L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Auspici e conforti

di Roberta Pedrotti

Il 2024 ha portato molte soddisfazioni, ma anche sollevato problemi e mosso a riflessioni critiche. Si sono applauditi ottimi spettacoli, ma, per esempio, il centenario pucciniano ha in larga parte fallito il suo scopo. 

Si chiude un altro anno di musica. Un anno – posso dirlo dopo aver contato una media di almeno un'opera o concerto ogni tre giorni – ricco di soddisfazioni. Il mondo intorno a noi non si può dire che se la passi bene, arroccandosi su fronti alieni da ogni forma di ragionevole comunicazione, e le arti lo rispecchiano con non poche criticità, tuttavia vediamo anche spiragli di luce che ci confortano. C'è, è vero, un meccanismo mediatico che decide cosa deve per forza essere buono e presente ovunque, a diversi livelli e con diverse modalità, dai talenti veri coccolati e coltivati da un sistema ben oliato, al talento nullo ben infiocchettato e funzionale ad altro tipo di mercato. Tuttavia c'è anche chi sfugge a queste logiche, perché ha davvero qualcosa di interessante da dire e lo persegue con serietà. Di cose buone ne ho sentite molto, alcune eccellenti, lampi di genio, oppure anche solida professionalità, onesta dedizione alla musica e al teatro, consapevolezza di sé, serio lavoro di crescita. Tanti sono i nomi appuntati nel corso degli ultimi mesi che spero di risentire in futuro e veder crescere. 

Fra i ricordi di quest'anno resterà anche la scomparsa di Gianfranco Mariotti, ma, nel dolore, ciò che persone come lui hanno lasciato va oltre, fra la gioia di averli incontrati e la responsabilità di essere degni del loro esempio e della loro eredità.

Ho avuto anche la gioia di imbattermi in spettacoli che scaldano il cuore perché tutto funziona, tutti vanno nella stessa direzione e ci si muove allora a un livello superiore, come nell'Ermione di Pesaro o nel Peter Grimes di Roma, per me i migliori spettacoli operistici dell'anno, entrambi diretti da un Michele Mariotti in stato di grazia, per me senz'altro il miglior direttore italiano della sua generazione. Ma, a proposito di direttori, come non gioire nel riascoltare (me lo perdevo da troppo tempo) Vladimir Jurowski, che, lo ricordo, venticinquenne a Pesaro si rivelò con il monumentale Moïse et Pharaon con la regia di Graham Vick. Alla stessa fascia d'età appartiene Alessandro Bonato, quest'anno ascoltato per la prima volta con l'Orchestra Haydn, alla Scala e con il Maggio Fiorentino: mi è facile, di fronte a quella che è più certezza che speranza, vederlo seguire le orme di Jurowski. Intanto, e per fortuna, i decani reggono splendidamente: Daniele Gatti è in una fase artistica felicissima e a Dresda il suo concerto con la Staatskapelle è stato uno degli appuntamenti più straordinari dell'anno; Riccardo Chailly, nondimeno, ha offerto nella Forza del destino forse la sua più bella inaugurazione scaligera insieme con la mia amatissima Giovanna d'Arco.

La programmazione dei teatri italiani soffre, purtroppo di qualche pigrizia di troppo (sentendo Marta Torbidoni come Norma e Odabella sogno una serie di titoli belliniani e donizettiani che fuori dai festival sembrano un'utopia: e sì che, appunto, i cantanti ci sarebbero). Quando poi, invece, ci si muove fuori dai soliti binari ci si chiede fino a che punto “basti il pensiero” o non ci si possa accontentare: è stato il caso del Mosé in Egitto proposto dai teatri emiliani suscitando gioia immensa per la scelta del titolo ma anche tante perplessità per concertazione e orchestra non all'altezza e regia ferma al tableau vivant.

In sostanza, se dovessi stringere a una rosa di nomi quel che mi porterò più volentieri nella memoria dell'anno appena trascorso, la lista (non esaustiva) è questa:

Soprani: Anastasia Bartoli (Ermione), Mariangela Sicilia (Mimì e Nedda), Marta Torbidoni (Norma e Odabella)

Mezzosoprani: Raffaella Lupinacci (Sara di Nottingham), Annalisa Stroppa (Romeo e Charlotte)

Tenori: John Osborn (Roberto Devereux), Enea Scala (Ermione), Luciano Ganci e Antonio Poli.

Baritoni: Ludovic Tézier (concerto a Bologna e Don Carlo di Vargas), Nicola Alaimo (Gamberotto), Lodovico Filippo Ravizza (Belcore e Renato), Pietro Spagnoli (concerto a Pesaro), Roberto De Candia (Gianni Schicchi), Marco Filippo Romano (Fra Melitone)

Bassi: Michele Pertusi (Don Basilio, Banquo, Mosé), Giorgi Manoshvili (Capellio, Attila), Luca Tittoto (Sir Giorgio Valton)

Registi: Johannes Erath (Ermione), Moshe Leiser e Patrice Caurier (L'equivoco stravagante), Daniele Menghini (L'elisir d'amore e Un ballo in maschera), Deborah Warner (Peter Grimes)

Direttori: nati prima del 1970 Daniele Gatti (concerto con la Staatskapelle di Dresda) e Riccardo Chailly (La forza del destino); nati fra il 1970 e il 1979 Vladimir Jurowski (concerto con la Bayerische Staatsorchester); nati dal 1980 Alessandro Bonato (cocnerti con l'orchestra Haydn, la Filarmonica Marchigiana, l'Accademia della Scala, il Maggio Fiorentino e i pomeriggi musicali)

Opere dell'anno: Il Trittico a Torino, Ermione a Pesaro, Peter Grimes a Roma

Concerti dell'anno: Jurowski a Bologna con la Bayerische Staatsoprchester, Gatti a Dresda con la Staatskapelle

E quello che non va? Alcuni punti nodali come la débacle di molte celebrazioni pucciniane, la necessità di direzioni artistiche intraprendenti e competenti, problemi generali nel dibattito culturale e, in teatro, più che le voci (di livello generalmente soddisfacente) i problemi li ho visti nella direzione musicale e teatrale, fra bacchette inadeguate e regie irrisolte.


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