Il primo Wagner
di Luigi Raso
Die Walküre debutta al Teatro Verdi di Salerno, dove pare non fosse mai stata rappresentata prima un'opera di Wagner, in una virtuosa collaborazione con l'Opera di Sofia.
Nulla è impossibile: sul ristretto palcoscenico del Teatro Verdi di Salerno debutta Die Walküre di Richard Wagner. L’inaugurazione della stagione lirica 2025, che si svolge come ogni anno da aprile a dicembre, segna un tappa storica: prima rappresentazione di quest'operae sembrerebbe, secondo quanto riferito dai vertici del Verdi, anche la prima volta di un titolo del compositore tedesco nel teatro ai piedi della Costiera amalfitana, terra adorata e frequentata, nel 1880, mentre attendeva alla composizione di Parsifal, da Wagner e dalla sua famiglia.
Questa del teatro Verdi di Salerno è una produzione “importata” dalla Bulgaria: lo spettacolo, innestato nell’intero Der Ring des Nibelungen, nasce per il Teatro Nazionale dell’Opera di Sofia nel 2023. A firmare gli spettacoli del Ring è Plamen Kartaloff, regista e direttore artistico del teatro bulgaro, già noto e apprezzato a Salerno per le regie di Aida (la recensione: leggi la recensione) e La bohème (la recensione: leggi la recensione). Operazione assolutamente encomiabile quella del Teatro Verdi: viene proposta come inaugurazione di stagione una “novità” per Salerno che, come vedremo, si giova di un’esecuzione dignitosa e apprezzabilissima, primo tassello di uno scambio culturale tra il teatro italiano e quello di Sofia: nella prossima stagione sarà il Verdi ad esportare una produzione verso la capitale della Bulgaria.
Adesso, prima di addentrarci nell’esame di questo spettacolo, sgombriamo il campo da ipotetici equivoci e da aspettative irrealizzabili circa l’esito musicale e registico: chi si fosse avvicinato a questa Walküre immaginando di godere di un’esecuzione al livello artistico di quelle della Wiener Staatsoper, della Staatsoper Unter den Linden di Berlino o del Bayreuther Festspiele e di tanti altri teatri blasonati ne resterebbe, all’ascolto e alla visione, (stoltamente) deluso. Ma, considerato che questa Walküre va in scena in Italia, in un teatro della sua laboriosa provincia, che ovviamente nella scelta della programmazione è obbligato a tenere d’occhio la risposta di pubblico e gli incassi del botteghino, questa produzione appare una scelta coraggiosa, una scommessa ardita, vinta e, per di più, ben riuscita.
Merito della concertazione impetuosa e nel complesso ben calibrata, con una varietà di colori orchestrali e tempi coerenti con la drammaturgia teatrale e con le esigenze dei cantanti del giovane direttore, statunitense di origine greca, Evan-Alexis Christ, il quale sin dalla tempesta sul fuggitivo Siegmund in apertura dell’atto I dà la cifra della sua lettura: spedita, teatrale, varia nelle scelte agogiche, che punta a imprimere incisività alla narrazione.
Christ sa dilatare i tempi nella impressionante scena dell’annuncio di morte di Brünnhildea Siegmund; indugia un po’ troppo nel duetto tra Siegmund e Sieglinde dell’atto I, ma risulta coinvolgente nel sublime e lancinante addio di Wotan all’adorata figlia Brünnhilde; raggiunge un buon grado di tepore nel colore che cava dal complesso del Teatro Nazionale dell’Opera di Sofia nello scintillante “incantesimo del fuoco” finale.
L’orchestra, che per questa inaugurazione si accomoda nell’angusto golfo mistico del teatro Verdi e per l’arpa e alcune percussioni nei due palchi di proscenio, si dimostra nel complesso abbastanza affidabile. Sia chiaro: non mancano imprecisioni, cali d’intonazione (i violoncelli durante il primo atto), scusabili errori da parte degli ottoni, tutte mende che in una partitura complessa e defatigante con quella della Walküre sono sempre in agguato anche per le compagini più tecnicamente agguerrite. Ma il giudizio complessivo sulla tenuta, sull’ampiezza della gamma dinamica, sulla coesione interna è apprezzabile e di livello eccellente. Traspare, poi, dalla cavata e dal respiro dei professori d’orchestra di Sofia trasporto e immedesimazione nella descrizione sonora del dramma: nell’atto I ogni Leitmotive trova un suo colore individuabile, ogni sguardo, ben evidenziato dalla regia di Plamen Kartaloff, il giusto respiro musicale.
Quella di Sofia è una compagine in grado di sostenere adeguatamente le voci e di districarsi negli ampi e insidiosi squarci sinfonici di cui la partitura di DieWalküre abbonda.
Si attesta sull’analogo livello esecutivo della resa strettamente strumentale quello del cast vocale, che schiera il Siegmund solido e potente, benché l’organizzazione vocale denoti segnali di affaticamento e appesantimento nonché un’emissione monolitica e poco sfumata, di Martin Iliev. Di Siegmund, grazie allo squillo, alla compattezza nell’intera estensione, Iliev esalta in particolare il lato eroico.
