L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Contrasti musicali

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia propone un concerto diretto dal maestro Tugan Sokhiev dove si eseguono la Sinfonia in re maggiore n. 104 “London” di Franz Joseph Haydn e Das Lied von der Erde di Gustav Mahler.

ROMA, 31 marzo 2023 – Il concerto odierno, che chiude il marzo musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, è ben equilibrato nel programma, ma si risolve, sostanzialmente, in un evidente contrasto. Si apre, infatti, con l’esecuzione dell’ultima sinfonia londinese di Haydn, la n. 104, una partitura corposa che anticipa il successivo sviluppo sinfonico. Tugan Sokhiev ha un gesto sicuro, elegante; l’agogica è posata, ma vivida ed efficace. Si tratta, dunque, di un Haydn ben squadrato, ma non meccanico: i colori emergono fulgidi, soprattutto nei contrasti fra sezioni. Esempio ne è proprio l’attacco, l’Adagio, costituito per blocchi di accordi sfumati in una tavolozza chiaroscurale: qui Sokhiev è attentissimo a costruire una tensione che sfocia, colorata, nell’Allegro, un tripudio di rapida bellezza melodica e ritmica. L’orchestra risponde benissimo; l’intesa con il direttore non potrebbe essere delle migliori. L’Andante brilla di una grazia e di un’eleganza tipicamente settecentesche, senza perdere la magniloquenza che è tipica di questa sinfonia. Sokhiev lascia scorrere con vigore anche il Minuetto, in questa sinfonia assai energico. Ma il momento che trascina maggiormente è certamente il Finale. Spiritoso, che Sokhiev spagina facendosi trascinare dal rutilante ritmo che ne impernia la struttura. Gli applausi esplodono sonori.

L’esecuzione, nel secondo tempo, del Canto della terra di Mahler crea certamente un effetto di contrasto rispetto alla “London” di Haydn. L’orizzonte d’ascolto del pubblico si sposta verso atmosfere musicali decadenti ed estetizzanti: Il canto della terra, infatti, riflette sul più puro senso della vita con lancinante malinconia e lo fa attraverso lo specchio di una selezione da una raccolta di liriche a cura di H. Bethge, Die chinesische Flöte, tratte dalla tradizione cinese. La partitura dà l’impressione di procedere contrasti: a sezioni dove si invita a cogliere ogni istante della vita (un carpe diem, insomma), seguono altre con una malinconica riflessione sulla morte. La direzione di Sokhiev è smagliante e ravviva una partitura che possiede la consistenza di una delicata seta trapunta: su veli degli archi emergono le screziature dei legni, il tutto amalgamato dalla linea della voce. I solisti sono Alice Coote e Russell Thomas. Il secondo, Thomas, possiede un mezzo vocale rotondo e pieno, lievemente brunito, duttile, che gli consente un eccellente fraseggio, ma anche la possibilità di svettare in alto con estrema facilità. Queste caratteristiche appaiono già in “Das Trinklied von Jammer der Erde”, in cui Thomas intona una melopea a tratti quasi allucinata, soprattutto in virtù del delicatissimo gioco delle dissonanze creato da Mahler con impareggiabile perizia nell’orchestra. Irresistibilmente orientaleggiante è “Von der Jugend”, una ballata sulla piacevolezza di una chiacchierata sotto una pagoda; qui Thomas mostra il lato più lirico e brillante della sua voce. Il tenore si distingue anche per l’energia con cui esegue “Der Trunkene im Frühling”, un invito a bere sugli affanni della vita: un pezzo, questo, in cui Thomas deliba l’intera gamma delle sonorità della corda tenorile, sovente svettando in acuti penetranti e ben porti. Del pari, Alice Coote, dalla voce piena, sonora, turgida, squisitamente centrata, come pure dalle eccellenti qualità tecniche ed interpretative, rende ogni pezzo magnifico. Il primo è “Der einsame im Herbst”, intensamente malinconico, in cui la voce della Coote disegna, delicatamente, la linea melodica, che induce alle lacrime. Una ventata di grazia bucolica orientaleggiante la si può godere in “Von der Schönheit”, leggendo il quale la Coote alleggerisce il mezzo vocale, cantando a fior di labbra sorretta da carezze di archi e legni lievemente increspati. Quintessenza della malinconia è “Der Abschied”: la Coote disegna una melopea straziante, in cui traduce perfettamente la tristezza, sentimento acuito dall’orchestrazione ipnotica, sospesa. Il pezzo è lunghissimo e richiede alla Coote un notevole sforzo interpretativo: trascolorare da sezioni più tenui ad altre maggiormente cariche, dove l’orchestra si irrobustisce e l’interprete deve allargare il volume. Inoltre, “Der Abschied” è anche il pezzo più complesso e delicato dal punto di vista della direzione orchestrale, nel quale Sokhiev deve porre la maggiore attenzione. Alla fine, il pubblico ripaga con sonori applausi.


 

 

 
 
 

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