L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ridipingere i quadri

di Roberta Pedrotti

Arsenii Moon (o Mun) ottiene un calorosissimo successo al Teatro Rossini di Pesaro con un recital di straordinario livello tecnico e libertà espressiva talvolta estrema.

PESARO 1° dicembre 2024 - L'onda lunga del primo premio al Busoni conferito all'unanimità dalla giuria (caso rarissimo, che vale anche il premio Benedetti Michelangeli) non cessa di porre Arsenii Mun (o Moon, secondo la grafia che sembra preferire ora) al centro dell'attenzione. Giusto un anno fa l'avevo ascoltato in uno dei concerti legati alla vittoria, con un convincente Terzo di Beethoven a Treviso [Treviso, concerto Mun (Moon)/Bonato, 13/12/2023]; ora, un pomeriggio pesarese già proiettato alle atmosfere natalizie offre l'occasione di visitare, nell'ultimo giorno utile, la bella mostra Rossini a Londra nella casa natale del compositore e poi di ascoltare il venticinquenne russo in recital per la stagione dell'Ente concerti.

Bach/Busoni, Mozart, Chopin, Rachmaninov, Musorgskij: quella che ci propone è senz'altro una bella carrellata di pezzi forti che attraversano il repertorio con infallibile presa sul pubblico, permettendo al solista di sfoderare tutte le sue carte di virtuoso e interprete. Non v'è dubbio che siano carte vincenti: che Mun possa vantare una tecnica superlativa e un controllo eccellente del suono pare quasi tautologico. La sua è una tavolozza sfacciatamente ampia, di fronte alla quale ogni scrupolo filologico o stilistico passa in secondo piano. La fantasia bachiana di Busoni si lega più alla prassi pianistica tardo romantica che all'ideale richiamo all'astrazione cembalistica; la Sonata Parigina di Mozart pure non ci parla di un classicismo ancora permeato dal linguaggio galante e già proiettato verso tinte protoromantiche: Mun preferisce abbandonarsi alla suggestione di soffici rarefazioni o liberi giochi di pedale, fra i quali splende il nitore dell'articolazione e dell'abbellimento. La stessa impronta, non priva di fascino, segna l'Andante spianato e gran Polonaise brillante di Chopin, un'apoteosi del rubato e libertà, senz'altro magistrale nel controllo e abbagliante nell'effetto.

Di fronte a queste premesse in termini di tornitura del suono, di dominio dinamico e propensione per un libero, personalissimo lirismo accrescono le aspettative per la seconda parte del programma, che pare particolarmente affine alle sue corde, tutta russa: l'Étude tableaux n. 39 di Rachmaninov è seguito senza soluzione di continuità dai Quadri di un’esposizione di Musorgskij. Qui, però, il venticinquenne di Sanpietroburgo pare eccedere nel voler dipingere con colori propri, tanto che pure i contorni ne risultano alterati. Man mano che si procede sembra che ai singoli quadri si sovrapponga un nuovo affresco ora caratterizzato da elaborazioni ardite ora da ampie campiture. Fra le metamorfosi della Promenade, lo gnomo, il castello, i giochi infantili o i pesanti carri diventano occasioni per un continuo lavorìo di rubati, ritenuti, accelerando, rallentando, crescendo e diminuendo. La danza dei pulcini nei loro gusci si scompone imprevedibile proiettandosi in avanti nel tempo di qualche decennio (dai Cinque russi ai Sei parigini, diremmo), i profili di Goldenberg e Schmuyle talmente elaborati da confondersi sprofondare nelle catacombe con tutti il mercato di Limonges, con uno balzo di zampe di gallina che rende la capanna di Baba Yaga quasi più imponente delle porte di Kiev. Tutto è suonato splendidamente, ma quella stessa virtù nel tocco, quella fluidità nella gestione di una così ampia gamma di sfumature che rendeva plausibile un Mozart così poco settecentesco, in Musorgskij giunge a un estremo che pone legittimi dubbi e a farsi fine più che mezzo. La libertà dell'interprete non arriva soltanto a esporre i quadri sotto una luce e in un'angolazione originale, ma arriva in più punti a rielaborarli tanto da trasformarne radicalmente la fisionomia. Non c'è dubbio questo sia reso con un pianismo di altissima qualità, tuttavia ci si chiede se questo effetto valga l'operazione, se stiamo ascoltando un'interpretazione o una riscrittura dei Quadri di un'esposizione.

Il fatto che Mun stia imboccando una linea interpretativa sempre più libera è confermato dai bis, i medesimi (una mazurka di Chopin e la Campanella di Liszt da Paganini), che sicuramente affascinano un pubblico già entusiasta e confermano la maestria nel gioco di rubati e ritenuti, nella ricerca di sonorità impalpabili e felpate quanto sgranate e brillanti. Una maestria che sembra tuttavia pure sempre più tentata di reclamare scettro e corona di sovrana assoluta.

Leggi anche:

Verona, Concerto Moon (Mun), 21/10/2024

Treviso, concerto Mun (Moon)/Bonato, 13/12/2023


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