L’Hunding di Bjarni Thor Kristinsson ha voce possente, cavernosa che ben esprime, pur nell’emissione grossier, i tratti da cavernicolo del personaggio: la durezza del canto qui diviene un attributo della rudezza di Hunding, nel complesso credibile vocalmente e scenicamente.
Punto di forza della produzione è il Wotan di lusso - di stanza al Festival di Bayreuth e alla Scala, tra i vari teatri - di Ólafur Sigurdarson: voce dal volume monumentale, accento incisivo, dizione idiomatica, in possesso di una solidissima organizzazione che gli consente di dominare con naturalezza e spontaneità la scrittura di Wotan, del quale restituisce un’interpretazione magnetica, autorevole, quella di un Dio/padre dilaniato dalla consapevolezza delle fine - e dal voluttuoso desiderio di gustarla (“Das Ende!” pronuncia e quasi invoca Wotan nel lungo monologo dell’atto II, punto cruciale dell’intero Ring) - e dall’amore paterno, sublimato nel commuovente addio alla figlia Brünnhilde.
Molto espressiva e perfettamente calata nella psicologia fragile e lacerata di Sieglinde è Tsvetana Bandalovska, soprano dal timbro vocale che sconta qualche asprezza di troppo (nel registro acuto in particolare), ma che si dimostra appropriato e incisivo sul versante interpretativo.
Perentoria e dal giusto peso vocale è la Fricka di Mariana Zvetkova che, al netto di imprecisioni e forzature di emissione, riesce a non sfigurare nel confronto con i fedifrago marito Wotan di Sigurdarson.
Gergana Rusekova è la valchiria Brünnhilde: è, sin dal guerriero esordio all’inizio dell’atto II, in difficoltà, per tenuta e precisione dell’intonazione, nelle regioni acute della tessitura, soprattutto quando deve cantare sul forte; non appena assottiglia l’emissione, nel canto mezzoforte e piano le difficoltà si fanno meno evidenti. Timbro di bel colore e mezzevoci di bell’effetto contribuiscono a delineare una Brünnhildedalla sensibilità marcatamente umana.
La schiera delle restanti otto valchirie è ben rappresentata da Stanislava Momekova (Helmvige), Silvia Teneva (Ortlinde), Lyubov Metodieva (Gerhilde), Ina Petrova (Waltraute), Elena Mehandzhiyska (Siegrune), Tsveta Sarambelieva (Rosseweisse), Alexandrina Stoyanova-Andreeva (Grimgerde), Vesela Yaneva (Schwertleite).
Lo spettacolo firmato da Plamen Kartaloff - costumi di Hristiana Mihaleva, scene di Hans Kudlich, luci di Andrej Hajdinijak e coreografia di Riolina Topalova - dà del dramma una narrazione che non si discosta dall’intento didascalico del mito dell’epopea nibelungica. Bandito ogni riferimento (e annessi eccessi) al Regietheater, la visione registica dà l’impressione di voler arricchire i canoni codificati nella seconda metà del secolo scorso da Wieland Wagner, alla cui astrazione pura Kartaloff aggiunge l’ossessivo riferimento iconografico a spirali che simboleggiano il legame tra l’astrazione del mito e la concretezza della storia, tra il passato e il presente.
L’impianto scenico di Kudlich - mobile e ben valorizzato dalle luci di Hajdinijak, all’interno del quale si innestano i costumi immediatamente riconducibili all’iconografica classica, quasi da figurine Liebig (elmi, lance, armature, vistosi bracciali, tuniche di cuoio, lacere tuniche, capigliature fluenti, ecc.) dei costumi degli eroi di Wagner - racchiude la spirale del tempo e dell’esistenza: è dominato da elementi geometrici circolari che si intersecano e si ricompongono, specchio dell’evoluzione del dramma e della psicologia dei personaggi.
Ciò che risalta all’occhio è la cura della recitazione, della distribuzione dei gesti nell’interazione dei personaggi in scena e, in modo particolare, degli sguardi che Siegmund, Sieglinde, Hunding, Wotan e Brünnhilde si scambiano tra loro: verrebbe da affermare, ricordano Parsifal, che in questa regia “gli sguardi si fanno spazio”. Nell’angusto palcoscenico del teatro Verdi ad essere molto ben distribuiti sono infatti la distanza e l’intensità delle occhiate tra i personaggi.
Dopo cinque ore - comprensive di due intervalli - fa piacere constatare che il pubblico del teatro Verdi, molto affollato, tributi un successo caloroso per tutti gli artefici dello spettacolo: si ascoltano, dopo il profluvio delle note di Wagner, quello di applausi vivaci, prolungati, indice di sincero e meritato apprezzamento per tutti.
Buona la prima per Die Walküre a Salerno!
E il prossimo titolo in cartellone al teatro Verdi, i prossimi 25 e 27 aprile, sarà Norma, opera amata da Richard Wagner: il caso vuole che tout se tient.
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