L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Hic manebimus optime

di Luigi Raso

Il recital di Pretty Yende e Michele D’Elia segna il ritorno nella sala storica del San carlo dopo i restauri dei mesi scorsi. Nel programma molto eterogeneo spicca la buona resa delle chanson di Debussy.

Pretty Yende è di casa al Teatro San Carlo: dopo il Gala Mozart e Belcanto del 2020 (trasmesso in streaming a causa della chiusura dei teatri per l’imperversare della pandemia da Covid-19: qui la recensione), il Gala Belcanto del 2021, con il tenore Xabier Anduaga, (qui la recensione) e, in ultimo, La traviata del luglio 2022 (qui la recensione), al giovane e versatile soprano sudafricano tocca l’onore di ‘inaugurare’ ufficialmente il restaurato Teatro San Carlo. Tra un mese, poi, la Yende sarà tra gli artisti invitati ad esibirsi nell’Abbazia di Westminster all’incoronazione di re Carlo III del Regno Unito.

Accompagnata, come in occasione del recital sancarliano dello scorso anno, dal pianista Michele D’Elia, Pretty Yende sceglie un programma eterogeneo, che abbraccia ben tre secoli, da Mozart a Debussy, passando per Rossini e con un ammiccamento al Donizetti ‘napoletano’ cameristico.

Pretty Yende parte, in verità ‘in sordina’, con il magnifico mottetto Exsultate, jubilate K 165 di Wolfgang Amadeus Mozart: l'emissione non appare subito a fuoco, la dizione problematica, non in buona forma vocale, l’interpretazione denota onesto professionismo; troppo poco per una pagina giovanile del salisburghese che dovrebbe comunicare immediatamente gioia e speranza. Yende, invece, si limita a controllare le colorature e a far sentire qualche bel legato nella sezione cantabile, ma, in definitiva, c’è poco che resti impresso.

Un po’ di coinvolgimento emotivo in più si inizia ad avvertire con le romanze di Gioachino Rossini, Beltà crudele, Lʼinvito e La pastorella delle Alpi dalle Soirées musicales, brani affrontati da Pretty Yende e Michele D’Elia con maggiore gusto, arguzia e con un pizzico di sulfurea inventiva che caratterizza i geniali e avanguardistici divertissements rossiniani della fase ‘post operistica’.

Il soprano infonde ai gustosi bozzetti musicali una discreta dose di verve e simpatia che, unite alla voce dal timbro gradevole, naturalmente portata a svettare verso il registro acuto, sono tra le cifre connotative della sua personalità artistica.

Convince meno, invece, l’ultima e grande scena rossiniana in programma: molto ben introdotta dal piano di Michele D’Elia, la cavatina di Semiramide "Bel raggio lusinghier" trova in Yende un’interprete sicuramente corretta, ma priva della personalità carismatica che la regina babilonese deve emanare sin dalla iconica sortita. Le colorature su ‘di gioia e amor’, seppur precise e sgranate, non riescono a tradurre in musica l’attesa erotica di Semiramide; ma è tutta l’articolazione vocale della scena ad apparire alquanto generica.

Il recital prende quota - lo scavo interpretativo si fa più profondo e interessante - con le raffinate, misteriose e simboliste cinque chansons di Claude Debussy in programma: Beau soir, Fleur des blés, Clair de lune, Mandoline e Apparition. Qui Pretty Yende approfondisce il fraseggio del testo musicale, ricerca colori e atmosfere, insinua qualche nuances nella linea melodica, dà un’idea dei brani di Debussy più riconoscibile rispetto a quella riservata a quelli precedenti di Mozart e Rossini; in ciò si giova del delicato e raffinatissimo tocco di Michele D’Elia, un sostegno strumentale che valorizza lo scandaglio della scrittura vocale. Cinque chansons, quindi, che per interesse della proposta, intelligenza interpretativa e raffinatezza della vocalità rappresentano, a giudizio di chi scrive, il momento più apprezzabile dell’intera serata.

Il pianista Michele D’Elia, come in occasione del recital dello scorso anno, si distingue per il sempre puntuale, calibrato e versatile accompagnamento di Yende; fa ‘cantare’ il proprio pianoforte con il soprano e, soprattutto, grazie al tocco raffinato, crea la più appropriata atmosfera sonora attorno ad ogni pezzo.

Il programma gli riserva un brano solistico, momento in cui si apprezzano le sue capacità tecniche e interpretative: nella meditativa parafrasi di Franz Liszt su "O du mein holder Abendstern" dallʼopera Tannhäuser di Richard Wagner il tocco è cesellato e prodigo di colori, la visione generale del brano aliena da vacuo virtuosismo.

Il finale del recital è dedicato a Gaetano Donizetti, alle gustosissime ariette tratte da Nuits d’été à Pausillippe (1836), Il barcaiolo e La conocchia, affrontate da Yende con discreta dose di verve musicale e scenica.

In chiusura, quasi a far da pendant alla scena dalla Semiramide, "O nube! che lieve... Nella pace del mesto riposo" da Maria Stuarda del compositore bergamasco: in questa scena Pretty Yende ha modo di sfoderare le qualità della sua vocalità di stampo belcantistico. La ridotta presenza di colorature induce la Yende a concentrare le proprie attenzioni sul cantabile, sul legato, delineando, nel complesso, un’apprezzabile cavatina della tormentata regina di Scozia.

Gli applausi finali sono un trionfo per gli interpreti, in particolare per Pretty Yende.

Il pubblico le strappa due bis, la cavatina di Rosina, "Una voce poco fa", da Il barbiere di Siviglia e "I want to be a prima donna" dall’opera comica The Enchantress (1911) di Victor Herbert: in Rossini Pretty Yende dà fuoco alle polveri - eccedendo, ad avviso di chi scrive, nel gigionismo vocale - al proprio armamentario di variazioni farcite di acuti e sovracuti, finendo per alterare la cifra stilistica del brano; in "I want to be a primadonnaa trionfare è la sua innata e contagiosa simpatia, adatta all’indole scherzosa e canzonatoria del song di Victor Herbert.

Nel porgere un meritato bouquet di fiori, il coordinatore area artistica e casting director Ilias Tzempetonidis si fa promettere da Pretty Yende di tornare molto presto al Teatro San Carlo per un concerto straordinario (data non ancora ufficialmente annunciata) insieme alla collega e amica Nadine Sierra.

Applausi lunghi e scroscianti da parte di un teatro gremito, festante e fresco di restauro: dopo tre mesi di lavori, il pubblico del San Carlo ha ritrovato la sua meravigliosa e insostituibile casa: hic manebimus optime.


 

 

 
 
 

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