L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Pragmatismo mahleriano

di Mario Tedeschi Turco

L'esperienza di Marcus Bosch conduce felicemente l'orchestra dell'Arena alla prima esecuzione veronese della Settima di Mahler

VERONA, 16/05/2025 - Sinfonia mai eseguita prima dal vivo a Verona, la Settima di Mahler, e dunque occasione significativa da un ampio punto di vista culturale quella offerta da Fondazione Arena nella sua stagione concertistica al Filarmonico. Chiamando un direttore come Marcus Bosch, con il quale l’orchestra areniana ha collaborato a partire dal 2004 per un allestimento del Tristan, si affida a un solido kapellmeister di notevole erudizione tecnica e storica, sia per la vasta esperienza in sala da concerto (per lo più nell’area germanica: Aquisgrana, Halle, Norimberga, Wiesbaden, Rostock), sia per il magistero accademico che lo vede ordinario presso l’Università di Monaco HMTM. Si è trattato di una scelta opportuna, perché la pur buona orchestra veronese, alle prese con la «sfacciata polifonia» di Mahler, si affacciava su un repertorio lontano dalla sua pratica comune (non inedito, peraltro: nel novembre del 2023, all’auditorium Cariplo di Milano, ha eseguito la Sesta con buon riscontro critico, per esempio), e soprattutto la difficile scrittura per gli ottoni e di conseguenza il calcolo dei pesi fonici da equilibrare tra le sezioni risultavano essere un problema da affrontare con particolare cura e attenzione. Guardando alla globalità dell’interpretazione, Bosch ci è parso puntare molto su un suono denso, agglutinato, in modo da ottenere in primo luogo una qualità fonica di fondo scuro, cui i bagliori improvvisi dei corni e delle trombe fungessero da taglio espressivo a forte carattere drammatico: smorzando dunque gli archi a dinamica trattenuta, stringendo – ma non troppo - i tempi (1 ora e 11 minuti la durata complessiva dell’esecuzione), il contrappunto con legni e ottoni è risultato particolarmente brillante, tinteggiando l’ordito sinfonico con luci e ombre che bene hanno rappresentato l’oscillazione formale tra eredità romantica e tagliente modernismo. La quale ultima fattispecie è stata ottimamente resa nello Scherzo («Danza di ombre», come da indicazione mahleriana), con il suo valzer destrutturato semi-grottesco, in cui Bosch ha ottenuto dall’orchestra un dettaglio di variazioni ritmiche al limite del virtuosismo puro. Forse un po’ meno riusciti i momenti più schiettamente lirici della partitura: la seconda sezione dello sviluppo del primo movimento, per esempio, è parsa carente di abbandono, di canto libero, così che la staticità sognante dei motivi sui richiami delle trombe e delle campane non è giunta con il pathos auratico possibile; similmente, nella seconda Nachtmusik, l’aggettivo «amoroso» a qualificarne l’ispirazione sentimentale non ci è sembrato realizzato in maniera effettiva, i passaggi di mandolino e chitarra risultando piuttosto schiacciati dalla massa orchestrale. Decisamente riuscite, per contro, le campiture di epica pura, in particolare il controverso finale, risolto da Bosch in un perfetto accordo tra sublime e triviale in quanto dettagli necessari per esprimere la tensione tipicamente mahleriana verso l’Altrove, il lontano-da-qui, esaltando il Do maggiore trionfante innestato su continui cambi di tempo e gesto inattesi, magnificamente sostenuti dall’orchestra, attentissima al gesto direttoriale eloquente e sobrio, esemplare per chiarezza espressiva e richiamo al dettaglio strutturale. Si è trattato infine di un’interpretazione di altissima professionalità, ennesima prova dei progressi cospicui della compagine areniana, ormai uno strumento duttile in grado di risultare all’altezza di sfide di ogni tipo. Il pubblico, purtroppo non numeroso ma attentissimo, ha giustamente premiato direttore e orchestra con applausi entusiasti.

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