Gatti e i suoi amori

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ospita un concerto di Daniele Gatti con un programma a lui assolutamente congeniale: due brani sinfonico-corali di Johannes Brahms, Gesang der Parzen (Canto delle Parche) e Schicksalslied (Canto del Destino), e la Sinfonia n. 9 in re minore di Anton Bruckner.

ROMA, 15 maggio 2025 – Ci sono direttori che sentono un repertorio specifico più degli altri e la magia che si crea quando lo dirigono arriva diritta al pubblico: è il caso di Daniele Gatti con il tardo-romanticismo e, in particolar modo, con la musica d’area teutonica. Fa bene, quindi, a presentare un concerto germanico nel senso più ampio del termine: due pezzi sinfonico corali di Johannes Brahms, Il canto delle Parche e il Canto del Destino, seguìti dalla Nona di Anton Bruckner.

Il primo tempo si apre con il Gesang der Parzen, i cui toni modulano dal drammatico all’estatico, toni che Gatti sa cogliere tutti, intensamente. La direzione, infatti, risulta mirabile e il suono dell’orchestra di Santa Cecilia è dinamico, vivo, sotto le indicazioni agogiche di Gatti, che variano in maniera quasi millimetrica, a sottolineare l’importanza di ogni frase. Il coro si libra su un centrato accompagnamento orchestrale, porgendo un canto pieno, corposo, anche se i momenti migliori, sublimi, sono i colori sulle mezze voci, i passaggi più estatici. Fin dal Gesang der Parzen, però, non passa inosservata qualche lieve durezza nelle parti più acute della compagine corale, per il resto sostanzialmente perfetta. L’attacco dello Schicksalslied rimarrà impresso per l’emergere quasi impercettibile del coro dalla salmodia orchestrale, con un crescendo tenuto mirabilmente; seguono frasi estatiche, luminose, che rimangono impresse. La direzione è stupenda, soprattutto per l’abilità di Gatti di passare dalla prima parte, cullante e ieratica, alla seconda, con uno stacco deciso e una bella verticalizzazione – da notare, pure, il lavoro certosino sugli accenti, sugli stacchi. L’esecuzione della coda si lascia apprezzare per l’equilibrio fra coro e suono orchestrale, che sfocia in una limpidezza eterea. Gli applausi si fanno, giustamente, sentire.

Dopo due capolavori della produzione sinfonico-corale di Brahms la serata ha il suo culmine in un’indimenticabile Nona di Bruckner. Estremo capolavoro del titanico compositore austriaco, l’ultima sinfonia di Bruckner è strutturata su tre movimenti (il quarto è giunto incompleto, per la morte dell’autore) e richiede l’impegno di maestranze di ottimo livello. L’orchestra, piena, fulgida, fa mostra della sua tempra già nel Feierlich (I), nel quale si segnalano solo alcune sbavature, del resto comprensibili, degli ottoni. Gatti impronta un’agogica intensa, ma senza strappare, allargando, verticalizzando nei momenti di maggiore tensione (con i violini che raggiungono passaggi di delirante parossismo e un muro di ottoni che scandiscono, marzialmente, frasi apocalittiche). Ma non c’è solo il volume titanico: Gatti cura anche il tema centrale, con grande varietà di colori. Della mano di Gatti testimonia l’attacco del movimento, nei suoi vapori sonori, come pure gli effetti di ‘altalena’ con cui il direttore gestisce i volumi per conferire effetti cromatici più netti; come non ricordare, poi, l’elaborata coda, che sprigiona un’energia infuocata, nelle sue variazioni ritmiche e nell’incedere compatto della massa orchestrale. Lo Scherzo centrale è scandito fin quasi al cesello: l’agogica è contenuta, non sfrenata, a voler acuire molti effetti allucinati della scrittura del compositore. Gatti fa brillare perle nascoste nelle maglie di una scrittura che tende costantemente alla magniloquenza (si pensi, in tal senso, all’elegante ed inatteso trio centrale). Il movimento finale è il celebre, ultimo Adagio di Bruckner, strutturato su effetti volumetrici di pieno/vuoto, sottolineati dall’agogica scelta da Gatti, larga sì, ma non sfibrata. Le frasi degli archi sono scandite con precisione, penetrando nel tessuto orchestrale con malinconia; la trama sonora si fa incredibilmente complessa, soprattutto grazie ad effetti iridescenti di legni e ottoni. La struttura ripetitiva, circolare, conferisce un senso di straniamento, come se Bruckner incidesse nella mente dell’ascoltatore un’emozione che, però, fa sfumare continuamente. Insomma, Gatti ci mette tutto sé stesso: il pubblico apprezza e, dopo la conclusione ed il silenzio di rito, invade la sala con affettuosi applausi.

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