla discussione, poi alla protesta, al clamoroso abbandono del palcoscenico, al volo per Londra (la parte di Amina sarà sostenuta dalla Scotto). Attestano le cronache del tempo: “Furente, borbottando parole in lingua inglese rese incomprensibili forse dall’inflessione australiana, usciva dal palcoscenico, entrava nel suo camerino, si svestiva gettando il costume su una seggiola, si rivestiva con abiti da passeggio e andava a mangiare in una vicina trattoria” («l’Unità» del 26 maggio 1961). I due protagonisti non mancano di esprimere le proprie ragioni alla stampa: Santi, che pure accenna ai buoni rapporti con la cantante dopo l’incisione di un disco registrato a Parigi nel 1959 (Operatic Arias, vincitore del “Disco d’Oro”), ritiene che “la strana condotta della Sutherland sia una conseguenza del troppo lavoro negli ultimi tempi” e nel contempo dichiara che non si può “modificare la musica per avvantaggiare la sua voce”, sparandola poi grossa: “Se Bellini non conviene ai suoi mezzi vocali, al suo talento - ed è probabile, non essendo una cantante latina- lo tolga dal suo repertorio”. La Sutherland, di contro, deplora l’inflessibilità del direttore, del quale stigmatizza “la spiacevole abitudine di ridere continuamente; alla fine non ne potei più e me ne andai” («Corriere della sera» del 26 maggio 1961). Molti anni più tardi il soprano, nel volume autobiografico A Prima Donna’s Progress, dopo aver ricordato che la medesima questione del tempo si era posta con Santi anche durante le recite londinesi della Traviata, definirà l’incidente “spiacevole e farsesco”, e aggiungerà che il direttore l’aveva accusata, con la voce a bella posta alta così che ognuno sentisse, di aver accettato l’ingaggio solo per denaro.

Scoppia, come è prevedibile, uno scandalo, che non lascia estraneo Montale, il quale scrive un articolo intitolato Il «caso» Sutherland, recentemente ripubblicato da Luca Carlo Rossi. L’autore premette in primo luogo che il “caso di Joan Sutherland […] non ha alcuna analogia col gran rifiuto della Callas”, alludendo all’interrotta Norma romana del 2 gennaio 1958. “È una diva la signora Sutherland?” si chiede poi Montale, per rispondere che Joan è artista “descritta assidua alle prove, semplice nel tratto, lontanissima da ogni atteggiamento artificioso”. Ritornando poi alla Callas, il critico ritiene che “qualche brava licenza” se la prese pure lei, alla quale non mancò certo mai “la più o meno tacita approvazione, o tolleranza, di grandi direttori d’orchestra”. In buona sostanza secondo Montale, giacché “tutta la storia del teatro d’opera è una storia di esecuzioni infedeli, di arbitri, di licenze […], di cedimenti e di compromessi”, non si può non rimanere “in dubbio dinanzi alla tetragona fermezza del giovane maestro Nello Santi”.

La Beatrice scaligera è, dunque, l’ultima performance scenica della Sutherland in Italia nel 1961. Durante quell’anno il soprano registra due opere con un’orchestra italiana (Rigoletto e Lucia con l’Orchestra di Santa Cecilia); seguiranno nel 1962 La sonnambula e nel 1963 I Puritani e La traviata (tutte con l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino). L’anno successivo, dopo una sola recita di Lucia a Palermo, il soprano si esibisce per la prima volta a Roma al Teatro Eliseo in un concerto nell’ambito della stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, cantando arie dall’Alcina, dai Puritani e dall’Hamlet di Thomas; il programma di sala informa che “pur essendo suo abituale collaboratore al piano, prima d’ora Bonynge non aveva mai accompagnato la moglie in veste di direttore d’orchestra”. Segue di lì a poco il grande successo della Sonnambula alla Scala (foto 11), condiviso con Kraus, nel mitico spettacolo creato nel 1955 da Visconti per la Callas. Infine, dopo le rappresentazioni della Beatrice al San Carlo di Napoli, la Sutherland coglie due clamorosi trionfi scaligeri, che confermano la quintessenza della sua arte vocale, la suprema, elegante, “sprezzatura” di ogni insidia, di ogni difficoltà. Tra maggio e giugno, circondata da un cast stellare (Simionato, Cossotto, Corelli, Ghiaurov) è l’ineguagliata Margherita di Valois negli Ugonotti (foto 12), diretti da Gavazzeni, mentre nel dicembre è Semiramide con la Simionato (foto 13) e Raimondi, il quale ebbe a raccontare che alle prove non riusciva ad aprir bocca, senza fiato per la perfezione strumentale della collega. Non sarà male sottolineare che entrambe le opere da allora non sono più state rappresentate alla Scala per ragioni che si possono supporre.

