La Dama e i demoni
Dopo oltre quindici anni ritorna al Regio il capolavoro di Čajkovskij con un cast di alto livello di interpreti slavi, ad eccezione della Contessa di Jennifer Larmore, autrice di una prova hors concours di invidiabile brillantezza
TORINO, 16 aprile 2025 - Una parte significativa de La dama di picche di Pëtr Il’ič Čajkovskij fu scritta a Firenze tra l’inverno e la primavera del 1890, quando il compositore arriva nel capoluogo toscano il 30 gennaio e vi rimane alcune settimane in cui si dedica per intero al suo capolavoro teatrale. Non è unicamente un periodo di applicazione indefessa. Dalle sue lettere emerge una persona curiosa non solo delle bellezze della città ma anche degli spettacoli locali. A colpire è soprattutto la stroncatura di un’Aida cui assiste a più recite nel mese di febbraio: dapprima critico nei confronti dei cantanti, dopo due rappresentazioni il maestro non risparmia neppure Verdi, parlando di orchestrazione ‘rozza’ e ‘quasi volgare’. Ora, ipotizzando a discolpa che abbia assistito a serate male assortite con cast e direttori poco felici, il nostro uomo di musica se ne intendeva e il suo giudizio spietato sul dominatore del melodramma italiano ottocentesco più che una condanna di valore estetico appare il frutto di un’idiosincrasia nei confronti del genere. Il genio pietroburghese appartiene a un universo differente, e se a Verdi (così come a Rossini, Wagner, Musorgskij, per non fare che alcuni esempi) sono sufficienti poche sillabe e un accordo per disegnare un dramma e fare del teatro, il teatro di Čajkovskij è di altra natura, quasi metafora del teatro e non teatro in sé. ‘Se quel guerrier io fossi…’: tre battute di declamato, due squilli di tromba e trombone e siamo nel pieno di un’atmosfera militaresca. Nell’inizio del terzo atto (scena quinta) della Dama di picche siamo in caserma nella stanza di German e la situazione è diversa ma, sebbene la scrittura degli ottoni sia straordinaria, il richiamo alla vita militare, intesa come conflitto con l’animo solitario e tormentato di German, è molto più sfumato.
Nella rappresentazione di questa Dama di picche al Regio di Torino l’impressione è piuttosto quella di trovarsi di fronte a un grandioso oratorio profano dove ispirazione inesauribile, idee melodiche meravigliose, armonie raffinatissime, orchestrazione sofisticata convivono accanto a una mancanza abbastanza accentuata della visione teatrale dell’insieme. Ciò non toglie che vi siano pagine eccellenti che non si finirebbe di ascoltare per ore, all’interno di un’opera concepita sulla carta a numeri chiusi pur con un sapientissimo uso di temi conduttori, evidenti e sotterranei, nonostante il libretto abbastanza convenzionale approntato dal fratello Modest riducendo e adattando il celebre racconto omonimo di Aleksandr Puškin.
Lo spettacolo del regista Sam Brown, ripreso per l’occasione da Sebastian Häupler, nuovo allestimento del teatro in coproduzione con la Deutsche Oper di Berlino, è nel suo complesso sfarzoso e intrigante, in primo luogo per merito dei costumi di Stuart Nunn, che ricostruiscono con minuzioso puntiglio l’epoca della Pietroburgo di Caterina la Grande in cui è ambientato il testo e, nelle numerose variopinte scene di massa, non viene mai la sensazione di fastidioso assembramento, di conflitto cromatico, sempre in agguato dietro l’angolo.
Un plauso deve essere tributato alla coreografia di Ron Howell, che prevede interventi danzati nel secondo e terzo atto gestiti con perfetto tempismo tra movimento e narrazione. Assai semplice, la scenografia consiste in un ampio emiciclo composto da pannelli mobili da cui entrano ed escono i personaggi e, di volta in volta, con pochi accorgimenti, sono calate dall’alto o scorrono dai lati pareti divisorie ed altri elementi a caratterizzare i differenti contesti, grazie anche alle luci curate da Linus Fellbom. L’unica pecca di una performance che funziona è la sensazione che a volte si voglia calcare la mano, attribuendo all’accoppiata Puškin/Čajkovskij un significato che probabilmente va al di là delle intenzioni dell’arte. L’idea di fondo è senza dubbio buona: cos’è l’argomento se non la torbida vicenda di un uomo ossessionato dall’idea del denaro facile, che, oggi come allora, può portare alla rovina con il gioco persone altrimenti destinate a una vita degna? Certo, nella semplificazione di un’opera lirica i sentimenti sono netti e assoluti: Liza è una gemma purissima, German è un dissoluto tormentato da perenni fantasmi per cui è esclusa dall’inizio ogni possibilità di redenzione, la Contessa un’apparizione soprannaturale al di sopra delle alterne vicende umane, il principe Eleckij un individuo freddo e vendicativo, e così via. L’idea di Sam Brown, ribadita nell’intervista all’interno del bel libretto di sala, di un protagonista capace di vedere solo il lato ‘perfetto’ della vita altrui può ben situarsi ai nostri giorni, in un mondo influenzato dai social media dove si tende a mettere in mostra un’esistenza luccicante (viaggi, cene lussuose, relazioni ideali) ma ogni fatto va soppesato con il contesto originario, quando a prevalere era la cupezza demoniaca di romanzi del calibro de Il giocatore di Dostoevskij, temporalmente a metà strada fra il racconto puskiniano (1834) e l’opera di Čajkovskij, con i suoi abissi di inquietudine anticipatori dell’imminente Sinfonia Patetica.
