il coro del Teatro Comunale di Bologna

L'orgoglio del coro

 di Roberta Pedrotti

Ingiustamente penalizzato nella valutazione ministeriale per la ripartizione del FUS, il Teatro Comunale giunge all'appuntamento sinfonico-corale che valorizza le sue risorse interne con la direzione di Andrea Faidutti. Un programma raffinato che si apre e si chiude nel segno del sacro e della lingua latina: Stravinskij cita (elabora e omaggia) Gesualdo e Poulenc cita Stravinskij. Voce solista, il soprano Lucrezia Drei. Il programma ufficiale è preceduto, nello spazio conviviale dell'Auditorium Manzoni, dall'esibizione cameristica dei solisti dell'orchestra, orgogliosa forma di manifestazione.

BOLOGNA, 28 ottobre 2016 - Il concerto in cui il Teatro Comunale valorizza le risorse interne, riservando ampio spazio al Coro e il podio al suo maestro, cade quest’anno in un momento di sconcerto che non può passare inosservato. Perché al di là dei dibattiti sulla legge 160, la deludente valutazione ministeriale – e conseguente perdita in termini di quota FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo – della stagione 2015 risulta incomprensibile e punta il dito contro un sistema di meriti e ripartizioni quantomeno discutibili. Il cartellone così poco stimato, infatti, presentava due autentiche perle nelle splendide rappresentazioni di Jenufa [leggi la recensione] ed Elektra [leggi la recensione], oltre a un allestimento di Un ballo in maschera [leggi la recensione] coprodotto con la Scala (e, dal punto di vista musicale, non certo inferiore alle recite meneghine) e a una prima assoluta di buon livello (Il suono giallo di Solbiati). L’esperimento di Die Zauberflöte “in 3D” non sarà stato riuscitissimo, ma un teatro deve anche osare e se i risultati dei titoli di repertorio – affiancati da balletti classici e contemporanei, musical e progetti per e con i giovani – sono stati più alterni, non si potrà non notare che per Madama ButterflyDon Pasquale, Macbeth e L'elisir d'amore, opere di sicuro richiamo, si è comunque fatto ricorso a risorse interne e spettacoli di proprietà del Comunale. Insomma, un buon compromesso complessivo fra qualità, sperimentazione e ottimizzazione che, veramente, non meritava una tale valutazione, davvero mortificante e ingiusta.

Con questo spirito ci stringiamo intorno agli artisti del Comunale alle prese con un programma per nulla banale, aperto dall’omaggio realizzato mezzo secolo fa da Stravinskij a Gesualdo. Dopo Luci mie traditrici di Sciarrino [leggi la recensione], opera intimamente madrigalistica quanto allusiva delle vicende biografiche del compositore Principe di Venosa, ecco dunque un ulteriore indiretto omaggio bolognese al fosco e geniale aristocratico lucano nel quattrocentocinquantesimo dalla nascita. Non è, ora, il lato più cupo, maledetto e passionale a prevalere, né, con esso, l’ombreggiatura ardita e sensuale dei suoi madrigali, quanto il rigore contrappuntistico delle Tres sacrae cantiones che Stravinskij rilegge soggiogato, evidentemente, da una geometria nella quale non può non riconoscersi. I tre brevi pezzi sacri a cappella sono ben contrappesati dal Monumentum pro Gesualdo di Venosa (ad CD annum), i cui tre movimenti sono le riletture strumentali, con diverse combinazioni di timbri e famiglie fino al pieno finale, di altrettanti madrigali: Asciugate i begli occhi, Ma tu, cagion e Beltà poi che t’assenti. Esecuzioni, in entrambi i casi, ben riuscite, anche se, ovviamente, il maestro Faidutti (che non manca di esprimere pubblicamente la sua preoccupazione per la situazione attuale dei teatri lirici) dà il meglio con i pezzi corali, mentre, laddove si tratti di sola orchestra, non è a suo discapito se si suppone che una bacchetta assiduamente dedita al repertorio sinfonico potrebbe trarre altro, più illuminante partito dalla qualità della scrittura del Monumentum

Dopo Gesualdo e Stravinskij arriva Saint-Saëns e ascoltando sua cantata La nuit ci si sente un po’ come quando in un museo, dopo Caravaggio e Picasso, capitiamo in una sala piena di generici ritratti, scene mitologiche e paesaggi di XVIII e XIX secolo: pittura anche di qualità, ma accademica e di maniera (non in senso vasariano, ovviamente). Non manca di finezza, questo canto notturno che ammicca al Simbolismo e non si mostra sordo a suggestioni musicali impressioniste, ma sempre in modo rassicurante e addomesticato.

L’ambiente francese, però, oltre a offrire debito spazio al coro femminile, apre la strada al Gloria di Poulenc, che con il suo testo sacro latino e le sue sfacciate – ma ammiratissime – citazioni stravinskijane chiude perfettamente il cerchio del nostro programma.

Ai complessi del Comunale, in questi due ultimi brani, si è unita Lucrezia Drei in qualità di solista. Con una carriera iniziata prestissimo nelle voci bianche della Scala e precocissime esperienze come soliste, fra pastorelli, genietti e volpacchiotti, fino a frequentare i misteriosi regni di Debussy o gli spettri di Britten prima di passare definitvamente a ruoli “adulti”, la Drei ci ha permesso di osservare tutta la sua evoluzione artistica. L’istinto musicale, il gusto innato sono fuori discussione, così come la solidità della formazione, tutte qualità che la rendono particolarmente idonea al repertorio sacro (un pensiero a Bach sembrerebbe naturale farlo) e a certo Novecento. Si apprezza sempre la capacità di non forzare o camuffare il proprio strumento, che possiede una diafana leggerezza particolarmente congeniale alle atmosfere della cantata di Saint-Saëns, tuttavia proprio a questa levità quasi vitrea le si consiglia di fare attenzione, perché talvolta il suono tende a perdere di timbro e sostegno, rischia di accentuarsi il vibrato e di perder morbidezza il canto. Rilievi veniali e occasionali che val la pena di sottolineare come un consiglio, proprio perché una voce giovane come questa, in un percorso di studi consapevole, potrà senz’altro superarli.

Successo caloroso, come è giusto che sia per una serata in cui i complessi del Comunale non si sono adagiati nell’immediato e nel popolare, puntando felicemente su rarità e raffinatezza.