Foto 11 - La sonnambula alla Scala

Foto 11 - La sonnambula alla Scala

Foto 11 - Gli Ugonotti alla Scala

Foto 12 - Gli Ugonotti alla Scala

Foto 13 - Semiramide alla Scala

Foto 13 - Semiramide alla Scala

 

Nel 1963, se escludiamo due recite di Semiramide nel mese di gennaio, la Sutherland non canta in Italia, mentre l’anno seguente si limita a una sola tappa scaligera (Lucia); è ancora assente nel 1965, e infine, nel 1966, interpreta, sempre alla Scala, Donna Anna, affiancata da Ghiaurov, Lorengar, Freni e Alva (dirige Maazel). Joan non metterà più piede alla Scala: non spetta a noi indagarne in questa sede le ragioni, pur se la vulgata tende a spiegare l’assenza nella volontà della Scala di non piegarsi a quella dell’illustre cantatrice, che avrebbe preteso sul podio l’inseparabile consorte. Fatto sta che la carriera scaligera è circoscritta a un solo, fulgido, lustro, e che la Scala si è privata di una delle più eminenti colonne della rinascita del belcantismo.

Sporadiche, negli anni successivi, le tappe italiane, che vedono Bonynge puntualmente a fianco dell’illustre consorte: nel 1968, a Firenze, la Sutherland canta Semiramide (foto 14), oggetto altresì di una registrazione RAI nel medesimo mese, e tiene un concerto dall’esito a dir poco trionfale, analogo a quello che otterrà quattro anni più tardi a Roma per la stagione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Dovranno passare sette lunghi anni prima che il soprano torni a esibirsi in Italia: la rentreé sarà ad Asolo nell’ambito di un festival di grande prestigio. Joan ha superato da qualche tempo la cinquantina e, a dispetto degli anni trascorsi, offre ancora una straordinaria lezione di belcanto, concedendo ben cinque bis (piace ricordare che alla generosità si somma la grande sensibilità, come attesta la foto che la ritrae con Bonynge, Giuseppe Pugliese e Attilio Zamperoni mentre si avvia al cimitero della cittadina per deporre un mazzo di fiori sulla tomba della Duse, foto 15).

Foto 14 - Semiramide a Firenze

Foto 14 - Semiramide a Firenze

Foto 15 - L'omaggio a Eleonora Duse

Foto 15 - L'omaggio a Eleonora Duse

 

Foto 16 - Lucrezia Borgia a Roma

Foto 16 - Lucrezia Borgia a Roma

Fortunatamente l’Italia non deve attendere molto per rivedere la Sutherland, che appena un anno dopo debutta all’Opera di Roma con Lucrezia Borgia (foto 16). Il soprano l’ha cantata il mese prima al Covent Garden e l’allestimento, fastoso e un tantino kitch, trasmigra a Roma. Il trionfo è da ricordare: al suo primo apparire in scena Joan è accolta da un tifo da stadio, che sfiora l’apoteosi al calare del sipario. “Certamente trent’anni di carriera non sono trascorsi invano neppure per la straordinaria voce australiana”, annota Gualerzi, elogiando il “virtuosismo che nell’aria di bravura conclusiva raggiunge ancora vertici trascendentali e francamente irresistibili” e precisando che la Lucrezia sutherlandiana “ignora tanto i magici incanti lunari di una Caballé quanto le frementi accensioni temperamentali di una Gencer” («Stampa Sera» del 16 maggio 1980). Ancora una volta la critica non manca di rimarcare che se la vittoria su scale cromatiche, trilli, picchettati e volatine è trionfale, di contro si assiste, come nota Celli, a un “impegnato combattimento con la lingua italiana” («Il Messaggero» del 17 maggio 1980). Ben più tranchant Zurletti: “[…] c’era lei […] con tutto il suo bagaglio di mugugni indecifrabili e di dentali sonore, col passo da canguro […], sopravvissuta al logorio della Jet-opera evidentemente solo grazie a un professionismo meraviglioso e a uno studio intensissimo” («La Repubblica» del 17 maggio 1980).

