Non è un tramonto
di Luigi Raso
Dopo una lettura più operistica che intima dei Vier letzte Lieder di Strauss con la voce di Maria Agresta, convince maggiormente la Quinta sinfonia di Bruckner sempre con la direzione di Dan Ettinger.
NAPOLI, 30 novembre 2024 - Im Abendrot (Al tramonto), l’ultimo Lied dei Vier letzte Lieder per soprano e orchestra di Richard Strauss (composti nel 1945 ed eseguiti postumi nel 1950), è una struggente e serena accettazione della fine dell’esistenza. Il testo di Joseph von Eichendorff recita: “Siamo passati tra pena e letizia, insieme, la mano nella mano, ora ci riposiamo dal cammino, in una terra tranquilla. Intorno si oscurano le valli, già l'aria si fa buia (...) O ampia, immobile pace! Così profonda nel tramonto! Siamo tanto stanchi del cammino: questa è forse la morte?” (trad. di Quirino Principe). Ist dies etwa der Tod? (Questa è forse la morte?) è l’interrogativo che si/ci rivolge la voce del soprano, quasi trasfigurata, nel verso conclusivo.
Il ciclo è il canto del cigno di Richard Strauss, che si congeda dal mondo con questa crepuscolare, intensa e serena raccolta di Lieder (l’appellativo ultimi non provimene dal compositore, ma è stato attribuito dall’editore), dalla marcata connotazione, a dispetto dell’imponenza dell’organico orchestrale, intimistica e autobiografica. Sì, perché nei Vier letzte Lieder, nel canto solistico e nell’orchestra, dominano il senso di un’atarassica, aristocratica accettazione della fine, la consapevolezza dell’ineluttabilità del fluire della vita (musica e parole che potrebbero essere declamate da un’ancor più saggia e nobile Marescialla di Rosenkavalier alla fine dei suoi giorni) sublimata nella bellezza delle immagini evocate dai testi.
Tra le insidie esecutive di questo capolavoro estremo di Strauss c’è il riuscire a sottrarsi dalle lusinghe dell’enfasi sonora e del rilassamento eccessivo del ductus musicale, e riuscire a cogliere (e rendere in musica) la temperie spirituale, culturale e storica che i Vier letze Lieder ha generato: in questo canto struggente, infatti, si spengono, con la serenità della saggezza, l’alter ego di Richard Strauss e una civiltà musicale.
Peccato, dunque, che lo spirito di questo capolavoro della liederistica del ‘900 sia stato virato dalla interpretazione di Dan Ettinger e di Maria Agresta verso territori e dimensioni distanti da quelli evocati da Richard Strauss, strettamente legati al presente e all’immanente, piuttosto che, come la musica suggerisce, al futuro e alla trascendente.
Il primo Lied, Frühling (Primavera), sin dall’energico attacco d del soprano ha fatto presagire l’alterità del talentuoso soprano italiano al mondo musicale di Strauss dei Vier letzte Lieder. L’approccio è infatti più operistico che liederistico: si ritrova un’incisività lontana dalla scrittura evocativa e pacata di Strauss. Più appropriati alla poetica di questo ciclo sono September (Settembre) e Im Abendrot (Al tramonto), laddove la tempra di ottimo soprano lirico della Agresta consente di abbandonarsi a una linea di canto cantabile, dolce e intrisa di malinconia. Il terzo Lied, Beim Schlafengehe (Addormentandosi), ricorda l’approccio “operistico” riscontrato in apertura: quella della Agresta è una visione interpretativa, come tale soggettiva e da rispettare, che a chi scrive però appare non applicabile al lavoro straussiano, figlio di una cultura musicale dalla decisa identità, composto in un periodo storico, quello immediatamente successivo alla Seconda Guerra mondiale, il cui cumulo di macerie, spirituali e materiali, ha plasmato spirito e pieghe della partitura.
Purtroppo anche la direzione di Dan Ettinger appare lontana dalla poetica musicale e dal mondo spirituale dei Vier letzte Lieder: il passo impresso è turgido, le sonorità grumose e troppo poco evanescenti e poco stemperate (con l’eccezione delle battute finali di Im Abendrot. Questo è uno Strauss che sembra anticipare la cattedrale sonora della Quinta sinfonia di Anton Bruckner che si ascolterà, con esito più lusinghiero, nella seconda parte del concerto.
L’Orchestra del San Carlo, da lodare per il bel suono (ben calibrati l’intervento solistico del primo violino di spalla di Gabriele Pieranunzi nel terzo Lied Beim Schlafengehe, laddove Richard Strauss cita e sviluppa una cellula tematica del sublime terzetto conclusivo de Der Rosenkavalier, così come quello nella coda di September affidato all’ottimo primo corno di Alessandro Fraticelli), si pone sulla stessa sintonia interpretativa del direttore.
Al termine dell’esecuzione dei Vier letzte Lieder lunghi e calorosi applausi, con varie chiamate sul palcoscenico, accolgono Maria Agresta e Dan Ettinger.
Più convincente l’esecuzione della Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, WAB 105 di Anton Bruckner (composta tra il 1875 e il 1877, eseguita la prima volta a Graz nel 1894), laddove Ettinger trova nella mastodontica struttura terreno fertile per esaltare le sue doti di concertatore: nel dipanarsi dei quattro movimenti, nella struttura “ciclica” della Sinfonia, il direttore musicale del San Carlo staglia con definizione cristallina gli episodi e i temi musicali giustapposti dalla scrittura di Bruckner.
La strumentazione sontuosa, con il suo indugiare e compiacersi di sonorità possenti da “organo orchestrale”, la marcata connotazione contrappuntistica (in particolare nel quarto e ultimo movimento, Finale: Adagio - Allegro moderato), il procedere per episodi della Sinfonia appaiono esaltati dalla concezione del direttore, che si dimostra a suo agio in queste dimensioni sonore. Come aveva già dimostrato con l’esecuzione della Sinfonia n. 4 Romantica (leggi la recensione), Bruckner è scolpito da Ettinger con una notevole perizia tecnica che ne esalta intensità e definizione delle forme. Emblematico per questo secondo aspetto il tratto e il nitore con cui conduce il Trio, dall’atmosfera pastorale e distesa, del terzo movimento, o il pizzicato dell’Adagio del secondo movimento.
In una partitura così complessa, banco di prova anche per le più tecnicamente agguerrite orchestre compagini sinfoniche, quella del San Carlo assolve egregiamente al suo compito: il suono è omogeneo e di bel colore; tendenzialmente ben calibrata, al netto di qualche imprecisione, l’articolazione nel corso della gigantesca sinfonia, che trova nel contrappuntistico Finale la sintesi delle intenzioni interpretative che hanno animato l’esecuzione, salutata da applausi calorosi e prolungati indirizzati all’Orchestra, alle sue prime parti e a Dan Ettinger.
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