L'ultimo dei… Napoletani
di Bruno De Simone
Il baritono napoletano ricorda il regista, compositore e ricercatore scomparso il mese scorso con il quale ha collaborato in numerose produzioni
6 maggio 2025 - Il grande privilegio di essere stato artista d'opera tra i più desiderati da Roberto De Simone mi porta spontaneamente a scrivere le seguenti riflessioni sulle esperienze artistiche straordinarie maturate e realizzate con questo grande Partenopeo.
La “omocognonimia” tra me ed il Maestro appartiene a quelle che si chiamerebbero coincidenze ma che, per taluni studiosi anche eminenti (Deepak Chopra), potrebbero non essere tali: l'esserci poi conosciuti per la prima volta in una città ben diversa dalla nostra di origine, Milano, rafforza vieppiù ogni aura relativa.
Le produzioni con il Maestro (così l'ho sempre chiamato) erano tanto faticose quanto arricchenti: non lasciava nulla al caso ed in lui l'analisi profonda era propedeutica ad una visione sintetica di ciò che si rappresentasse. Ricordo le lunghe sedute a tavolino di prove sulla lettura del testo e della scrittura musicale, con scelte ad hoc per l'una e per l'altra cui dava uguale valore ed importanza: lezioni della più sapiente ortoepia, anche quando si trattasse di vernacolo d'epoca barocca.
Caro il ricordo del lusinghiero complimento che mi fece quando mi disse che io ero l'unico artista napoletano capace di pronunciare perfettamente il napoletano barocco, lingua che, non a caso, ebbe la sua massima espressione nel XVIII secolo, quando Napoli era una delle massime capitali culturali d'Europa e quindi... del mondo.
AlLui dobbiamo la riscoperta di capolavori dei nostri grandi compositori di quel periodo che contribuirono enormemente alla nascita della Scuola Napoletana da cui derivò la Commedeja pe' mmuseca che aveva avuto in Giovanni Paisiello uno dei suoi massimi esponenti: costui aveva composto ben 94 opere di cui conosciamo al massimo una decina, come d'altra parte anche di tutti gli altri compositori di quella grande scuola. Da ciò la legittima ambizione del Maestro di costituire una vera e propria Accademia dell'opera del '700 che purtroppo nessuno ha pensato di realizzare: trascrizioni e rappresentazioni di tanti capolavori incanalati in un progetto di studio e di recupero, che avrebbero potuto dar lavoro a tanti musicisti ed artisti.
Aversa, cittadina della Campania, ha dato i natali a Domenico Cimarosa e Niccolò Jommelli due tra i più grandi compositori di quel '700: il primo, autore di una sessantina di titoli di cui ne conosciamo al massimo cinque o sei. Vien da pensare che se costoro fossero nati in altre latitudini, probabilmente si sarebbe creato da tempo un Festival a loro dedicato che avrebbe riproposto le loro numerose composizioni ben degne di un recupero filologico.
Con grande umiltà unita al comprensibile orgoglio, mi pregio di essere l'interprete più prolifico del nostro '700 operistico: ed è con il Maestro che ho cantato in dieci opere di cui ben sette dei nostri storici compositori, ed un'altra quindicina con altri registi.
L'eredità che Roberto De Simone ci ha lasciata è immensa: lasciarla cadere nell'oblio sarebbe un grave delitto culturale.
Memorabili erano le prove d'assieme con orchestra in cui era totalmente dedito a correggere, ove ce ne fosse bisogno, le posizioni dei personaggi affinché essi acquistassero più rilievo ed il loro canto fosse valorizzato al massimo, come pure il recitativo che con Lui acquisiva massima e legittima dignità drammaturgica: era lì che si spiegava la trama dell'opera, laddove l'aria era l'espressione di uno stato d'animo che lo seguiva in un legame indissolubile.
Ricordo che in una delle opere che stavamo realizzando, Le cantatrici villane di Valentino Fioravanti, era previsto che Don Bucefalo scendesse in buca a dirigere l'orchestra proprio nella sua aria composta da numerose indicazioni da dare alle varie sezioni e, nella fattispecie, toccava a me: nella prova generale come un'anteprima, alla fine di quell'aria che chiusi con gesto toscaniniano, il Maestro mi si avvicinò e mi disse che gli avevo ricordato Toto'... facile immaginare il mio tripudio per tale lusinghiero accostamento
L'ultimo titolo cui ho avuto il privilegio di partecipare è stato Il convitato di pietra di Giacomo Tritto, una vera e propria versione di Don Giovanni ante litteram in cui interpretavo Pulcinella/Leporello: singolare esperienza fu quella di ricevere un grande mascheraio che potesse realizzare sul calco del mio viso la maschera.
