Rispetto, non tradimento
di Valentina Anzani
Il verdiano Un ballo in maschera ha aperto il nuovo anno del Teatro Comunale con una regia di Damiano Michieletto. Diversamente da quanto era accaduto al Teatro alla Scala nel 2013, la proposta d’interpretazione è stata accolta benevolmente sul palco felsineo, e a ragione: nelle mani di Michieletto, la vicenda è divenuta attualissima, in una lettura piena di particolari tesi a dconferire il massimo naturalismo alla rappresentazione.
Bologna, 13 - 14 gennaio – È una lettura cupa e disincantata quella che ha dato il regista Damiano Michieletto, una impostazione registica che ha annullato ogni anelito al giocoso, così presente nelle scelte musicali di Verdi, che nel suo Un ballo in maschera aveva invece voluto accostare alla vicenda tragica momenti brillanti. Anche il direttore Michele Mariotti ha aderito totalmente a questa visione: pur senza mai perdere la vividezza del suono, non ha mai permesso alla sua orchestra toni troppo giocosi, profilando fin dal preludio il triste destino che toccherà i personaggi.
Quella di Michieletto è una regia che dipende totalmente dall’intepretazione attoriale degli artisti sulla scena, poiché basta poco a trasformare un gesto che si vorrebbe naturalistico in una caricatura grottesca. Nella sua visione, Riccardo è un presidente alle soglie della rielezione che, oltre a dover fare i conti con gli oppositori politici, deve gestire l’amore illecito – e non dichiarato – che prova per la moglie del suo braccio destro Renato.
In generale il primo cast ha saputo coniugare un’interpretazione vocale accurata ed motiva a gestualità piene di realismo in grado di trasmettere l’idea alla base delle volontà del regista: Gregory Kunde è stato un meraviglioso uomo politico, attento ai dettagli che il proprio personaggio gli ha richiesto, come quando alla fine del primo atto, pur dovendo cantare in fortissimo, ha continuato a rispondere al microfono che una giornalista porgeva. Al suo fianco Maria José Siri era una distinta signora quarantenne incastrata nell’aura di moralità borghese dell’educazione ricevuta. Composta anche nel senso di colpa, concentrava ogni suo nervosismo sulla borsetta, che ha smesso di stropicciare solo quando Riccardo/Kunde le si è avvicinato con l’eleganza e il rispetto di colui che intende parlare a cuore aperto, ma non tradire. I due si sono incontrati come due adulti consapevoli che, sebbene non si possa scegliere di chi innamorarsi, avevano fatto scelte nella loro vita che non avrebbero ormai più potuto rinnegare. Non sarebbe infatti stato loro possibile né distruggere la solida famiglia di lei, né mettere a repentaglio la posizione politica di lui, ma potevano consolarsi del loro amore impossibile nella consapevolezza di non essere soli nel sacrificio della rinuncia. I due cantanti, oltre ad essere perfettamente coerenti nella lettura scenica, sono stati del pari impressionanti nell’interpretazione vocale, che ha raggiunto l’apice drammatico nella cabaletta che tanto fece discutere i detrattori di Verdi, in cui hanno sussurato note dolcissime e sussultato d’impeti. Quasi non si sono però avvicinati, né guardati: era una felicità privata, la loro, con la quale rincuoravano se stessi.
Di altissimo livello anche la presenza del bravissimo Luca Salsi nel ruolo di Renato, che ha dato voce a uno struggimento dalle infinite sfumature.
prima compagnia, foto Rocco Casaluci
Mariotti aveva promesso due interpretazioni differenti, ma del pari efficaci, nel dichiarare che i due cast avevano ognuno una propria identità ed economia interna: alla luce dei fatti, così non è stato. Tra i secondi interpreti infatti ha brillato la sola Julia Gertseva (Ulrica), di fatto superiore sia per caratteristiche vocali che sceniche alla collega di ruolo Elena Manistina: la voce della Gertseva, dalle caleidoscopiche inflessioni timbriche, perfettamente a fuoco sia nei passaggi più acuti che nelle discese drammatiche al grave, si coniuga infatti con una personalità magnetica e potente. Voluta da Michieletto come una santona che sfrutta il successo mediatico per vendere speranze ai disperati, ha sfoderato una nobiltà che l’ha resa credibilissima profetessa di morte. La sua presenza sulla scena ha messo in secondo piano tutti gli altri cantanti, tanto da far passare del tutto inosservato il primo apparire sulla scena dell’insipida Amelia di Virginia Tola. Giuseppe Gipali (secondo interprete di Riccardo) ha tradito poi tutte le aspettative, impersonando un Riccardo dalla voce soffocata e privo di inflessioni espressive. Il baritono Marco Caria dispone di un mezzo vocale importante e malleabile ed è riuscito a commuovere nella disperata aria di Renato del III atto.
La soluzione che il regista ha proposto per personaggio di Oscar è stata quella di annullarne l’ambiguità sessuale implicita, dovuta all’origine del ruolo come en travesti, e Beatriz Díaz ha vestito gli abiti femminili di una responsabile dell’ufficio stampa. La sua interpretazione frizzante si è tinta di tragico nel finale, quando, minacciata di morte, si é trovata obbligata a rivelare agli assassini come si cela Riccardo.
Michieletto ha dimostrato grande intelligenza anche nel risolvere in modo molto efficace l’annoso problema della presunta inverosimiglianza delle morti dei personaggi lirici in scena, che seppure colpiti da ferite letali, continuano a cantare lungamente: il canto di Renato, spirato immediatamente dopo il colpo d’arma da fuoco impugnata da Renato, dà voce a una lettera lasciata nelle mani di Amelia.
In una impostazione registica in cui sono i dettagli a fare la differenza, va un plauso particolare anche ai comprimari Paolo Orecchia (Silvano), Fabrizio Beggi (Samuel) e Simon Lim (Tom), Bruno Lazzaretti (un giudice), Luca Visani (servo d'Amelia) che hanno saputo dare il giusto rilievo ai rispettivi ruoli, così come di grande impatto è stata anche l’interpretazione del Coro del Teatro Comunale, soprattuto nei momenti in cui comparivano le sole sezioni maschili.
seconda compagnia, foto Rocco Casaluci