Appaiono di conseguenza forzature fuori luogo la festa del secondo atto (orbato dell'intermezzo pastorale) con i danzatori intenti a mimare espliciti atti sessuali a cavalcioni di sedie trasparenti, oppure la trasformazione della Contessa in una diva d’antan intenta che maneggia un polveroso proiettore meccanico per mostrare i filmati del suo passato glorioso, con l’ennesimo ricorso agli inflazionati filmati in bianco e nero, clichè che pare ormai adattarsi a tutti le situazioni nelle moderne regie operistiche.
Il versante musicale è, con ogni probabilità, quanto di meglio oggi si può trovare in questo tipo di repertorio. Il volenteroso e giovane direttore Valentin Uryupin non sarà Gergiev ma dimostra una profonda conoscenza della partitura, mantiene tempi serrati senza causare perdite di concentrazione o cali di tensione nel pubblico in tre ore abbondanti di musica (quasi quattro di spettacolo con i due intervalli), cantata in lingua originale con l’ausilio dei soprattitoli in italiano e inglese. Uryupin è vigoroso e stringato nelle scene corali, imprime all’orchestra il necessario slancio per fungere da motore dell’azione anche nei punti in cui il modesto libretto langue di inventiva, lasciando viceversa spazio ai cantanti senza mai coprirli nelle effusioni liriche più spiegate come nei momenti di intima e appena sussurrata commozione. Forse, qua e là, alcune raffinatezze visibili all’occhio sfuggono all’orecchio, ma il suo approccio all’impegnativa e variegata creazione del compositore è umile a sufficienza per non peccare di superbia ma non remissivo da venirne sopraffatto e gli consente di trarre dagli ottimi professori del Regio un buono scavo sia timbrico che dinamico. Se l’operazione Dama va in porto senza imbarcare acqua, bisogna riconoscere i pregi della compagnia vocale.
Il mezzosoprano statunitense Jennifer Larmore, unica fra gli interpreti principali non madrelingua (o quasi) di un cast quasi tutto slavo, è una Contessa di notevole fascino e mantiene intatti sia lo smalto di una tessitura che non teme l’acuto sia un physique du rôle che la vede ancora splendida interprete ultrasessantenne di una parte che, nell’immaginario collettivo, dovrebbe essere ricoperta, se mai esistesse davvero, per fare un paragone con il teatro di prosa, da una sorta di Paola Borboni rediviva nei suoi estremi anni.
Liza, impersonata dal soprano Zarina Abaeva, dispone di mezzi di prim’ordine, muovendosi con leggerezza e sicurezza tra le volute di un ruolo assai lirico ma a suo agio nelle regioni inferiori del registro con bruniture e increspature naturali che, poco prima del volo nella gelida Neva, ne accentuano la drammaticità disperata del fraseggio.
Sul versante maschile Mikhail Pirogov impersona, con un timbro tenorile a 360 gradi, gli splendori e le miserie di German, con un canto duttile nel passare da ferocie temibili a improvvise dolcezze, quasi un bipolare ante litteram, abilmente condotto sul filo di un’intonazione sempre calibrata e continua, ma capace altresì di esprimere con rara efficacia l’angoscia di un’anima smarrita attraverso un periodare spezzato e partecipe.
Il baritono Vladimir Stoyanov, principe Eleckij, è l’unico, al di fuori di German e Liza, a guadagnarsi un applauso a scena aperta nell’aria del terzo quadro (secondo atto) avvolgendo l’uditorio con il caldo afflato di una voce morbida, espansiva e squillante, dall’ineccepibile messa a punto dal primo all’ultimo respiro.
Di ragguardevole bravura sono gli ulteriori, numerosi interpreti, dal conte Tomskij del baritono Elchin Azizov, cui si deve una spumeggiante canzone nella sala da gioco, ultima oasi spensierata prima della catastrofe finale, alla Polina del contralto Deniz Uzun, convincente nel duetto con Liza accompagnate sul palco dal pianoforte di Jeong Un Kim. Completano il gruppo i tenori Alexey Dolgov (Čekalinskij) e Joseph Dahdah (Čaplickij e Maestro di cerimonie), i bassi Vladimir Sazdovski (Surin) e Viktor Shevchenko (Narumov), il mezzosoprano Ksenia Chubunova (governante) e il soprano Irina Bogdanova (Maša).
Menzione speciale al coro del Teatro Regio che, sotto la guida di Ulisse Trabacchin, si conferma tra le migliori compagini del paese, meritevole di elogio particolare per la complessità e la difficoltà degli interventi in un’opera che lo vede attivo con compiti di primo piano in ciascuno dei sette quadri che la compongono.
Pubblico numeroso, coinvolto e plaudente, ad eccezione di uno sparuto manipolo che lascia la sala durante il primo intervallo e un altro, poco più numeroso, che lo segue durante il secondo. Per loro, Čajkovskij è come una medicina: va preso a dosi progressive. Alla prossima Dama di picche, tra dieci o quindici anni, ce la faranno ad arrivare in fondo.
Leggi anche
Roma, Pikovaya Dama, 25/06/2015
Bologna, concerto Uryupin/Khachatryan, 26/03/2022
Bologna, concerto Baryshevskyi / Uryupin, 23/11/2019