Tutto Šostakóvič
Riuscito omaggio al grande compositore sovietico nel cinquantesimo della morte: al Filarmonico di Verona Ettore Pagano è interprete di valore assoluto del Secondo Concerto per violoncello e orchestra, Dmitry Jurowski dirige con intelligenza analitica anche la Quindicesima Sinfonia.
VERONA, 28/02/2025 - Serata per onorare il cinquantesimo anniversario della morte di Šostakóvič, al Filarmonico: la Fondazione Arena ne ha proposto il Concerto n. 2 per violoncello e orchestra e la Sinfonia n. 15, arruolando per l’occasione il direttore Dmitri Jurowski e il violoncellista Ettore Pagano, per un’immersione totale nell’ultimo periodo creativo del grande compositore, con due lavori che in qualche modo fungono da repertorio di paradigmi stilistici diversi, esperiti nel corso della vita creativa di un musicista come pochi capace di dar forma all’immaginario sonoro del 900.
Ultima delle opere per solista e orchestra scritta da Šostakóvič, dedicata a Rostropovič nel 1966, l’op. 126 richiede al violoncellista uno sforzo notevole, essendo lo strumento protagonista assoluto della scrittura, con una notazione di estrema complessità tecnica e altrettanta densità espressiva. Dall’assorta melodia cantata al principio, che piano piano si trova a contrasto con nuovo materiale tematico maggiormente vivace con l’apporto determinante dello xilofono, fino alla climax drammatica e alla breve cadenza, prima della ripresa del tema d’apertura, Ettore Pagano ha reso evidenti tutte le qualità dell’interprete di categoria superiore: intonazione impeccabile, braccio destro cantante di lirismo appassionato, passaggi di posizione alla mano sinistra risolti con facilità addirittura irrisoria, transizioni di dinamica a gradazione diversa fluide, espressive, poetiche. Nel terzo movimento, l’oscillare tellurico della scrittura tra lirismo acceso, fanfare, marce sardoniche, esplosioni percussive, reminiscenze dell’elegia del primo movimento, con Pagano e la direzione di altissima precisione di Jurowski ha risuonato nelle sue mille iridescenze sonore con una proprietà stilistica ammirevole e, quel che più conta, plasmando un soundscape novecentesco di plastica qualità narrativa, in cui passione, rimpianto, dramma, contraddizioni e speranze del secolo breve, nel pieno della guerra fredda, si sono mostrate nella loro trasfigurazione intellettuale più sofferta e sentita. Prova eccellente dell’orchestra areniana, e trionfo personale di Ettore Pagano, che ha offerto tre bis: prima dell’immancabile numero bachiano, l’interessantissimo Black Run di Svante Henryson (2001), che compone strutture accademiche con glissandi bluesy e impiego percussivo della cassa di risonanza, e Lamentatio di Giovanni Sollima (2003), che richiede anche il canto vocalico del solista in una melopea orientale/arcaizzante forse un tantinello retorica, ma di sicuro impatto. E va da sé che sia l’iper-virtuosismo di Henryson, che gli accenti accorati di Sollima sono stati resi da Pagano con una brillantezza e una intensità di presenza da lasciar senza fiato. Un musicista di valore assoluto.
Seconda parte della serata occupata dalla Quindicesima sinfonia, come detto. Jurowski opta per una lettura di ordine strutturale: gesto estremamente controllato, nessun cedimento retorico, braccio destro al cronometro e sinistro al rilievo espressivo ridotto al minimo, ha guidato un’orchestra attentissima attraverso il racconto “autobiografico” di Šostakóvič, reminiscente dei tanti gesti diversi che ne hanno accompagnato le scelte stilistiche nei decenni del suo lebenswerk: frantumazioni ritmiche come elegie melodiche, scatti rabbiosi di guerra come oasi di pace e serenità, fatalismo cosmico e (scarsa) fiducia residua nella pienezza esistenziale: Jurowski pare leggere in questa chiave auto-analitica il ricchissimo materiale della Sinfonia, così che quando risuonano, nell’ultimo movimento, le citazioni wagneriane (il tema dell’enigma del destino dal Ring accompagnato dal rullo di timpani quale tema esogeno della morte, nonché le prime note del preludio del Tristan) abbiamo avuto davvero l’impressione del suggello testamentario, l’agogica opportunamente trattenuta e l’omogeneità dinamica controllata, onde far risuonare alla massima densità l’aura di congedo che queste pagine memorabili portano con sé. Per accuratezza, nitore, puntualità e rigore, Jurowski ha condotto l’orchestra veronese in una prova di qualità tecnica e poetica davvero rimarchevoli, salutato da un pubblico singolarmente attento e partecipe con numerosi, convintissimi applausi.
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