Fiamme di passione

di Roberta Pedrotti

Un'altra riuscita produzione operistica corona il ricco cartellone del decenanle dell'Orchestra Senzaspine: nel Trovatore verdiano spicca la promettente Azucena di Benedetta Mazzetto.

BOLOGNA, 3 dicembre 2023 - Nella sua decima stagione l'Orchestra Senzaspine non si è risparmiata: cartellone fittissimo, quattro produzioni operistiche, ancora una volta il gusto per la sfida di titoli mitici. Come Il trovatore, che ha chiuso in bellezza la stagione lirica 2023. Tutta all'insegna del grande repertorio, perché la vocazione dell'associazione bolognese non è di rivolgersi a interlocutori di nicchia – sebbene non siano mancati, per esempio, appuntamenti con la contemporanea – bensì di diffondere, accogliere, includere senza lasciarsi spaventare dai confronti, ma sfruttandoli, semmai, per crescere.

Ce ne rendiamo conto subito, entrando al teatro Duse, e non si tratta solo dei vari progetti per coinvolgere nella produzione operistica anche i disabili sensoriali (libretti e soprattitoli ad alta leggibilità, materiali tattili, integrazione di gesti LIS nell'azione scenica), ma anche di un pubblico composito per anagrafe, differente da quello che vediamo al Comunale. Molti non melomani – ma qualcuno c'è, affascinato dallo spirito di queste produzioni – che se la godono commentando la trama e la produzione; un clima rilassato e attento, in cui le lavagne di Beckmesser non si sa nemmeno cosa siano o non si vuole saperlo. Si ha piuttosto voglia di seguire le fila musicali di una trama intricatissima, che comunque la regia di Giovanni Dispenza dipana ancora una volta in maniera lineare, in simbiosi con le proiezioni del libretto e le immagini quasi didascaliche che illustrano ambienti, racconti e visioni (scene di Francesca Lelli, costumi di Monica Mulazzani, luci di Andrea Bondi, illustrazioni di AAndrea Niccolai, proiezioni video di Daniele Poli). Un'operazione all'insegna della piena fruibilità, di un rinnovamento dell'idea popolare di melodramma, senza rintanarsi in polveri anacronistiche, ma vivendo nell'oggi il meglio di una provincia in cui l'opera si fa con gusto, per tutti, dando volentieri occasione ai giovani di farsi le ossa. E in questo caso c'è proprio una ragazza che attira particolarmente l'attenzione sul palco: a ventinove anni per Benedetta Mazzetto può essere presto per proporsi come Azucena nelle grandi fondazioni, ma i fatti confermano che non è stato prematuro mettersi alla prova con la tenuta teatrale nella parte. I buoni mezzi che si intuivano nelle frasi di Clotilde in Norma per OperaLombardia (Brescia, Norma, 30/09-02/10/2022, Como, Norma, 16/10/2022Pisa, Norma, 29/10/2022) e il Comunale di Bologna (Bologna, Norma, 18-19/03/2023) qui si affermano con sicurezza: voce ben timbrata, rotonda, adeguatamente estesa, dizione chiara e buone intenzioni. Senz'altro la promessa di maggior impatto nella compagnia ascoltata in questa domenica pomeriggio, in cui non mancano soddosfazioni. Si fa apprezzare anche la Leonora di Elena Schirru, che coniuga freschezza e delicatezza di timbro con una buona tenuta complessiva in una parte tanto impervia; il Conte di Luna di Ettore Lee dimostra buona voce e dizione e deve solo imparare a controllarsi meglio anche quando temperamento e situazione lo fanno scalpitare. Beatrice Amato è una Ines che non passa inosservata, Luca Park un efficace Ferrando, così come Domenico Travaglini nei panni di Ruiz. Veterano del cast, ritroviamo come Manrico Emanuele D'Aguanno, che ricordavamo qualche tempo fa avvezzo più a Fenton e Nemorino.

Il Coro Lirico Sinfonico Colsper preparato da Andrea Bianchi completa adeguatamente la locandina insieme con un'orchestra Senzaspine sempre più salda e compatta, che vede sul podio Matteo Parmeggiani. Il suo è un Trovatore incalzante, irrente e pure ben equilibrato fra uno sguardo alla sensibilità contemporanea (fraseggio asciutto, rispetto delle macrostrutture formali) e uno alla tradizione (qualche taglio interno e nelle riprese delle cabalette è scelta più che comprensibile in questo contesto, in cui concede anche indulgente a Manrico di prodursi nello spurio “Son io dal ciel disceso o in ciel sei tu con me”, che piace ai tenori almeno quanto elude la logica). Si gusta, così, un pizzico di nostalgia, il dolce sapore dell'opera come linguaggio comune, della provincia entusiasta e ruspante dove i giovani facevano sana gavetta e qualcuno magari si fermava o ritornava, ma sempre con passione e dignità; e, per contro, non si guarda indietro, non si fa una rievocazione del passato ma si vive tutto pienamente nel presente, nella nostra società e nella nostra sensibilità, guardando al futuro. Quando poi si esce dal teatro canticchiando con un sorriso, allora vuol dire che ne è valsa la pena.

foto Dino Russo