L’Ape musicale

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Direttori artistici cercansi

C'è una specie in via di estinzione e di cui si sente una gran mancanza: i direttori artistici (per fortuna con qualche eccezione superstite: confidiamo, per esempio, nel giovanissimo Edoardo Bottacin di Rovigo).

Molto spesso si sentono additare gli agenti come una specie infida causa di ogni male. Certo, esistono diversi esponenti della categoria che possono giustificarne la nomea, ma anche tanti ottimi professionisti che svolgono con coscienza e competenza il loro mestiere. Dopotutto non possiamo negare che servano: un artista non può pensare a gestire da solo contratti, contatti, logistiche, soprattutto a inizio carriera Può aver bisogno di consigli. È pure comprensibile che un direttore artistico, non potendo essere sempre ovunque, possa avere fiducia e stima di un agente che usa presentargli artisti validi. Perché no?

Possiamo tutti fare il gioco di verificare le agenzie di riferimento dei nomi in un determinato cartellone per scoprire presenze massicce di questa o quella scuderia in un teatro in un altro, o abbinamenti fra nomi di punta e altri di cui, altrimenti, non ci spiegheremmo proprio la presenza. In tutta onestà, però, non mi sento di condannare a priori certe frequenze di contratto: è naturale che un direttore artistico abbia i propri gusti, preferisca certuni a certi altri, così come è perfettamente umano che si trovi meglio a trattare con un agente piuttosto che con un altro. Il problema, naturalmente, si pone quando quel che può essere naturale gusto o affinità travalica i limiti ragionevoli, quando si notano monopoli (o embarghi) e quando si comincia a sentire aroma di malafede. Il potere dell'agente viene dal direttore artistico che glielo dà: può essere, più che potere, giusto riconoscimento di un buon lavoro; può essere la trasformazione in un direttore artistico ombra. In quest'ultimo caso, ecco che nelle stagioni il rincorrersi di titoli rassicuranti e di qualche occasionale primizia inserita per i palati più esigenti e magari per onorare un anniversario può finire per corrispondere al rincorrersi degli stessi nomi, meticolosamente compilati dal roster di riferimento. La deriva si verifica se non abbiamo la vera figura del direttore artistico a reggere le fila del teatro e soffre della sempre più frequente fusione amministrativa con il sovrintendente (che è altra cosa, ha altri compiti e altre competenze) come dell'intromissione del marketing a consigliare le scelte di cartellone. Ma queste scelte dovrebbero venire da un progetto artistico, da una ricerca, non da uno studio su una domanda già prevista e confezionata: tutti sono capaci a vendere la Nutella e, dunque, che merito avrà il consulente marketing o il dirigente che proporrà di mettere in menù la Nutella? Il nodo, per un operatore culturale, dovrebbe invece essere quello di pensare prima alla sostanza del progetto, al valore della programmazione e degli artisti, di cercare le persone giuste senza abbandonarsi alle mode e poi a come proporlo e venderlo al pubblico.

Difficile? Certo, nessuno dice che il mestiere del direttore artistico sia semplice, ma è così che va fatto, è così che nel secolo scorso lo hanno esercitato i Carlo Majer, i Gioachino Lanza Tomasi, i Luigi Ferrari, e altri prima di loro, con loro e dopo di loro. Ciascuno con i propri limiti, i propri gusti, le proprie inclinazioni, da esseri umani, in un ruolo che deve suscitare discussione e che vorremmo tanto, come auspicio per l'anno nuovo, tornasse di moda.


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