L’Ape musicale

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La censura

Sembra un argomento fuori moda, roba da dittature conclamate, oppure una formula buona per tutte le lamentele: un cantante non viene invitato in una kermesse perché i suoi testi non vengono considerati adatti al contesto? Censura! Le cose, però, sono un po' più serie e complesse. L'ultimo numero di Tabloid, il periodico dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia, così riporta nel sommario “Nel biennio 2022-2024 sono state registrate 250 segnalazioni di minacce e intimidazioni nei confronti dei media italiani, in aumento rispetto alle 74 del biennio precedente. Un quarto di esse proviene da pubblici ufficiali o membri del governo. È un cambio di passo, un salto di scala nell’eterno confronto tra libera informazione e poteri pubblici.” Non sono dati da poco e indicano un'incrinatura subdola nel principio della libertà di stampa e di opinione: da un lato la si invoca a sproposito, usurandola come preteso diritto di chiunque a dire qualunque cosa, per cui l'idraulico può pontificare di tecnica violinistica e il violinista di sistemi idraulici senza che si stabilisca quantomeno una gerarchia di competenze, oppure si può inneggiare a violenze, discriminazioni, crimini condannati dalla storia pretendendo la stessa dignità di qualsiasi opinione onesta e rispettosa. Tutti possono dire tutto di qualunque cosa e si perde di vista – e di autorevolezza – chi magari qualcosa da dire sul serio lo avrebbe e si trova invece in una condizione di fragilità.

I messaggi più o meno minatori che punzecchiano dopo qualche commento o recensione si cestinano (se vengono da troll anonimi ma anche da operatori ben riconosciuti) e diventano anzi oggetto di derisione, ma ci sono tanti modi per far sentire anche un giornalista, un critico, un musicologo meno sicuri: una letterina da un avvocato che non minaccia, magari, denuncia chiaramente, ma fa capire che si è tenuti sotto controllo (e anche chi non ha nulla da temere non ha nessuna voglia di imbarcarsi in un'azione legale). Poi ci sono tanti piccoli gesti, piccole ripicche, blocchi social (sì, succede anche questo: la manifestazione che insolentisce e blocca chi fa notare un errore grossolano in un post), battute che minano il rapporto di fiducia e rispetto che pur dovrebbe esistere. Anche perché una critica seria e motivata è anche un'occasione fruttuosa per mettersi in discussione con maturità, mentre additare sempre il critico cattivo e “invidioso” (quanto è abusata questa parola!) significa anche sgravarsi da ogni responsabilità, dare il consenso per scontato e dovuto.

Quando, poi, leggiamo che lo storico critico della Nuova Sardegna, Antonio Ligios, ha chiuso i rapporti con la testata dopo che il suo pezzo sul concerto di Uto Ughi è stato cestinato senza spiegazioni (pur richieste) e sostituito dalla trasformazione del comunicato stampa in amena cronaca post evento, allora un problema serio balza all'occhio. E non importa tanto sapere, nel caso specifico, da chi e perché sia venuta l'iniziativa: importa la trasformazione del mezzo di informazione da strumento critico a condiscendente, edulcorata narrazione in cui tutto va bene.

E invece no: bisogna porsi problemi, dire cosa per noi non va bene (se si è in grado di spiegarlo e argomentarlo), discutere, perché se nulla andrà mai male, allora non potrà nemmeno andar bene sul serio. Noi parliamo di musica, non affrontiamo le guerre o le pandemie, eppure anche noi siamo una cartina di tornasole per tutta la società, perché le arti sono una palestra per lo studio, il confronto e l'esercizio critico tanto preziosi in ogni aspetto dell'esistenza.

Per il 2025 vorrei qualche passo per una dignità e una libertà vera dell'informazione e della critica.


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