L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'arco di Apollo

di Roberta Pedrotti

Daniele Gatti e l'Orchestra Mozart presentano a Fermo le ultime tre sinfonie del Salisburghese in un'interpretazione che lascia e il segno.

FERMO, 21 gennaio 2025 - Una premessa è doverosa, perché le Marche sono una regione che pullula di teatri e di musica: dalle manifestazioni di rilievo internazionale alle piccole realtà locali, fra grande repertorio, raffinatezze musicologiche e proposte di nicchia. C'è davvero di tutto, ma, per lo più, autoctono, promosso direttamente da festival, orchestre, fondazioni e associazioni locali. Poco arriva delle grandi tournée che regolarmente toccano Roma, Bologna o Milano (ma anche Ravenna e Ferrara). Per questo merita un encomio particolare l'iniziativa del Circolo di Ave, che, finora impegnato soprattutto sul versante cameristico nella sede di Palazzo Brancadoro, porta al teatro dell'Aquila di Fermo l'Orchestra Mozart per l'anteprima del concerto diretto da Daniele Gatti in cartellone a Bologna il 22 gennaio. Occasione ghiottissima che il pubblico marchigiano non si fa sfuggire: teatro pieno, grande attenzione, acclamazioni finali.

Non si tratta, beninteso, di un successo di circostanza, lusingato dall'eccezionalità dell'evento: questo non è solo un bel concerto (che la Mozart sia una splendida orchestra è risaputo), ma un concerto che fa pensare. È questo il motivo per cui interessa andare ad ascoltare Daniele Gatti oggi, non per trovare conferme, quanto piuttosto per confrontarci con una lettura non scontata che, in questo momento di grande maturità artistica, potrà essere discussa ma non sarà comunque né gratuita né superficiale.

Nel rendere la grande arcata delle tre ultime sinfonie di Mozart, una parabola unica armonicamente e poeticamente concatenata, il primo lavoro di Gatti e dell'Orchestra è sul suono. Nell'organico, nel tipo di vibrato, nelle agili arcate è palese una sensibilità stilistica aggiornata alla prassi storicamente informata pur senza rinunciare alla rotondità dell'impasto, sicché non pare ossimoro, bensì felice sintesi l'idea di un nitore talora perfino tagliente sposato a una morbidezza d'emissione. Ciò comporta una coerenza generale all'interno della quale scontornare una ben meditata varietà espressiva. Comporta la consapevolezza del contesto settecentesco e la proiezione in divenire verso quel che queste sinfonie significheranno per le generazioni a venire.

Il materiale sonoro così ben plasmato, ricco e misurato, pastoso e cristallino, favorisce l'intelligibilità di linee e controcanti e ne evidenzia il rapporto di necessità nel disegno generale. Basti pensare al sottile nervosismo che pervade il primo movimento della Sinfonia 40, reso mobilissimo nel gioco dinamico e nella cura degli accenti, quanto, a ben guardare, sottile, inafferrabile quasi, nell'effettiva sostanza. Traspare un'inquietudine palpitante sebbene sempre filtrata da quel lume della ragione che trionfa nei movimenti finali, soppesati da Gatti come apollinea apoteosi della dialettica musicale, nell'ampio dipanarsi di ogni ripresa. Il moto ascensionale fra le tre sinfonie, nei rispettivi epiloghi, è palese quanto il rapporto speculare fra il primo movimento della 39 e l'ultimo della 41.

Emblematico è anche il modo con cui Gatti i tre minuetti delle tre sinfonie, con un peso quasi solenne, un colore raddensato, come a voler incarnare un'idea di formalità grandiosa scrollandosi di dosso la galanteria rococò per suggerire semi pronti a germogliare, senza forzare i tempi o tradire la natura del testo mozartiano. E difatti il passaggio alla scorrevolezza dei trii è sciolto e naturale, né sa mai di artificioso il lavorìo, pur capillare, sul dettaglio: anzi, dovrebbe essere preso ad esempio da chi coltiva la moda di contrasti eclatanti concepiti come per compartimenti stagni e non in una prospettiva di coerenza e consequenzialità interna.

Anche all'occhio risulta chiaro come ciò si realizzi sul piano tecnico, nella corrispondenza fra il gesto e il suono, nel rapporto fra il direttore e l'orchestra, stretto, rigoroso, ma anche complice, lasciando intendere, oltre alla sintonia personale, la permanenza dello spirito originario impresso alla Mozart dal fondatore Claudio Abbado.

Del successo crescente si è detto, non resta che sperare di avere tante altre serate come questa nei bei teatri marchigiani.

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