Repetita ad libitum

di Sergio Albertini

Successo di pubblico, ma non poche perplessità per una ripresa del Barbiere di Siviglia che sa di stantìo e penalizza, fra regia e concertazione, il potenziale del cast.

CAGLIARI, 16 marzo 2025 - Se ne può discutere, ma è indubbio che il vero protagonista del Barbiere di Siviglia non sia Figaro, bensì il Conte. E al di là della lunga tradizione di fantomatici aneddoti sulla presunta ingombrante presenza dell'opera di Paisiello, non è un caso che Rossini abbia scelto come titolo Almaviva, o sia l'inutil precauzione. E allora, che fine ha fatto, dopo anni di consolidata Rossini Renaissance, l'aria 'Cessa più di resistere' con cui si culmina la sequenza finale dell'opera ? Un tenore come Maxim Mironov (l'Almaviva di questa edizione cagliaritana), di solida estrazione belcantistica, l'ha perfettamente eseguita, tra l'altro, anche alla Scala (settembre 2021, direttore Riccardo Chailly) o a Parma (2024, direttore Diego Ceretta), risalendo fino al Rossini Festival di Pesaro (2018, direttore Yves Abel). Giusto per citare tre occasioni.

E allora ? A che serve, come fa il direttore dello spettacolo cagliaritano in una intervista pubblicata sul programma di sala, dichiarare (pag.43): “Io ho riaperto tutti i tagli di tradizione” (fatto salvo poi, per “esigenze registiche”, aver tagliato anche alcune battute nel quintetto del secondo atto).? Che edizione si è adottata ? Quella di Zedda ? Nessuna indicazione sullo stesso programma di sala.

Il barbiere di Siviglia, comunque. Presente, nella lunga e travagliata storia degli spazi teatrali cagliaritani, per almeno quarantaquattro stagioni, a partire dal 1831. Di certo, non una rarità (tra le riprese più recenti, nel 2001, nel 2006, nel 2018). Opera amatissima, mentre altri lavori rossiniani, tuttavia, da Semiramide a Tancredi, dal Turco in Italia a Mosè in Egitto (per tacere della Donna del lago o di Ermione, Le comte Ory o Matilde di Shabran) sembrano godere a Cagliari di un ingiustificato oblio, lasciando al pubblico la convinzione che Rossini sia, per l'appunto, solo l'autore del Barbiere, della Cenerentola (riproposta nel 2023), dell'Italiana in Algeri (2024).

Il barbiere di Siviglia, comunque. In un vecchio allestimento del 1999 del San Carlo di Napoli che porta la firma di Filippo Crivelli. Se le scene di Lele Luzzati mantengono intatte lo stupore e il loro lieve tocco fiabesco, se i costumi di Santuzza Calì sono funzionali e poco più (personalmente trovo poco adeguate al resto le divise dei soldati), quel che sembra mantenere un che di santìo è proprio la regia di Crivelli, ulteriormente 'sgualcita' dalla ripresa di Daniela Zedda. Quest'ultima, sempre nel programma di sala già citato, dichiara: “...eppure a me, e non solo, sembra tuttora molto moderno e coinvolgente. Più di certe altre produzioni che vorrebbero essere trasgressive, ma poi passano senza lasciare traccia indelebile” (pag. 47). Che ci sia una buca del suggeritore posticcia su cui ora Figaro, ora Almaviva poggiano il loro piede, su cui si siede l'inquieta Berta, o che Almaviva salga sull'impagliatura d'una seggiola al primo atto possano lasciare “tracce indelebili”, come le giravolte della povera Rosina che fa ruotare le balze della sua gonna... oh, beh, siamo lontani dall'obiettivo. Daniela Zedda, peraltro, ha aggiunto qualche lieve ritocco alla regia di Crivelli: “per esempio, nel finale primo ho aggiunto una serie di loop per il coro, cioè moduli di azioni ripetute, come a voler sottolineare la stratificazione del crescendo musicale” (pag. 50). Già. Questo sì che lascerà traccia indelebile, il sollevare e abbassare i fucili...

