L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sassonia, intermezzo I: organi, mottetti e strade

di Roberta Pedrotti

Oltre alle opere e ai concerti alla Semperoper e al Kulturpalast, le strade e le chiese di Dresda sono ricche di musica eseguita ad alto livello anche da complessi non professionali. Un faro anche di civiltà in tempi che continuano a portare, insieme con le eredità gloriose, ferite profonde.

DRESDA, 17 e 18 maggio - Chissà perché in Italia quando si progetta una nuova sala da concerto (o se ne restaura una) l'organo è considerato un orpello di cui ci si può scordare in tutta serenità. Altrove, viceversa, è del tutto normale entrare in un auditorium e vedere le canne troneggiare indisturbate senza esser considerate quasi monopolio delle chiese, dove magari sonnecchiano in silenzio o sottoutilizzate. Passare qualche giorno in una città come Dresda, invece, significa incontrare una presenza capillare della musica e, nelle chiese, un'attività regolare che non si limita ad accompagnare il culto o a qualche evento isolato.

Già lo scorso anno, a ridosso delle elezioni di fine estate, si notò come le diverse confessioni condividessero un impegno culturale e sociale in un momento tanto delicato (e pericoloso). L'onesta ammissione degli errori commessi un secolo fa sembra fungere da pungolo per il dialogo da una parte e dall'altra il fermo rifiuto di ogni posizione che neghi umanità e fratellanza. A volte si ha il timore che tutto questo non sia che un'utopia, ma ritrovarsi un giorno a seguire uno dei concerti d'organo bisettimanali della cattedrale cattolica e l'indomani ad ascoltare mottetti di Bach in quella luterana fa sfiorare davvero un'oasi di pace ideale. Dopo aver studiato diligentemente a scuola il principio di “cuius regio eius religio” qui si tocca con mano l'intreccio storico e non sempre così conflittuale fra Riforma e Controriforma. Oggi, poi, fa quasi sorridere la coincidenza di un papa agostiniano come Lutero che ha scelto il nome del pontefice che lo scomunicò; tuttavia, il coro e l'ensemble della luterana Frauenkirche hanno rapporti ben più che cordiali con Roma, non solo per il tedesco e musicofilo Ratzinger, ma anche per l'invito espresso in Vaticano di Francesco, cui l'attuale Kantor Matthias Grünert ha anche dedicato un mottetto.

La Frauenkirche è un simbolo della rinascita di Dresda: bruciata e poi implosa durante i bombardamenti, fu ricostruita solo mezzo secolo dopo e reinaugurata solo vent'anni fa in seguito a un'iniziativa promossa dal trombettista Ludwig Güttler (la musica è sempre nell'aria). Ispirata, con la sua cupola, al barocco italiano e alla struttura teatrale con palchi, balconate e gallerie, tutta oro e colori pastello, ha ben poco di quel che in genere si associa al rigore luterano: è chiaro, semmai, che sia concittadina della cattolica Hofkirche, in bianco, oro splendente e scuola del Tiepolo.

La Hofkirche ha miracolosamente salvato il suo pulpito e l'organo Silbermann, l'ultimo e il più grande del sommo costruttore tedesco Gottfried, suonato anche da Mozart. Così, ogni mercoledì e sabato è dato ascoltarlo in un programma di circa mezz'ora, il 17 maggio affidato ad Hansjürgen Scholze, organista titolare della cattedrale dal 1972 al 2008, in somma confidenza con uno strumento eccelso. La varietà timbrica dei registri, ben amministrata senza vane esibizioni, appare come l'equivalente sonoro nelle volute rococò e delle delicate sfumatura dei dipinti fra il candore dell'architettura e i riflessi aurei dei fregi.

Sorprendente è, poi, il giorno dopo andare ad ascoltare i complessi della Frauenkirche diretti da Grünert alle prese con una selezione di mottetti di Bach. L'ensemble strumentale raduna professionisti anche dalla Staatskapelle e dalla Philharmonie, dunque l'alto livello è prevedibile, seppur sempre lodevole nello scrupolo stilistico, mentre quel che lascia di stucco è come il coro da camera composto da non professionisti si distingua per intonazione, precisione, fragranza espressiva, compunta plasticità di fraseggio, eloquente soprattutto negli intrecci di note tenute e legate e staccati ben accentuati.

Lo spirito di Bach nella Frauenkirche è di casa, anche se nella dimensione fantasma che ad ogni passo fa coesistere la Dresda di oggi – sopravvissuta o ricostruita – e la Dresda che fu: dell'organo Silbermann che suonò non resta nulla, se non alcuni dei gradini che aveva calcato per raggiungerlo. Oggi la chiesa gode di uno strumento moderno, proveniente da Strasburgo e pensato per rievocare il modello tedesco storico affiancato al potenziale della scuola romantica francese. Dopo l'organo originale miracolosamente scampato alle bombe, ne troviamo uno nuovo che segue la tradizione e nel cuore dell'Unione Europea unisce Germania e Francia, tante volte armate su fronti opposti. Parimenti, sembra che là dove secoli fa si erano accese guerre di religione prevalga ora uno spirito di scambio e dialogo, un'apertura e un impegno anche su temi sociali di integrazione e diritti civili di cui questi concerti sono in qualche modo la voce sublimata. L'altra faccia della medaglia è il male ancora sclerotizzato dalle ferite e dalle oppressioni, la volontà aggressiva di chiusura che si sfoga all'opposto di quello spirito luminoso e aperto che era nel sogno cosmopolita dei principi elettori di una Venezia, una Firenze o una Versailles sull'Elba. Eppure, fuori dal centro storico, per le strade della zona industriale o della Neuestadt (quella “città nuova” che dopo i bombardamenti in realtà è rimasta quella davvero antica) vediamo istallazioni, murales, rassegne, concerti itineranti. In questi giorni, per esempio, si diffonde in città l'International Dixieland Jazz Festival. Festoso ed esuberante, dal 1971 celebra una musica che i nazifascismi rifiutavano per le sue origini etniche e che i sovietici non dovevano vedere di buon occhio per la provenienza statunitense (emblematico che tendenze opposte abbiano generato reazioni simili: nel dopoguerra l'Ovest rifiutava lo storico gusto decorativo tedesco precedente per arrinearsi al pragmatismo d'oltreoceano, mentre l'Est faceva lo stesso per allontanarsi dall'edonismo borghese). Eppure, eccolo lì, ancora oggi, il Jazz più popolare al fianco di Bach e di un brindisi con amici vecchi e nuovi, a dire che dove c'è l'oscurità si può sempre trovare una luce da coltivare.

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