Di rime sparse il suono

 di Andrea R. G. Pedrotti

La classe superiore di Ugo Pagliai impreziosisce con i versi di Dante il viaggio attraverso le suggestioni della Divina Commedia. Viaggio musicale, con Vittorio Bresciani concertatore efficace per Čajkovskij e Liszt; viaggio visivo, con la rielaborazione delle celebri illustrazioni di Doré. Viceversa, non si apprezza l'enfasi scomposta di Chiara Degani, che dà voce a Francesca e Beatrice.

VERONA, 17 gennaio 2016 - Torna la stagione sinfonia al Teatro Filarmonico di Verona, esattamente una settimana dopo l'ultimo appuntamento [leggi la recensione]. A differenza del concerto del 10 gennaio, tuttavia, siamo stati ben lieti di salutare il felice esito della una serata. DanteXperience nasce da un'idea di Vittorio Bresciani - coadiuvato alla regia da Gianluca Brigo - volta a narrare, con suoni, immagini e parole il peregrinare di Dante Alighieri nel mondo dei trapassati. I suoni erano affidati all'estro di Pëtr Il'ič Čajkovskij e Franz Liszt, le immagini ad alcune rielaborazioni delle illustrazioni di Gustave Dorè e le parole a quello dello stesso “Ghibellin fuggiasco” a 750° dalla nascita.

Lo spettacolo era stato presentato a Verona nella stagione 2013/14 al teatro Ristori e, pur avendo maggiore efficacia in uno spazio di ridotte dimensioni, non viene affatto disperso nell'ampiezza del Filarmonico.

La prima parte si costituiva della lettura del primo canto della Divina Commedia, affidato alla bella voce di Ugo Pagliai, attore dalla classe intatta nonostante il passare degli anni, il quale affronta il verso con tecnica e impostazione all'altezza del suo ricco curriculum di studi e esperienze teatrali. La metrica è rispettata e la narrazione - volutamente senza pause - è fluida ed espressiva. Le terzine e gli endecasillabi sono ben individuabili, senza che questi risultino in qualche modo asettici. La voce è sempre quella di Pagliai (d'altra parte Dante era una persona sola) e non vengono cercati mutamenti di colore nel leggere le parole di questo o quel personaggio, ma muta l'espressione, in merito al cambiamento emotivo, tramutando la lettura in verace narrazione.

Una bella lezione al teatro Filarmonico, spazio nel quale rammentiamo di aver ascoltato l'esiziale lettura del V canto dell'Inferno, prima dell'esecuzione della Francesca da Rimini – fantasia sinfonica in Mi minore Op. 32 di Pëtr Il'ič Čajkovskij [leggi la recensione]. In quest'occasione è lo stesso brano a far da apripista, ben condotto dal M° Vittorio Bresciani, che guida l'imponente organico con sicurezza e precisione; le sezioni sono ben equilibrate e nessuna di esse sovrasta l'altra. Il gesto del maestro è sicuro e misurato: ogni direttore ha un suo modo di farsi intendere dall'orchestra, quello di Bresciani è particolarmente composto, ma chiarissimo, scandisce bene ogni battuta, comandando i professori senza mai perdere il controllo della situazione. Questa prima sinfonia, come tutto il concerto, è stato diretto senza la partitura, a riprova della profonda conoscenza della musica da parte del concertatore. Riscontriamo una grande attenzione al testo e meno alla passionalità dell'assieme, che sarebbe stata apprezzabile quanto perigliosa in presenza di un organico di buon livello, ma che esige, e non richiede semplicemente, una guida decisa e ferma. Questa c'è stata e non possiamo certo lamentarci dell'esito.

Come secondo brano, ascoltiamo la bella Dante-Symphonie di Franz Liszt e questa scelta ci fa venir la curiosità del concerto GoetheXperience, basato sulla Faust-Symphonie, sempre del celeberrimo pianista ungherese. Anche Bresciani è pianista e pare trovarsi ancor più a suo agio nella lettura della partitura del suo illustre predecessore. La sinfonia prevedeva una successione di immagini molto più strutturata rispetto alla prima parte, con le illustrazioni volte a raccontare per intero il viaggio di Dante nei tre livelli del “regno dei più” e raccontato, talvolta in unisono alla musica, da Ugo Pagliai e da Chiara Degani. Parlando della parte recitata, non vogliamo che qualcuno possa considerare chi scrive un laudator temporis acti, ma, più semplicemente, un amante dello studio, della dedizione e della preparazione rigorosa. Riguardo le letture di Ugo Pagliai non avremmo che da ripeterci, poiché, quando le basi sono solide - tecniche e culturali-, si può realmente pensare di affrontare un mestiere, qualunque esso sia, a livelli professionali. Fortunatamente all'attrice Chiara Degani sono stati affidati solo due brevi passi (Francesca da Rimini e Beatrice), ma, sfortunatamente, la sua pessima prestazione non può restare inosservata. Basterebbe ricordare che Francesca da Rimini era una fanciulla posata e sofferente per il destino che le era stato imposto, e non la Pizia, presso Delfi, dopo aver assunto funghi allucinogeni per rendere più verosimili le profezie pronunciate confusamente in preda a convulsioni epilettiche. Basterebbe leggere con la dolcezza femminile di una fanciulla cui era stata strappata la possibilità di provare amore una terzina come “Amor, ch’a nullo amato amar perdona,\mi prese del costui piacer sì forte,\che, come vedi, ancor non m’abbandona”.

L'isteria è debolezza del corpo e non dello spirito e le parole devono avere sentimento, invece vengono pronunciate con espressione fuorviante e una gestualità che suggerisce a Chiara Degani, anziché trasmettere dolcezza, di porgere innanzi il braccio “tutto tremante”, quasi fosse novella interprete della Libertà che guida il popolo, ma, sicuramente, senza l'eleganza del dipinto di Delacroix.

Musicalmente la sinfonia viene affrontata con ancor maggior sicurezza dagli orchestrali e dal direttore, anche considerato che Čajkovskij rimane uno degli ostacoli più difficoltosi da superare, perciò il seguito poteva essere affrontato con maggior tranquillità. Bello l'intervento del coro femminile (diretto da Vito Lombardi), posto all'estremità del terzo ordine di palchi, e della solista, sita al centro della prima galleria del teatro.

Applausi in crescendo al termine, soprattutto per Ugo Pagliai e Vittorio Bresciani.