Il bivio della Rivoluzione
di Luigi Raso
Il bel concerto diretto da Dan Ettinger con solista Alexei Volodin affianca Rachmaninov e Šostakovič, compositori che intrapresero i percorsi opposti dopo la Rivoluzione d'Ottobre.
Il 2025 è anno di anniversari musicali. Solo per citarne qualcuno: ricorrono i trecento anni dalla morte di Alessandro Scarlatti (1660 - 1725), soltanto cinquanta da quella di Dmitrij Šostakovič (1906 - 1975). E poi gli anniversari lieti, quelli legate alle nascite: duecento candeline per Johann Strauss II (1825 - 1899), centocinquanta per Maurice Ravel (1875 - 1937), Reynaldo Hahn (1875 -1947) e Fritz Kreisler (1875 - 1962); cento tondi tondi per Pierre Boulez (1925 - 2016) e Luciano Berio (1925 – 2003). Nel 2025 ha anche compiuto, lo scorso 3 marzo, gli anni una delle opere più popolari e significative del repertorio lirico, Carmen: centocinquanta primavere portate benissimo!
Forse per caso, o forse per scelta il concerto sinfonico di cui stiamo per scrivere appare come un omaggio a Dmitrij Šostakovič nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa, che cadrà il prossimo 9 agosto. I pilastri del programma del concerto, infatti, sono del compositore sovietico gli scintillanti brani proposti in apertura e la Sinfonia n. 1 in fa minore, op. 10 in chiusura. Nel mezzo il programma prevede un brano di un altro autore russo, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in fa diesis minore, op. 1 di Sergej Rachmaninov.
Una breve digressione: nella Russia del XX secolo è stata prodotta un’enorme quantità di storia: i due compositori, Šostakovič e Rachmaninov, davanti al tornante della Rivoluzione d’ottobre (1917) scelsero strade differenti e il regime totalitario che da quella Rivoluzione derivò ebbe, sulle loro vite e sulla loro attività artistica, effetti diversi. Rachmaninov, fuggendo dalla madrepatria subito dopo lo scoppio della rivoluzione bolscevica, beneficiò di libertà artistica che fu negata a Šostakovič, il quale, da geniale compositore, malgrado i diktat artistici e le scomuniche di ignoranti e zelanti funzionari della nomenklatura sovietica, seppe conciliare, e mascherare, il suo innovativo e fervente linguaggio musicale con l’ottusità e le assurdità impostegli dal regime. Il vissuto personale non è mai estraneo all’espressione artistica: e il caso di Dmitrij Šostakovič è una delle molteplici testimonianze.
Accantonate le considerazioni sulle le tragedie provocate dalla follia criminale dei totalitarismi che hanno imperversato e insanguinato l’Europa e la Russia nel corso del ‘900, il concerto di stasera, con i brani - eterogenei ma legati da un visibile fil rouge: la spiccata capacità di assimilare e di reinventare linguaggi musicali apparentemente lontani dal proprio, quale il jazz - proposti in apertura è di quelli che ci fanno intuire dalle prime battute lo stato di salute della compagine orchestrale e la profondità del lavoro svolto dal concertatore durante le prove.
Ed ecco che la parata di brevi pezzi di Dmitrij Šostakovič - Valzer lirico e Polka dalla Suite per orchestra jazz n.1 (1934), Danza, Polka e Pizzicato dal balletto Il rivo chiaro (1935), Romanza dalla colonna sonora del film Il tafano (1955) - ha il merito di metter in mostra alcune delle caratteristiche che costituiscono le cifre connotative dell’intero concerto: la cura degli ingranaggi orchestrali, lo scintillio del suono, le scelte agogiche ben calibrate, la varietà e l’ampiezza delle dinamiche, che squarciano il velo di Maya sotto il quale aleggia il sogghigno sarcastico e dissacrante della musica di Šostakovič, una forma di reazione e di resistenza del compositore all’annichilimento imposto dal regime sovietico.
Il Valzer lirico proposto in apertura del concerto, nella ispirata e ben costruita interpretazione di Dan Ettinger, appare l’erede dei Valzer che fanno capolinea nelle sinfonie di Gustav Mahler: ma quella società e quell’Europa, le quali danzando scivolavano verso il baratro, nel Valzer di Šostakovič ora danzano sotto le sembianze di inquietanti fantasmi.
Il gioco delle prime parti dell’Orchestra del San Carlo, in spolvero e in una delle sue migliori serate recenti, è encomiabile: si segnala, nella Romanza tratta dalla colonna sonora del film Il tafano, il bellissimo solo della spalla Gabriele Pieranunzi il quale fa planare con fluidità, giusti colori e accenti e bel suono il tema esposto dal violino prima di unirsi all’intera orchestra dal suono - soprattutto quello degli archi: stasera particolarmente intenso e caldo - molto ben amalgamato e morbido.