Durante il soggiorno romano Sutherland e consorte concedono una bellissima intervista a Gina Guandalini («Musica», settembre 1980). Tra i vari argomenti trattati ci limitiamo a ricordare la questione della libertà concessa ai cantanti: Bonynge racconta di avere chiesto a Serafin quale fosse il tempo giusto per la scena della pazzia dei Puritani, ottenendo la risposta: “È il tempo a cui la signora riesce a cantarla meglio”. Non manca, inoltre, l’annosa questione della lingua italiana, che chiude l’intervista con queste parole di Joan: “Ho un vocabolario molto vasto, ma è la grammatica che mi manca. L’altra sera ho provato a vedere quel film di Hitchcock in televisione, Lady Considine, ma non riuscivo a seguirlo…”).

 

 

 

 

Negli anni Ottanta la Sutherland si esibirà ancora in Italia: nel 1982 in un concerto a Venezia (al Teatro Malibran, presentata da Regina Resnik, collega di tante recite sin dagli anni londinesi) e in uno a Genova, dove l’anno successivo canta in Traviata al Teatro Margherita (foto 17-18). La serata si risolve in un tonfo clamoroso: se, come osserva Tedeschi, “Joan Sutherland […] è oggi una cantante che si salva con la tecnica prodigiosa” e “la sua Violetta si spegne, in realtà, dopo il primo atto”, nulla salva il tenore Furlan, “che stonando in libertà […] sbanda come un ubriaco sul ghiaccio”, dai muggiti del pubblico, che grida “Buffoni, andatevene!” («l’Unità» del 19 marzo 1983). Bonynge, all’allusivo cenno della consorte, abbandona il podio, la Sutherland il palcoscenico, rimpiazzata da Slavka Taskova Paoletti. Non si riesce però a sostituire il disgraziato tenore, che riapparendo in scena con la nuova Violetta, fa sbottare una voce ignota: “Ma è ancora lui!”.

Foto 17 - La traviata a Genova

Foto 17 - La traviata a Genova

Foto 18 - La traviata a Genova

Foto 18 - La traviata a Genova

 

Dopo il fiasco genovese (che il soprano nel volume autobiografico ascrive a oscure trame, minimizzando le pur vistose incertezze del collega), nessuno poteva sperare in una rentreé del soprano in Italia, giacché la stessa Sutherland aveva fatto sapere che non vi avrebbe più cantato. Vi torna, invece, cinque anni dopo, nel 1988, per un concerto di estremo impegno al Teatro Metropolitan di Catania in occasione del conferimento del “Bellini d’oro”. I brani eseguiti fanno tremare vene e polsi (si pensi solo che il concerto è chiuso dall’aria della pazzia di Ofelia e che i bis sono “Ah! non credea mirarti” e l’aria di agilità da Crispino e la Comare); il caldo è infernale, tanto che la cantante impiega a mo’ di ventaglio un foglio di spartito, scusandosi con il pubblico.

