Povero Puccini!
Celebrare Puccini, vale a dire l'operista con il maggior numero di titoli fra i più rappresentati al mondo, non è semplice: non abbiamo riscoperte eclatanti o rarità paragonabili a quelle riemerse con la Rossini e, in generale, la Belcanto Renaissance. È difficile pensare che esista al mondo una persona, tranne forse in qualche angolo sperduto, che non abbia mai sentito il tema di “Nessun dorma”. Allora, bisogna cercare di ragionare con un po' di finezza o quantomeno di far le cose per bene. Non è mancato chi lo abbia fatto, in effetti: per esempio, il Teatro Regio di Torino, nei dodici mesi dall'ottobre 2023 all'ottobre 2024, ha proposto le tre opere che hanno debuttato all'ombra della Mole (La bohème, Manon Lescaut, la seconda versione delle Villi) e le tre più rare fra quelle della maturità (La rondine, La fanciulla del West e Il trittico nella sua interezza). Anche Bologna – accantonando l'iniziale idea di una bizzarra diluizione in tre serate – ci ha permesso di assistere al Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi insieme come l'autore li ha pensati. Non va trascurata, peraltro, La rondine scaligera con Chailly sul podio e Sicilia protagonista, né l'interessante abbinamento che l'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento ha proposto fra lo Schicchi e Pierrot Lunaire, celebrando anche il centenario dall'incontro fra Puccini e Schönberg. A Montecatini, con tutt'altri mezzi, un'ottima idea è stata la proposta a confronto dei principali finali di Turandot (morte di Liù, Alfano, Berio).
Del buono è venuto sul piano degli studi, quelli seri, con tavole rotonde, convegni, pubblicazioni nuove o ristampe. Tutti spunti per una riflessione inesausta su uno dei musicisti più complessi e raffinati del XX secolo, nonché uno dei più popolari, amati e comunicativi, un rivoluzionario che a molti pare rassicurante, un coltissimo e tormentato ricercatore dall'irresistibile appeal leggero, uno nessuno e centomila che finisce inevitabilmente in preda di troppe mani bramose di godere di un pizzico della sua gloria. Troppi l'hanno fatto proprio e l'hanno distorto, con la scusa (se così si può dire) che con Puccini si vince sempre, si “vince facile”.
Lui, l'autore di un teatro modernissimo, serrato, in cui il fluire reale del tempo e la regia musicale senza soluzione di continuità sono elementi chiave, viene comodamente trasformato in uno spezzatino di belle melodie che garantiscono il successo a ogni galà, ma si allontanano passo dopo passo dal senso della sua opera. Intendiamoci, c'è contesto e contesto e non ci si accanisce con la piccola realtà che imbastisce un omaggio al grande, ma si constata il fallimento di chi avrebbe dovuto occuparsi delle celebrazioni ai massimi livelli: una montagna (anche di finanziamenti) che ha partorito un topolino nazional popolare. D'altra parte, mentre il Rossini Opera Festival di Pesaro veleggia verso il mezzo secolo come punto di riferimento mondiale, mentre la formula del Donizetti Opera a Bergamo ha felicemente festeggiato dieci anni di proposte sempre stimolanti e a Parma il Festival Verdi ha presentato varie iniziative degne di nota, a più di settant'anni il Pucciniano di Torre del Lago arranca e vivacchia: Tosca, La bohème o Madama Butterfly fanno sempre cassetta, ma se si cerca un qualche motivo di distinzione artistica si guarda altrove. Anche quest'anno, ahinoi, e spiace per chi nelle maestranze lavora e ci crede o per quei nomi comunque validi che fanno capolino in cartelloni gravati da troppe zavorre.
Povero Puccini, il cui genio sarebbe la gioia di tanti direttori davvero validi, di registi intelligenti, di cantanti attori di prima qualità: tutte queste persone, volendo, ci sono. Basterebbe chiamarli e non lasciare il povero Giacomo, strapazzato dai luoghi comuni come comodo veicolo di successo di fronte a un pubblico da reality show.
Che, dopo il purgatorio delle celebrazioni del 2024, l'anno nuovo ci liberi dal puccinismo e dallo sfruttamento di un'arte meritevole di ben altro.