L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La chiave di Bruckner

di Luigi Raso

Dan Ettinger dà una lettura pienamente convincente, scevra da ogni effetto di superficie, della Quarta di Bruckner.

Mentre a Napoli e a Roma, tra Fondazione Teatro San Carlo, Stéphane Lissner, Carlo Fuortes e il Ministro della cultura Sangiuliano, si svolge il delicato e ingarbugliatissimo risiko di nomine, ricorsi, reintegri, reclami, incertezze e caos, al San Carlo a parlare è la musica.

Dopo il successo tributato a Madama Butterfly (qui la recensione), ad infiammare il pubblico del San Carlo per il primo appuntamento sinfonico post pausa estiva è la Sinfonia n. 4 in mi bemolle maggiore “Romantica” di Anton Bruckner (composta, nelle varie versioni, in un arco temporale che va dal 1874 al 1889).

Sono quasi dieci minuti di battimano calorosi, varie chiamate sul palcoscenico per il direttore e le prime parti dell’Orchestra del Teatro San Carlo quelli che seguono alla lunga corona di silenzio ipnotico - stasera non interrotta da un precoce scroscio di applausi - che Dan Ettinger, prima di abbassare le braccia, incastona dopo gli accordi conclusivi della Sinfonia. Un successo convinto, frutto di un ascolto attento e rapito, per quella che è probabilmente la più nota ed eseguita sinfonia di Anton Bruckner.

Il merito è dell’eccellente prova dell’Orchestra del San Carlo, la quale, dopo la lusinghiera prova di MadamaButterfly, conferma di essere in gran forma, dimostra duttilità, compattezza, tenuta interna, amalgama tra le sezioni e bel suono.

A stupire positivamente, soprattutto ripensando agli ultimi approcci recentemente proposti in ambito sinfonico a Napoli, è la linea seguita stasera da Dan Ettinger: si introduce nella monumentale opera di Bruckner in punta di piedi, quasi intimorito dalla imponenza della struttura; e così ne smussa proprio quella tronfia esteriorità che in più punti appesantisce la partitura; Dan Ettinger calibra sapientemente i crescendo, i rapporti tra luci e ombre, tanto essenziali nella poetica bruckneriana. Evita di cadere nella trappola di deflagrazioni foniche dal vuoto trionfalismo; garantisce l’equilibrio tra la sezione degli ottoni - croce e delizia delle sinfonie di Bruckner - con quella degli archi e dei legni.

Ma soprattutto lascia intatta, all’interno dell’architettura della solenne cattedrale musicale della “Romantica”, l’allure di genuino candore e mitezza, propri dell’uomo Anton Bruckner, che sono impressi al lavoro sinfonico, insieme al prolungato bearsi nella contemplazione della trascendenza. È una lettura che si coglie sin dal primo movimento, Mosso, non troppo veloce, con l’esposizione del primo tema a opera del primo corno - l’ottimo Ricardo Serrano - sul tremolo degli archi. Ma è tutto il primo tempo a procedere con un respiro misurato, con sonorità limpide, lontane dai turgori e clangori che il titolo della Sinfonia suggerirebbe.

Il secondo movimento, Andante, quasi Allegretto, ha un composto sapore malinconico: si apprezza il suono tornito delle viole e dei violoncelli che espongono il tema principale: l’esecuzione di questo movimento esalta una indefinita semplicità schubertiana piuttosto che, negli sviluppi, la solennità delle forme e delle sonorità bruckneriane.

Eleganza, leggerezza e rigore dominano anche nello Scherzo del terzo movimento e, soprattutto, nel Trio, laddove il Ländler è condotto con mano leggera, eterea, come una reminiscenza di una danza proveniente dal passato, più vicina all’universo musicale mahleriano che bruckneriano.

Sonorità più incisive e decise si ascoltano nell’ampio Finale: ma anche in questo movimento, che più presterebbe a un’esecuzione densa di clangori e mistero, Ettinger rinuncia ad enfatizzare le accensioni, ad appesantire gli sviluppi e le linee: il fortissimo dell’intera orchestra non si esaurisce - ed è un pregio - in una massiccia scarica sonora, ma in un ben costruito climax di tensione.

La sinfonia sfuma, come anticipato, in una lunga corona di silenzio: pochi secondi che racchiudo un’idea interpretativa, lo specchio dell’anima candida, pura e schiva di Anton Bruckner, il quale nelle pause e nei silenzi ha indagato e dialogato con il mistero della trascendenza.

Successo convinto, tanti applausi da parte di una sala che purtroppo registra numerose e visibili assenze di pubblico.


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