Impossibile raccontare l'inarrestabile divertimento di questo allestimento che fu rappresentato per due anni consecutivi e che era stato opzionato da ben quattro importanti teatri europei.
La collaborazione con il Maestro con ben nove titoli fu da considerare un percorso altamente formativo, proprio per la metodologia che lui sceglieva nel riuscire a far lievitare l'opera ed i suoi personaggi: la sua grande sapienza musicale di studioso e ricercatore assieme al suo spiccato istinto teatrale faceva sì che noi cantanti fossimo considerati i veri discendenti di quei cantanti/attori che avevano affollato i teatri di mezzo mondo nel secolo XVIII ed oltre.
Un altro dei grandi meriti da ascrivere al Maestro è stato quello di essere stato tra i primi a far vacillare il muro di separazione tra vari generi musicali, preparando ciò che poi sarebbe avvenuto, e cioè far comprendere che nella musica non esistano compartimenti stagni, potendo convivere tra di loro generi diversi tenuti insieme dal pentagramma, pur nel mantenimento delle rispettive caratteristiche e radici. L'impronta che ha lasciato La Nuova Compagnia di Canto Popolare da Lui creata è indelebile: ricerca filologica ed etnomusicologica formavano un connubio che ha prodotto grandi risultati per più di quarant'anni, stimolando processi evolutivi di ricerca inarrestabili.
Ma perché ciò si possa realizzare in toto occorrerebbe prendere esempio, sia pure tardivo, dalle consuetudini di tante nazioni in cui la musica è materia che si studia dalla prima età scolare, perché riconosciuta come altamente formativa, e non solo dal punto di vista pedagogico.
Roberto De Simone ci ha lasciati, ma i suoi insegnamenti vivono e vivranno: c'è da augurarsi che la nostra città si adoperi al massimo perché questo accada, al di là di soliti peana post mortem: ne va della nostra dignità etno-culturale. D'altronde da tempo si assiste ad incentivi a sottoprodotti culturali che non hanno alcuna veridicità di ricerca scientifica, per mancanza di competenze adeguate.
Credo che, invece di continuare a lanciare strali e inopportuni confronti con culture e costumi di altre regioni di diversa latitudine, sia da compiere ogni sforzo affinché le nostre antiche origini e matrici, sviluppatesi ed alimentate in centinaia di anni, ricomincino a risplendere, ponendo fine ad esercizi propagandistici di scarsi contenuti: che la napoletanità riprenda i suoi alti valori, quelli che l'hanno resa riconoscibile e famosa in tutto il mondo e che abbia la meglio sulla napoletanitudine imperante che è l'odioso e stantio rifarsi a stereotipi di somma superficialità simbolica, come la pizza, il mandolino e le guarrattelle... parva graecia e non Magna Graecia!
San Pietro a Majella è il nostro grande Conservatorio da dove il Maestro partì: si riparta da lì, così da poter offrire ai giovani musicisti tanto lavoro da poter fare, considerato l'alto numero di partiture inedite e mai eseguite. Sarebbe da creare un saggio collegamento tra tale struttura didattica e quella teatrale, il San Carlo, così come si è realizzato in grandi capitali europee e non: sicuramente Roberto De Simone ne sarebbe stato ben felice!
Nella sua imperitura memoria, immensamente grati per ciò che ci ha lasciato, dobbiamo far sì che ogni sforzo vada fatto ed in ogni direzione: le iniziative commemorative non possono certo essere solo di carattere... toponomastico, strumentali solo alla politica, ma devono mirare ad una stanzialità cadenzata degna di proseguire la grande lezione culturale che Lui ci ha offerta per tanti anni.
E ciò riqualificherebbe la nostra cultura territoriale, rispolverando gli antichi fasti, meritevole di varcare i confini del folklore territoriale, come Lui stesso avrebbe desiderato.
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