L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rachmaninov interiore

di Mario Tedeschi Turco

Pubblico in delirio, al Teatro Filarmonico, per l’attesissimo Terzo concerto di Rachmaninov con Mikhail Pletnëv. In programma anche una prima esecuzione italiana, Brink (2020) di Donnacha Dennehy, e l'omaggio a Béla Bartók con il Mandarino meraviglioso.

VERONA, 28 marzo 2025 - Fondazione Arena è particolarmente attenta alle scadenze di anniversario, nella sua programmazione, e così, dopo il buon concerto dedicato al cinquantesimo dalla morte di Šostakovič, venerdì sera al Filarmonico è stata l’occasione per celebrare l’ottantesimo dalla morte di Béla Bartók, anteponendo all’attesissimo Terzo concerto di Rachmaninov con Mikhail Pletnëv l’esecuzione della suite dal balletto-pantomima Il mandarino meraviglioso. Il direttore Ryan McAdams ha scelto altresì di proporre, in prima esecuzione italiana, Brink (2020) di Donnacha Dennehy, compositore irlandese nato nel 1970, direttore artistico del Crash Ensemble dublinese, di cui McAdams è direttore principale: un gruppo di dieci strumentisti particolarmente versati specie nel totalismo post-minimalista, ma che si apre a una molteplicità di esperienze compositive diverse. Come appunto questa miniatura di Dennehy, che si misura in una micro-forma per grande orchestra di soli 5 minuti, con una poliritmia di notevole impatto immediato per slancio propulsivo e sintesi pur breviloquente di intenzionalità sonora elettrizzante, nel più tipico stile contemporaneo, contesto di pulviscoli folclorici (il tactus da reel irlandese all’inizio, per esempio), di intensità cinetica, di febbrile slancio che diresti teatrale, davvero in corsa verso il limite massimo, così come suggerito dal titolo. Nella prima parte del concerto, dopo questo interessantissimo antipasto, McAdams, assumendo il colore quale cifra stilistica fondante il sinfonismo di Bartók, chiede e ottiene dall’orchestra veronese impasti sonori che svariano dalla macchia estesa al filo sottilissimo, badando bene a rendere contemporaneamente lo stagliarsi dei motivi e degli incisi tematici attraverso trilli, tremoli a armonici, resi per lo più con trasparenza, ma non sempre con l’adeguata ricchezza dinamica e talora affrettando un po’ il passo, pur complessivamente cogliendo della partitura le formidabili novità di scrittura e l’assoluta originalità. Si è trattato di una lettura certamente appagante, che bene ha altresì fatto udire, nella dialettica del fraseggio, del contrappunto e delle iridiscenze timbriche scandite da un ritmo di implacabile irruenza, come l’arte di Bartók, nella sua idiosincrasia irriducibile a paradigmi, sia catalizzatrice di energie creative diverse (da Wagner, a Liszt, a R. Strauss, passando per certa Francia di primo 900 per finire a Stravinskij e all’espressionismo viennese), tutte riconducibili, per McAdams, a un peculiare entusiasmo di scoperta e conseguente trionfo fonico puro, come se il compito primo del compositore sia stato quello, all’alba del nuovo secolo, di plasmare un nuovo immaginario sonoro: di qui l’analisi del direttore di certi dettagli degli archi, nonché la tendenza alla plasticità rilevatissima dei volumi, che se talora, come detto, non sono parsi adeguatamente variati, certamente hanno reso la partitura di rocciosa, penetrante qualità drammatica.

Passando a riferire del Terzo concerto di Rachmaninov nella visione di Pletnëv, sarà bene metter da parte ogni paragone con l’epica superumana di un Horowitz o, più di recente, con quella di Volodos, così come con il virtuosismo strutturale di Ashkenazy, o con quello funambolico di Weissenberg, giusto per fare dei nomi cui l’immagine del compositore russo è strettamente legata. No, Pletnëv concepisce il suo Rachmaninov secondo una direttrice lirica tutta interiore, sottraendo ogni visceralità e ogni magniloquenza. Nella compostezza ben nota di un corpo pressoché immobile, lo sguardo perso a volte verso l’alto, altre voltato verso un imprecisato punto della platea, Pletnëv pare nemmeno muovere gli avambracci, lasciando alla sola pressione digitale il compito di scovare ogni tipo di nuance con la quale ricamare temi, motivi, variazioni e cadenze del testo d’impianto. La proverbiale aura cristallina del suono del suo Shigeru Kawai, in questo Concerto, ha avuto modo quindi di stagliarsi con un legato di musicalità purissima, con una pedalizzazione estremamente sobria, cui l’orchestra di McAdams ha ottimamente risposto – e non era facile – dosando volume e dinamica in sintonia perfetta con la fantasia profondamente assorta del solista. C’è stato di che sentirsi spiazzati nell’elusione totale dell’estroversione eroica cui si è abituati, anche pensando al famoso live dello stesso Pletnëv con Gergiev del 2003, nel quale il solista esibiva una carica di energia fosforescente impareggiabile, ma certo più in linea con l’immagine del brano così come cristallizzata nella tradizione. Nel ripensamento sempre rinnovato del noto, del resto, un interprete di livello superiore è in grado di lumeggiare aspetti di partiture che ritenevi acquisite una volta per tutte: e così, brume autunnali sono scese al Filarmonico, dinamiche prima mai udite di mezzoforti che portano in primo piano voci secondarie della scrittura; climax trattenute che corrono verso profondità meditabonde, in luogo dei trionfi iper romantici che pure lo stile di Rachmaninov sembra dare per scontati. Il Pletnëv di questi ultimi anni è interprete in cui il soggettivismo al limite dell’arbitrio diviene poesia, nella quale svanisce il Rachmaninov inteso quale estremo cantore dell’entusiasmo passionale, e riappare invece come latore di un’elegia nostalgica, chissà, forse consapevole del termine di un certo modo d’intendere la musica. Così, nei ritenendo di Pletnëv, nei suoi scarti dinamici, nelle sue tensioni alla ridefinizione timbrica e nella sua scomposizione delle linee di figura/sfondo, trovi la reinvenzione (o riscoperta?) del romanticismo come inno alla libertà performativa, come incontro, necessario e vitale, di creatività diverse a incontrarsi in un luogo terzo, in cui l’espressione e il senso vivono in modo mai prevedibile. Forse anche parziale e certamente discutibile, ma altrettanto certamente organico, coerente, e reso con un nitore tecnico e un’autoconsapevolezza indubitabili. Pubblico in delirio e un bis čaijkovskiano, per una serata da meditare a lungo.

Leggi anche

Palermo, concerto Pletnëv/McAdams/OSS, 24/01/2025

Palermo, concerto Pletnëv, 15/12/2023

Parma, concerti Wellber/Vogler/Pletnëv / Filarmonica Toscanini, 05/06/2023

Roma, concerto Pletnev, 12/12/2022

Verona, concerto Pletnev, 19/09/2022

Bologna, concerto Pletnëv / Downie Dear, 21/02/2022

Bologna, concerto Soltani/McAdams, 08/11/2021


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.