Dopo questa eterogenea e accattivante entrée musicale di circa venti minuti, però, si dovrà attendere circa un quarto d’ora per poter ascoltare il secondo brano il programma, il giovanile Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Sergej Rachmaninov (1891): il pianoforte, infatti, viene sistemato sul palcoscenico; si rende quindi necessario risistemare tutte le sedute della folta orchestra: è una pausa prima dell’intervallo vero e proprio alla quale probabilmente si sarebbe potuto ovviare posizionando il pianoforte sin dall’inizio in prossimità del podio.
La lunga attesa è però subito ricompensata dallo splendore del tocco di Alexei Volodin che affronta il Concerto di Rachmaninov con tocco scintillante, sicuro, cristallino: è un pianismo raffinato che sa essere incisivo, imperniato su una gamma dinamica ampia. Il pianista russo, ben accompagnato e soprattutto in sintonia con l’orchestra e il direttore, si getta senza remore nei flutti dello spiccato linguaggio sinfonico del concerto. Domina con naturalezza e sicurezza strabilianti la micidiale scrittura che non concede pause nel corso dei tre movimenti (Vivace, Andante, Allegro vivace) che compongono questo giovanile, e alquanto acerbo, concerto di Rachmaninov.
Anche in questo brano si apprezzano l’ottimo lavoro e la compattezza dell’orchestra del San Carlo; evocano intense carezze sonore gli interventi degli archi nel corso dell’ultimo movimento sul labirintico snodarsi della parte pianistica. Ma è l’intera orchestra a funzionare molto bene, grazie agli innesti puntuali dei legni, ottoni e delle percussioni, famiglie orchestrali intensamente sollecitate nell’arco di questo concerto così come della successiva sinfonia.
L’apprezzamento da parte del pubblico per è così intenso e prolungato che Alexei Volodin regala due bellissimi bis, sintesi del suo solidissimo pianismo: il Preludio op. 32 n. 12 di Sergej Rachmaninov e lo Studio op. 25, n. 1 di Fryderyk Chopin.
Dopo l’intervallo, si torna al Dmitrij Šostakovič appena diciannovenne della Sinfonia n. 1 in fa minore, op. 10 (1925) che nell’articolazione in quattro movimenti denota una scrittura dalla quale emerge lo spirito giovanile della composizione, attraversata da sarcasmo, che si manifesta con ritmiche incisive e dissonanze, concisione delle forme, fitto ordito strumentale.
Anche in questa Sinfonia ritroviamo l’Orchestra del San Carlo in ottima forma: si mostra come un meccanismo ben sincronizzato. E poi - ed è questo l’aspetto più interessante della lettura di Ettinger - si avverte, a cominciare dal suono orchestrale, una ricercata patina leggermente cinerea adagiata sulla sinfonia: ciò è ottenuto ricavando un suono impreziosito da riflessi crepuscolari.
Dal suono allo spirito della Sinfonia: a dispetto della esuberante scrittura di Šostakovič, Ettinger e l’Orchestra fanno vibrare l’anima della composizione con coerente e ricercata meccanicità. E così la Sinfonia rispecchia, nel colore e nell’articolazione, il clima soffocante e criminale dello stalinismo: gli eccessi e gli affondi fonici sono del tutto accantonati. Dan Ettinger, che pur predilige - e talora abusa - di accessi fonici, stavolta, per comunicare un ben definito senso di compassata alienazione, smussa, forgia il colore orchestrale prediligendo tinte più scure e marezzate. Una lettura, quella di Dan Ettinger, di indubbio fascino e coerente con il clima politico che doveva respirarsi già nel 1925 nell’Unione Sovietica. Emblematico di tale visione, tra i tanti esempi, è il suono ruvido dell’intervento del primo volino a metà del primo movimento (Allegretto - Allegro non troppo). Ma sono tante le prime parti, e il concertino dei primi violini Giuseppe Carotenuto per l’intervento iniziale, da elogiare per aver saputo dare il colore più appropriato che fa da specchio delle tensioni e alle inquietudini espresse da questa Prima sinfonia, a cominciare dal primo flauto di Bernard Labiausse, il primo oboe di Hernan Diego Garreffa, il primo corno di Ricardo Serrano, la prima tromba di Giuseppe Cascone, l’ottimo lavoro alle percussioni di Guillem Ruiz Brichs.
Esecuzione che procede con linearità e con equilibrio tra le sezioni orchestrali, che riesce a restituire pienamente l’immagine di Šostakovič in perenne e remissivo contrasto con la dittatura; un’idea interpretativa anticipatrice delle future coartazioni al flusso sanguigno della sua zampillante e ardita fantasia musicale.
Successo pieno, caloroso, meritato e prolungato per il direttore Dan Ettinger, l’Orchestra del San Carlo e le sue prime parti da parte di una sala quasi del tutto piena e festante.
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