Cantare il lutto e il ruggito
di Luigi Raso
Michele Mariotti cesella con sensibilità cameristica i Kindertotenlieder di Mahler (solista Ekaterina Gubanova) per poi offrire una visione cantabile e addolcita della Terza di Brahms.
NAPOLI, 24 gennaio 2025 - Il suggerimento di Alma Schindler fu disatteso da Gustav Mahler: “Non dipingere il diavolo sul muro!” - locuzione tedesca dal significato di “Non chiamarti le disgrazie!” - aveva suggerito al marito durante la composizione (1901 - 1904) dei Kindertotenlieder per voce e orchestra. L’acuto intuito femminile di Alma fu profetico: solo pochi anni dopo, nel 1907, Maria Anna Mahler, primogenita della coppia, morì a soli cinque anni di difterite. I coniugi furono colpiti da quello stesso strazio descritto dai versi Friedrich Rückert, testimone nel 1836 del più assurdo e contro natura dei lutti, la morte dei propri figli.
Composizione cupa, avvolta nel colore plumbeo del dolore inconsolabile, dell’illusione straziante del ricordo, della constatazione dell’indifferenza del fluire dei giorni, i Kindertotenlieder, affidati alla voce di baritono o mezzosoprano, hanno tinte soffuse, raccolte, quasi cameristiche: lo strazio narrato nel ciclo è affidato al canto inconsolabile della voce umana, la quale riceve compassionevole sostegno dall’orchestra che intona brevi e struggenti melopee con sonorità sussurrate.
Di questa visione, intimistica e macerata, si dimostra attento e raffinato interprete Michele Mariotti che, molto ben coadiuvato dall’Orchestra del San Carlo, immerge il ciclo in una atmosfera di rassegnazione dolorosa che non prevede redenzione. Mariotti analizza e cesella la partitura con precisione certosina e chirurgica: ne evidenzia l’ordito strumentale, il dialogo fitto tra i legni, lo scintillio straniante del glockenspiel (encomiabile per la precisione e la calibrata intensità dei tocchi il lavoro alle percussioni di Franco Cardaropoli) in chiusura del primo Lied Nun will die Sonn' so hell aufgeh'n (E oggi il sole vuole ancora sorgere così splendente).
Al mezzosoprano Ekaterina Gubanova, reduce dal successo ottenuto nella recente Rusalka nei panni della Principessa straniera (la recensione: leggi la recensione), è affidata la parte vocale. Se all’inizio denota qualche imperfezione nel sostegno, faticando a trovare la giusta intensità emotiva nel primo Lied, nel procedere della composizione, invece, mette a fuoco la propria vocalità, malgrado qualche nota grave appaia non adeguatamente sostenuta, e risulta più coinvolta dalla scrittura poetica di Rückert e da quella musicale di Mahler. Nell’ultimo Lied in particolare, In diesem Wetter (Con questo tempo, in questa bufera), racconto straziante del funerale dei bambini, la Gubanova trova accenti lancinanti e toccanti, prossimi al parlato sulle parole “In diesem Wetter, in diesem Braus”delle prime tre strofe; vira poi verso l’estatica contemplazione dell’illusione su “Sie ruhn als wie in der Mutter Haus” (Riposano come a casa, dalla mamma): qui orchestra e voce si stemperano, diventano evanescenti, ammutoliscono dinanzi al più profondo e irragionevole dei dolori.
L’impronta intimistica e cameristica dei Kindertotenlieder si riverbera anche sul secondo brano in programma, la Sinfonia n. 3 in fa maggiore, op. 90 (1883) di Johannes Brahms, della quale Michele Mariotti e l’Orchestra del San Carlo offrono una lettura nel complesso pregevole. Il direttore pesarese ha una visione personalissima, tanto originale che a tratti può risultare spiazzante, della Terza di Brahms. Sin dall’Allegro con brio del primo movimento si comprendono le intenzioni del direttore, che mira a smussare, alleggerire, addolcire e ad accentuare l’aspetto cantabile, il tutto a scapito di quella travolgente energia di cui almeno i movimenti estremi della sinfonia sono intrisi.
Sonorità dunque ingentilite, ductus musicale, nel primo movimento, che procede abbastanza spedito ma privo di quell’intensità che il ruggito della travolgente scrittura di Brahms pretenderebbe: tutto appare aggraziato, quasi tenuto a freno dal gesto eloquente ed elegante di Michele Mariotti.
Già nel secondo movimento, Andante, fa breccia quella marcata cantabilità che Mariotti imprime all’intera sinfonia: per esaltarla tende ad allargare, forse eccessivamente, l’agogica, ampliare i rallentando; il discorso musicale di conseguenza risulta alquanto appesantito.
Il celeberrimo terzo movimento diventa la quintessenza di questa interpretazione: il brano assume, a giudizio di chi scrive, caratteristiche eccessivamente prossime a quelle di un brano operistico. L’Orchestra, in ottima forma in tutte le sezioni, risponde perfettamente alla sollecitazioni del direttore: una cantabilità (troppo) sussurrata e stemperata, di sicuro elegante, che però più volte rischia di pagare un prezzo troppo alto, per i rallentando dilatati e le lunghe pause, alla coesione del movimento, al rispetto dello spirito del movimento, alla sua funzione di raccordo, all’interno dell’organismo della sinfonia, tra secondo e quarto movimento.
Infatti, anche il quarto e ultimo movimento, Allegro, risulta assopito nell’ebollizione di energia di cui la scrittura di Brahms trasuda: Mariotti indubbiamente non rinuncia all’incisività, ma essa è, coerentemente alla visione dell’intera sinfonia, stemperata e declinata sub specie di una accentuata cantabilità e rarefazione di intensità, ben testimoniata dalle evanescenti battute finali
Al termine, apprezzamento convinto, applausi calorosi per Michele Mariotti, l’Orchestra del San Carlo e le sue prime parti.
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