Il cast, fresco e giovanile, sembra in parte subire un effetto narcotizzante da questa regia e dalla sua ripresa. Agile, sì, senza fronzoli o eccessive gigionate; ma con i soliti passettini di Don Alonso o la scena della lezione con i colpi di sonno di Don Bartolo come si è visto mille e più volte; in compenso, abbiamo un fastidioso, ipercinetico, invadente Ambrogio (il cui interprete, sia pure muto, non è citato in locandina, come pure quello del Notaio). Luzzati disegna interni ed esterni dal vago sapore moresco (ma è bene ricordare, per coloro che fanno 'oooh' come i bambini di Povia, che gli azulejos presenti come decoro nelle pareti della casa di Rosina c'erano già nel bell'allestimento scaligero del 1964 e si ritrovano nella produzione ideata da John Cox per il Metropolitan nel 1989). Il tutto si riduce a una girandola narrativa, tutto sommato, stucchevole (quelle manine che battono sulle cosce come soluzione dello splendido concertato conclusivo dell'atto primo!), fino al trash floreale strapaesano con cui si chiude il secondo atto.

C'è un direttore, Salvatore Percacciolo, che dirige con una certa monocromia, quasi Il barbiere di Siviglia fosse ancorata al vecchio mondo dell'opera buffa napoletana; manca un che di sulfureo, i fiati eccedono in suoni obesi, la massa orchestrale intera spesso soverchia le voci in scena (in particolare Maxim Mironov). Bello il Temporale; le semiminime (le prime gocce di pioggia) sono perfettamente staccate 'sottovoce' dagli archi, e le folate di semicrome mantengono una netta separazione dinamica tra il 'piano' e il 'fortissimo'. Un'oasi positiva in un piatto deserto interpretativo, in cui l'orchestra soffre di una ipertrofica bulimia sonora, finendo con l'assorbire l'intrigante gioco dei fiati e degli strumentini in più momenti.

Il cast, temo, ha in qualche modo subito di conseguenza queste condizioni, musicali e registiche, rendendo probabilmente meno di quanto avrebbero potuto: per esempio negli abbellimenti, nelle cadenze, nelle variazioni. Ora, c'è una nuova edizione critica del Barbiere, a cura di Patricia B.Barber e Gosset che per l'ornamentazione mette a disposizione un ricchissimo apparato di mano rossiniana per Rosina, ad esempio; Annalisa Stroppa (Rosina, per l'appunto) ha un'eccellente vocalità mezzosopranile, con un luminoso ed esteso registro acuto. Ma restituisce una figura più noiosa che piccante, più querula che furba. Se la sua cavatina scivola via in modo scolastico (da prima della classe, ma “può impegnarsi di più”, direbbe la maestra) così come il “Dunque io son” in duetto con Figaro, migliora decisamente nel secondo atto, dalla scena della lezione fino al terzetto finale. Maxim Mironov, in quella zona ambigua tra il biancore del falsettone e il volume in centro piuttosto debole, ha tecnica e gusto di stampo belcantista; “Ecco ridente in cielo” ha perfetto legato nel cantabile inizale, in “Se il mio nome saper voi bramate” effettua ripresa con un tempo di fandango che ne snatura completamente l'accompagnamento sillabico della chitarra.

Abbiamo, poi, un Figaro giovane (a tratti forse acerbo) e vitale è Daniele Terenzi, un Bartolo misurato è Giulio Mastrototaro, mentre il Basilio di Peter Martincic eccede con una corona tenuta davvero troppo a lungo al termine della sua 'Calunnia'. Una Berta,quella di Chiara Notarnicola, che si sarebbe voluta forse più 'matura' e aderente alla parte, nella norma il Fiorello (e un ufficiale) di Giuseppe Esposito. Il coro maschile del Lirico, come sempre, è stato in gran forma, preparato da Giovanni Andreoli,

Il pubblico, ampiamente soddisfatto dallo spettacolo, ha decretato intenso successo.

Leggi anche:

Parma, Il barbiere di Siviglia, 12/01/2024

Pesaro, Il barbiere di Siviglia, 13/08/2018

Trento, Il barbiere di Siviglia, 31/01/2025

Cagliari, La monacella della fontana, 29/03/2025

Cagliari, L'italiana in Algeri, 12/05/2024