Harding e Kang
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ospita il secondo concerto della stagione diretto dal suo direttore stabile, Daniel Harding: il Prélude à l’après-midi d’un faune di Claude Debussy, il Concerto per violino e orchestra n. 2 in sol minore op. 63 di Sergej Prokof’ev e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 di Johannes Brahms. Solista, al posto dell’attesa, ma indisposta, Lisa Batiashvili, è stata Clara-Jumi Kang.
ROMA, 29 novembre 2024 – Il direttore musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Daniel Harding, ritorna, dopo la Tosca di apertura, a dirigere la maggiore orchestra romana in un concerto di brani a cavallo fra ‘800 e ‘900, che spazia da Brahms a Prokof’ev.
La serata si apre con il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy. Harding legge la partitura con inaudita freschezza: lo si intuisce già dall’assolo del flauto in apertura (Andrea Oliva), dove l’esecutore gioca, fin dall’inizio, con accelerazioni e rallentamenti per interpretare l’ipnotica e seducente melodia. Harding vivacizza tutto il brano proprio seguendo questa stessa dinamica: in alcuni passaggi rallenta morbidamente la melopea orchestrale, soprattutto quando gli archi cantano tenendo sensuali frasi, mentre accelera, rilasciando ritmo che inargenta i guizzi dei legni, gli accordi dell’arpa. L’effetto è quello di un movimento dinamico, di evocativa sensualità: Harding, peraltro, è attentissimo al volume dell’orchestra, che modula a seconda del momento della partitura, riuscendo a generare lunghi crescendo, di magnifica fattura. Il risultato è un’esecuzione vibrante, ricca di colori, come pure dolcemente sensuale: insomma, irresistibile.
Segue il Secondo concerto per violino di Prokof’ev. L’attesa Lisa Batiashvili, che ha già eseguito questo concerto in Accademia (leggi la recensione) ma è costretta a cancellare i concerti romani per motivi di salute, viene sostituita in extremis da Clara-Jumi Kang, violinista di origini coreane, cresciuta in Germania. La Kang, al suo debutto in Accademia, regala una straordinaria performance. Kang è dotata di una tecnica sopraffina che gli consente di eseguire le sferzanti frasi prokofieviane, irte di un virtuosismo tzigano, tanto quanto i passaggi più delicati, soffusi, sospesi, del compositore russo. La direzione di Harding è ottima, come pure la resa orchestrale. Lo si è visto nei passaggi più complessi dell’Allegro moderato (I), che si apre proprio con un assolo del violino su una melodia popolareggiante, russa, stemperata nel secondo tema, più intenso e romantico. La Kang riesce a dare un colore a tutto ciò che suona, ottenendo una pulizia ed un’intonazione magnifiche. Lo sviluppo del I movimento, con i suoi passaggi geometrici, altamente virtuosistici, risulta a tratti lievemente meccanico e si stempera in un’atmosfera che prelude al II, l’Andante assai. Se nel I la Kang doveva dosare intonazione, cromatismo e virtuosismo della corda del violino, nel II mostra le sue doti di interprete soffusa, intensamente melodica: insomma, la sua musicalità, che si traduce in un’esecuzione che si libra aerea sopra un pizzicato di archi e legni, una «specie di incessante e visionario ticchettio» (F. E. Polacci, dal programma di sala, da cui sono tratte anche le successive citazioni). L’ultimo movimento, il III, è «fortemente contrastante con il generale tono lirico di tutto il resto del Concerto, tanto è scandito da un’idea ritmica insistentemente calcata, quasi il moto scomposto e grave di una ruvida danza contadina». Harding e l’orchestra cavalcano questo ritmo incessante e la Kang non si risparmia in quanto a virtuosismo, con passaggi impervi, in un equilibrio fra accenni melodici e dissonanze ritmate, che ammanta il movimento di un appeal irresistibile. Dopo i fragorosi e meritatissimi applausi, Clara-Jumi Kang si congeda con un bis bachiano: il Largo dalla Terza sonata per violino.
Il secondo tempo dona un’appassionata esecuzione della Seconda di Brahms. Harding è maestro di volumi e colori orchestrali, che riesce a dosare sempre con notevole gusto. Il suo è un Brahms che sa interpretare l’intelaiatura coreutica di una sinfonia che, lo stesso autore, amava definire «una serie di valzer». L’Allegro non troppo, che Harding apre con un’introduzione soffusa, rischiarata dai corni, si incardina su un motivo vagamente danzante: il direttore è abile a tenere le fila dell’intero sviluppo, rendendo al meglio i colori degli impasti timbrici brahmsiani. L’Adagio non troppo è letto da Harding con splendida musicalità, tanto che il direttore riesce a restituire i sublimi passaggi di cui è composto, soprattutto le intense arcate degli archi, che si espandono e contraggono in continuazione – si è già notato quanto Harding è maestro di dinamiche orchestrali. Irresistibile l’Allegro grazioso, «di vivace leggerezza pastorale», reso con impareggiabile dolcezza da Harding, che non si risparmia nei «due scattanti e persino capricciosi Trii». La sinfonia si conclude, fra gli applausi, con un movimento (Allegro con spirito) che è pura energia e che dona ad Harding l’occasione di chiudere trionfalmente.
Leggi anche:
Torino, concerto Harding/Zimmermann/OsnRai, 31/05/2024
Roma, Concerto Harding/Lewis, 16/06/2022
Bologna, concerto Harding/Ibragimova, 31/05/2022