L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Beethoven nel Nirvana

di Alberto Ponti

La prima apparizione con l'OSN Rai di due giovani talenti avviene all'insegna di interpretazioni non banali di una coppia di capolavori del grande repertorio

TORINO, 21 novembre 2024 - Il freddo intenso e la pioggia mista a neve non hanno fermato, giovedì 21 novembre, il numeroso pubblico che si è dato appuntamento all'auditorium 'Toscanini' particolarmente affollato per una serata dal cartellone a dir poco sontuoso e di grande richiamo: al concerto Imperatore di Beethoven era infatti accoppiata la Quarta di Mahler.

Se i pezzi appartengono entrambi al più consolidato repertorio, un motivo di interesse era anche costituito dagli interpreti: Bruce Liu (classe 1997) al pianoforte e Giuseppe Mengoli (nato nel 1993) sul podio erano infatti al loro debutto con l'Orchestra Sinfonica Nazionale. Nella presentazione del pianista di origine cinese, nato in Francia ma con passaporto canadese, vincitore del concorso Chopin 2021, sul programma di sala è scritto che assomma 'raffinatezza europea, dinamismo nordamericano e lunga tradizione cinese'. Sarà. L'impressione che si ricava dal suo Kaiserkonzert è di un pieno controllo della struttura formale dell'opera, nella cui cornice si sviluppano un suono pulito e senza la minima sbavatura, un tocco sempre preciso e morbido, un fraseggio esemplare nel pieno rispetto della indicazioni in partitura. Sono tutti punti di forza, singolarmente considerati, ma a mancare sono il pathos, la tensione eroica, il conflitto tra meditazione intima ed esternazione grandiosa che informano da capo a fondo l'ultimo concerto beethoveniano. Il quale non è pagina tragica e drammatica, siamo d'accordo, ma presenta numerosissimi passi che vibrano di una possente tensione dialettica. La cascata di arpeggi dopo il primo accordo dell'orchestra, il secondo tema misterioso e sfumato contrappuntato in pianissimo dal solista, la coda che si alimenta dal legato impetuoso degli archi in crescendo ed incendia le quartine di semicrome a mani parallele del pianoforte, per limitarci al primo movimento, si risolvono quasi sempre in un effetto di carillon, in cui ogni nota riluce in modo impeccabile ma abbastanza lontano dalle intenzioni del compositore. Né le cose vanno diversamente nell'Adagio un poco mosso, vertice poetico assoluto, dove la delicata trama intessuta dalle mani di Liu, soprattutto nel registro acuto della tastiera, finisce per suonare a conti fatti uniforme e indifferenziata. Il risultato, se vogliamo curioso e originale, è quello di Beethoven trapiantato in una sorta di Nirvana dove ha ottenuto la pace dei sensi (e la medesima considerazione può farsi per lo Chopin della Fantaisie-Impromptu concessa come bis) e in questo può certamente intravedersi un influsso, se non della 'lunga tradizione cinese', almeno della cultura orientale di origine di Liu. Ed è un peccato perché, da par suo, la direzione di Mengoli, che può contare su un'orchestra apparsa in splendida forma, sarebbe di ben altro spessore, assai incalzante e precisa nel rendere contrasti e ricchezze timbriche sovente trascurate pure in esecuzioni blasonate.

La resa migliore è senza dubbio quella del Rondò, con il gioco virtuosistico fra tutti e solo che pare dipanarsi non tanto sul filo della trasparenza e del jeu perlé quanto di un robusto e terreno spirito danzante anticipatore in qualche modo della Settima sinfonia.

Giuseppe Mengoli dimostra notevoli doti di concertatore nella Quarta sinfonia, scritta da Gustav Mahler fra il 1899 e il 1900. La lettura del giovane maestro salentino che, mobilissimo sul podio, dirige senza bacchetta, è improntata a una scomposizione quasi analitica dei piani sonori dell'opera da cui scaturisce una visione personale e convincente. Soprattutto nei primi due tempi è evidente un grosso lavoro di analisi e studio di ogni singolo passo che porta ad evidenziare sottigliezze nascoste dell'universo mahleriano: ora il passaggio di una linea melodica da singoli strumenti dei legni agli archi con un effetto di vera e propria klangfarbenmelodie, ora l'alternanza tra raddoppio e indipendenza nelle parti di violoncelli e contrabbassi, ora ancora i rintocchi palpitanti dell'arpa sul nebbioso disegno di violini e viole in sordina. Si perde così una certa leggerezza complessiva ma si guadagna in chiarezza strutturale, con sguardi profetici sulla musica che verrà. Le sinfonie di Mahler sono grandi saloni sui quali affacciano numerose porte. Mengoli decide di lasciarne socchiusa una in particolare. Basta spingere un poco e già dietro di essa si intravede la Kammersymphonie di Arnold Schoenberg. Un'alta prova di valore artistico è conseguita nel meraviglioso Poco adagio, con la scelta di un tempo molto dilatato che valorizza il respiro struggente della vasta pagina. Si indica spesso la Quarta come una specie di sinfonia 'minore' nell'ambito della produzione mahleriana. Se l'asserto può essere valido, in termini relativi, per l'organico e le dimensioni, non lo è certo per la concezione. In questo senso il Poco adagio della quarta è il più grandioso, caleidoscopico (in esso si trovano rappresentati molteplici stati d'animo) e ispirato tempo lento mai scritto da Mahler fino ad allora, di molto superiore al 'cinematografico' finale della Terza.

C'è spazio, nel lied 'Das himmlische Leben' che costituisce il finale, anche per il soprano Leonor Bonilla, pronuncia tedesca perfezionabile e voce delicata e gradevole ma adatta probabilmente a un ambito cameristico più che sinfonico dal momento che oltre la decima fila della platea il canto riesce a farsi strada non senza difficoltà.

Applausi generosi e scroscianti per i solisti, le prime parti e tutta l'orchestra, in una serata di grande impegno per i musicisti con quasi due ore di durata effettiva.

Torino, concerto Piemontesi/Rustioni / OSN Rai, 25/10/2024

Torino, concerto Orozco-Estrada / OSN Rai, 14/06/2024

Torino, concerto Gatti/OSNRai, 16/05/2024

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