La Sutherland, che lascia le scene due anni dopo, sarà più volte in Italia come Presidente di concorsi di canto (a Spoleto nel 1999 e nel 2004) o per l’assegnazione di prestigiosi premi: nel 1999 a Vercelli per il “Viotti d’oro”; nel 2001 a Palermo in occasione del premio “Ester Mazzoleni. Una vita per la Lirica” (foto 19), conferitole per essere stata “carismatica restauratrice storica del Belcanto romantico, dai mezzi vocali prodigiosi a servizio di un vasto repertorio dai diversi stili”; nel 2007 a Bologna per la nomina a “Socio d’onore” dell’Accademia Filarmonica (assegnata anche a Bonynge) e per il premio “Siola d’oro”; ad Alcamo nel medesimo anno per il premio “Vissi d’arte-Città di Alcamo”.

Foto 19 - Premio Una vita per la lirica

Foto 19 - Premio Una vita per la lirica

Foto 20 - Siola d'oro

Foto 20 - La Siola d'oro

Ebbi la ventura di assistere all’evento bolognese, provvidamente allertato dall’amico Gabriele Bucchi. Fu veramente un giorno indimenticabile, scandito da varie tappe: l’ingresso della Sutherland e di Bonynge nella Sala Mozart di via Guerrazzi, la tavola rotonda, organizzata da Piero Mioli, dal titolo “Da Lina a Joan. In ricordo di Lina Pagliughi e per la visita bolognese di Joan Sutherland”, il rito degli autografi, con la Sutherland che lanciava divertita frecciatine sulle foto stampate dal computer, ree di alterare il colore dei suoi abiti, la serata di gala al Teatro Comunale, con il soprano intervistato da Gualerzi e la proiezione di un video di Pavarotti che porgeva il saluto affettuoso a Joan, sobbalzata sulla sedia e visibilmente commossa al vedere prostrato dal male il compagno di tante performance, sceniche e discografiche. Infine la cena all’Hotel Novecento, alla quale Mioli mi invitò con l’amico Gabriele (foto 20): la Sutherland vi giunse stanca ma sostenuta da un’ironia straordinaria. Davanti a un piattino lillipuziano con due sole tartine, portate da un giovanissimo cameriere, sussurrò al fanciullo, con un sorrisetto “Non sarà troppo?”. La scena non sfuggì al maître, che dopo fugace e silenziosa lavata di capo al ragazzo, fece portare un vassoio enorme, questa volta carico di tartine. Altro sorrisetto: “Adesso credo possa bastare”. Riuscii a intrattenermi per tutta la serata sia con Joan sia con Richard, i quali riuscirono darmi viva l’idea di quanto avevano più caro: il rigore, la disciplina, il rispetto dei colleghi, il lavoro di squadra, dunque una lezione di vita che si staglia scultorea oggi ancor più di ieri.

 

Bibliografia di riferimento

Franca Cella, L’opera (testo allegato Beatrice di Tenda, Fonit Cetra «Documents» DOC 15, 3 LP, registrazione dal vivo del 10 maggio 1961).

Rodolfo Celletti, Il teatro d’opera in disco, Milano 1976, pp. 34-35 e 403-404.

Norma Mayor, Joan Sutherland. The autorized biography, Boston 1994, pp. 249-289.

Eugenio Montale, Prime alla Scala, Milano 1981, pp. 345-347.

Luca Carlo Rossi, Montale e l’«orrido repertorio operistico» […], Bergamo, 2007, pp. 127-130.

Joan Sutherland, A Prima Donna’s Progress, London 1999, pp. 116-117 e 354-355.

Crediti fotografici

Le foto 2-4 sono pubblicate per gentile concessione della Fondazione Teatro La Fenice-Archivio Storico;

La foto 16 è pubblicata per gentile concessione della Fondazione del Teatro dell’Opera di Roma-Archivio Storico;

Le foto 9, 17-18 sono pubblicate per gentile concessione dell’Archivio storico e audiovisivo del Teatro Carlo Felice di Genova;

La foto 19 è stata pubblicata per gentile concessione dell’Associazione “Amici dell’Opera Lirica Ester Mazzoleni”.

Ringraziamenti

Ringrazio per l’aiuto nel corso delle ricerche archivistiche Salvatore Aiello, Gaetano Albergamo, Marina Dorigo, Alessandra Malusardi, Massimo Pastorelli, Paola Platania, Maria Pia Santoli.


 

 

 
 
 

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