L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Classico Chopin

di Mario Tedeschi Turco

Il pianista Arsenii Moon torna a Verona per la stagione sinfonica della Fondazione Arena con Giuseppe Mengoli sul podio.

VERONA, 4 aprile 2025 - È tornato a Verona dopo l’ottimo recital solistico dello scorso ottobre Arsenii Moon, questa volta con l’orchestra dell’Arena per un Concerto n. 1 di Chopin insieme al direttore Giuseppe Mengoli, nel quarto appuntamento sinfonico della stagione al Teatro Filarmonico, piacevolmente affollato nelle ultime occasioni. I rilievi positivi che all’epoca avevamo proposto, riguardo all’approccio interpretativo di Moon, ci sono sembrati ampiamente confermati: si tratta di un artista estremamente concentrato, alieno da pose istrioniche e da ostentazioni virtuosistiche, ben sintonizzato sul senso della musica da eseguire, sobrio ed equilibrato sia nella postura, che nell’analisi del testo da eseguire. Il che ha significato, con questo autunnale capolavoro del giovane Chopin, fraseggio composto, gamma dinamica ampia, rubato appropriato e – cosa che ci sembrava avesse latitato nella serata in cui l’avevamo ascoltato – un bel piglio epico nei momenti che sono evidentemente così orientati nella scrittura chopiniana. Così, il dominio assoluto del pianoforte sull’orchestra, in questo Concerto, è spiccato con rilievo, la direzione di Mengoli assicurando tuttavia il giusto equilibrio che staglia la forma classica pensata da Chopin per questa sua prima prova concertante, in modo tale da dare plasticità particolare alla Romance centrale, e alle linee recitanti del solista, rese da Moon con bella varietà timbrica e intenso lirismo. Del pari, la climax drammatico/patetica della sezione in Do Maggiore, nel medesimo movimento, ha trovato nel solista quella densità espressiva, quella forza teatrale necessaria onde rilevare il carattere contrastivo, acceso di passione, che quel segmento strutturale possiede in modo particolarmente intenso. Ma tutti i vari passaggi del testo sono stati dominati con sicurezza dal pianista, che ha trovato un’intesa di tempi e attacchi con l’orchestra di Mengoli ugualmente precisa. Sentimento e non svenevolezza nell’espressione; energia senza violenza nel tactus; sicurezza digitale senza esibizionismi nelle agilità; legato funzionale alla forma e pedale di risonanza relato all’aura romantica pur necessaria, ma senza forzature: un ottimo esempio, questo di Moon e Mengoli, della sostanza stessa del classico come recepito negli anni ’30 dell’800. Due bis dopo le acclamazioni del pubblico: una Campanella Paganini/Liszt con la quale Moon ha fatto vedere che, volendo, può anche dar fuoco alle polveri d’un concertismo esteriore – nel quale speriamo continui a non cadere, e infine un’intensa Siciliana di Bach (trascrizione nel Concerto BWV 596 dall’RV 565 per due violini di Vivaldi, e riscrittura moderna di Arcadi Volodos).

Seconda parte della serata dedicata alla Pastorale di Beethoven. Pregi? Pulizia, precisione di attacchi, tempi adeguati e giustamente variati secondo indicazioni di scrittura. Mengoli ha un bel gesto ampio, attento, d’impulso ritmico costante: non usando la bacchetta, tende però a dare enfasi che non trova calibratura perfetta nelle varie sezioni. Così, meno pregevole ci è parsa una certa uniformità di fraseggio nei primi due movimenti, una certa piattezza dinamica, carente di forza nell’Allegro ma non troppo e di dolcezza nell’Andante molto mosso, nel quale peraltro hanno spiccato per nitore i legni dell’orchestra. Meglio i restanti movimenti, anche se le pure esplosioni sonore del temporale e del ritorno solare avrebbero potuto certo essere più conteste di entusiasmo panico, per dir così, lavorando di più e meglio sui volumi fonici che ci son parsi un po’ troppo compassati, generalmente con archi acuti troppo presenti a velare ottoni un po’ timidi. Niente di grave, ed esecuzione apprezzabile in ogni caso, specie per la volontà di Mengoli di donare comunque all’esecuzione un taglio drammatico deciso, lontano dalle secchezze “storicamente informate” che – eseguite da chi non sia specificamente formato all’uopo – tante volte aduggiano il repertorio della prima parte del XIX secolo: è che quando ti cimenti con certi colossi epocali le aspettative sono sempre altissime, e talora la forma non s’accorda all’intenzion dell’arte, per citare il Padre. Vivo entusiasmo nel pubblico, in ogni caso, anche tra i molti giovani presenti: ed è stato questo uno degli aspetti più belli della serata.

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