Dagli Zar all’URSS

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ospita un concerto di musica russa diretto da Tugan Sokhiev, il cui primo tempo è un omaggio al cinquantenario dalla morte di Dmitrij Šostakovič, di cui si eseguono l’Ouverture festiva op. 96 e il Concerto per violoncello e orchestra n. 2 in sol maggiore op. 126, con solista István Várdai. Nel secondo tempo Sokhiev conclude con Shéhérazade, suite sinfonica op. 35 di Nikolaj Rimskij-Korsakov.

ROMA, 28 febbraio 2025 – Dmitrij Šostakovič e Nikolaj Rimskij-Korsakov rappresentano, iconicamente, due epoche differenti della storia russa. Da una parte, Rimskij-Korsakov è l’ultimo sussulto di un’epoca dorata, l’agonia finale dell’universo imperialista degli zar; Šostakovič, invece, è il baluardo culturale contro la deriva del comunismo totalitario degli Stalin e degli Ždanov, l’artista che ha cercato di criticarne, più o meno implicitamente, il regime, venendone osannato e distrutto al contempo.

A dirigere la serata è Tugan Sokhiev, che ritorna dopo il bel concerto della passata stagione (leggi la recensione). Raffinato esecutore del suo repertorio nazionale, Sokhiev omaggia degnamente Šostakovič nel cinquantenario dalla morte (1975), dedicandogli l’intera prima parte del concerto. Si inizia con l’epica, brillante Ouverture festiva op. 96: l’esecuzione è ottima, con un tripudio di colori da fanfara ben centrati da un’agogica decisa, condotta in una trascinante climax fino al tripudio finale. Sarò ripetitivo, ma il suono dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è quanto di meglio si possa ascoltare in Italia in questo momento. Lo dimostra anche il successivo Concerto per violoncello e orchestra n. 2 op. 126: solista è István Várdai, al debutto nei cartelloni dell’Accademia, forte di uno Stradivari “Ex du Pré-Harrell” dal suono pieno, deciso. L’intesa fra Sokhiev e Várdai è ottima; il solista mostra un’indubbia sensibilità tattile per lo strumento, in una partitura che richiede tecnica a tratti, certamente, poco ortodossa. Il I movimento (Largo) è delicatissimo, tutto giocato su un flebile tema del violoncello adagiato su un velo orchestrale. Sokhiev regala, nel dirigerlo, grande espressività, conducendo orchestra e solista in un percorso verso il finale, parossistico, in cui Várdai suona il violoncello quasi fosse una chitarra, ribattuto dai pizzicati degli archi. Nel II tempo (Allegretto) Sokhiev e Várdai sono abili nel coniugare senso del grottesco (una firma del russo) con l’incessante ripetitività di cellule ritmico/tematiche, dove risuona un tema popolare di Odessa, all’epoca ben riconoscibile, dall’inconfondibile sapore dissidente. L’orchestra vola, poi, verso sonorità esotiche. Nel III (sempre Allegretto) l’abilità del solista è quella di risolvere l’intricata scrittura šostakovičana con maestria: il suono è pieno, immerso nei vari momenti rapsodici della scrittura del compositore. Si arriva, verso la conclusione, ad un altro parossismo orchestrale, dal sapore straniante, che sfuma in una conclusione sommessa, resa lievemente allucinata dall’intervento dello xilofono: in questo momento, Várdai graffia, quasi, le corde del violoncello, donando un effetto indimenticabile. Dopo gli applausi, meritatissimi, il violoncellista si congeda con un bis: il Capriccio n. 3 di Alfredo Piatti.

Sokhiev, nel secondo tempo, riporta all’Accademia il capolavoro di Rimskij-Korsakov, Shéhérazade, suite sinfonica op. 35. Il direttore inizia imperioso; la sua è una Shéhérazade dalle tinte nette. Gli assoli del violino sono eccellenti, fluidi, mercé l’esperienza e la musicalità raffinata di Carlo Maria Parazzoli. L’agogica che Sokhiev imprime fin dal I quadro (Il mare e la nave di Sinbad) è di polso, l’orchestra scolpisce a chiare lettere i passaggi più netti della partitura, restituendo effetti sonori che si combinano a variazioni volumetriche. L’attenzione miniaturista del direttore emerge chiara nel II quadro (Il racconto del principe Kalender); le screziate sonorità dei diversi strumenti sono curatissime, come pure gli effetti agogici (rubati, accelerazioni), sempre con un’attenzione alla scansione del testo della partitura: il colore emerge dalla varietà, come si nota dalla sezione orchestrale successiva al ‘tema del Sultano’. Dell’equilibrio fra incisività agogica e dolcezza, di cui Sokhiev dà prova, è testimonianza il III movimento (Il giovane principe e la giovane principessa): qui il russo è decisamente più morbido, non perdendo, appunto, la sua incisività. Si conclude in bellezza con il IV movimento (Festa a Baghdad. Il mare. Il Naufragio) questa esecuzione di Shéhérazade. Graffiante l’attacco del violino, cui segue una gestione eccellente dell’agogica da parte di Sokhiev, che giunge ad un risultato di grande equilibrio fra il nitore sonoro e la potenza orchestrale. Splendido il momento della tempesta marina, di vibrante tensione, scandita dal suono dei piatti. Quando Parazzoli intona il filato finale, sotto una nuvola orchestrale, gli applausi invadono, fragorosi, la sala.

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