L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Yin e Yang

di Roberta Pedrotti

Grande successo di pubblico per Il barbiere di Siviglia al Teatro Sociale di Trento per la stagione lirica della Fondazione Haydn. La concertazione rifinita e teatrale di Alessandro Bonato e la regia ipercinetica di Fabio Cherstich, in coproduzione con Modena e Reggio Emilia, offrono di Rossini due visioni opposte che finiscono per armonizzarsi nel segno di una visione musicale sempre sensata e coerente.

TRENTO, 31 gennaio 2025 - Teatro pieno, esaurito, un'età media del pubblico decisamente bassa, con ragazzi e ragazze entusiasti che compiangono gli amici assenti (non dovranno mancare la prossima volta, ripetono). Prosegue la stagione lirica della Fondazione Haydn – la prima con Giorgio Battistelli direttore artistico – e il 2025 comincia proprio bene: c'è fame d'opera, terreno fertile e si lavora bene per crescere insieme, è chiaro.

In questo quadro pieno di vita, quando le luci in sala si abbassano e si anima Il barbiere di Siviglia, sembra prendere forma un moto di yin e yang fra due concezioni opposte del teatro rossiniano.

Della regia di Fabio Cherstich l'idea migliore sembra la prima: sinfonia a sipario chiuso, spazio alla musica. Dopo, però, le cose non vanno altrettanto bene e si affastellano gag su gag, si pesca a piene mani da Ponnelle, con un pizzico di Ronconi e vari cliché ormai frusti, ci si muove in continuazione in un palcoscenico semivuoto (l'assenza di quinte e fondali non aiuta certo un'acustica già complicata) attraversato da bizzarre macchine e attrezzerie (scene di Nicolas Bovey, luci di Marco Giusti). Il regista proclama – in note di sala che enumerano trovate più che spiegare un'idea che fatichiamo a ravvisare – di voler enfatizzare l'aspetto surreale dell'opera buffa rossiniana. Senz'altro questi aspetti stranianti, astratti, folli esistono, ma traggono la loro forza dall'essere inseriti in un meccanismo teatrale ben altrimenti articolato. Non si costruiscono fantasticherie sulle nuvole: quando Stendhal – in un ben preciso contesto di dibattito storico ed estetico e in relazione all'Italiana in Algeri – parla di folie, prima ancora che complète la definisce organisée. D'altra parte, anche Alice nel paese delle meraviglie è avulso da ogni realismo, pur tuttavia non manca di inventare una propria, per quanto strampalata, logica interna. Qui vi si rinuncia, succedono mille cose e per mille e una ci chiediamo “perché?”, mentre si trascura la consequenzialità degli eventi: per fortuna si riapre qualche taglio rispetto al debutto di questo spettacolo, in streaming da Reggio Emilia in tempo di pandemia, quando ogni opera appariva un miracolo e si chiudeva più facilmente un occhio, ma continua a mancare tutta la scena fra l'aria di Berta e il Temporale, snodo fondamentale della trama. Perché? Di certo, in quest'ipercinetico horror vacui alla fine si ride poco, anzi, guarda caso si ride proprio quando, invece, è la cura musicale della parola e della commedia a prendere il sopravvento. Per esempio quando al cembalo Richard Barker inserisce citazioni nei recitativi: Berta si associa a Despina, la partenza di Bartolo a bordo di un armadio al Petit train du plaisir, il Notaro al pucciniano Messer Amantio...

Il violoncello dell'ottimo Gianluca Montaruli conferisce la sacrosanta e spesso negletta completezza al continuo e, insieme con la presenza del cembalo di Barker nei numeri musicali, contribuisce alla fluidità del discorso, ammorbidendo lo iato strumentale fra recitativi, arie, numeri d'insieme. Già qui si comprende come a uno yin corrisponda uno yang, al tipo di moto imposto da Cherstich ne risponda un altro impresso da Alessandro Bonato sul podio.

Al suo terzo Barbiere e primo in un teatro al chiuso sopo lo Sferisterio [leggi la recensione] e l'Arena [leggi la recensione del 24/06/2023 e del 22/07/2023], il neonominato direttore principale dell'Orchestra Haydn, in carica dal prossimo ottobre, conferma un'idea di Rossini basata sul testo e non sul cliché, sullo studio del senso e non sulla ricerca dell'effetto, sulla priorità della chiarezza d'articolazione di note e parole. Non si tratta, sia ben chiaro, della replica su diversa scala di quanto già ascoltato nelle precedenti occasioni: i principi sono i medesimi, ma si gioca anche nel delineare diverse sfumature e soprattutto nel lavorare con un diverso cast e un diverso allestimento. Bonato non accompagna passivamente il canto, bensì lo sostiene, respira con esso, lo stimola e lo valorizza; parimenti lavora sull'agogica in relazione alla scena, accentua maggiormente alcune strette in coerenza con quanto avviene sul palco e fa sì, in definitiva, che la sua lettura e quella di Cherstich non si scontrino, bensì arrivino ad armonizzarsi e la musica porti alla rappresentazione il gusto e la logica di cui, altrimenti, avremmo avvertito la mancanza. Musicalmente tutto ha un senso, anche teatrale.

Così, non solo ci godiamo il ritorno della Haydn a Rossini dopo gli anni del Rof (bei tempi!), ma anche la compagnia di canto, nei costumi eterogenei e sgargianti di Arthur Arbesser, appare sempre a proprio agio nonostante le citate difficoltà acustiche del palcoscenico aperto. Spicca il Don Basilio di Nicola Ulivieri, che cesella una “Calunnia” d'alta classe, avvincente senza effetti ed effettacci, come del resto fa l'altro artista esperto in cartellone, Fabio Capitanucci, che sa mantenere, pur nel registro comico, la seria dignità di Don Bartolo. Bene anche gli esponenti delle nuove generazioni, ciascuno con potenzialità interessanti in evoluzione: Pietro Adaini, Almaviva, è squillante, limpido e comunicativo nell'articolazione, si amministra saggiamente con qualche cautela nei passaggi più scabrosi ma non si risparmia mai. Mara Gaudenzi è una Rosina espressiva e di bel velluto vocale, mentre il Figaro di Gurgen Baveyan canta con chiarezza quasi tenorile. Si fa notare per qualità di timbro ed emissione la Berta di Francesca Maionchi e convince pure Gianni Giuga come Fiorello e Ufficiale. Nei panni muti di Ambrogio Julien Lambert esegue alla perfezione ciò che la regia gli chiede e l'Ensemble vocale continuum preparato da Luigi Azzolini offre un adeguato contributo per gli interventi del coro nell'introduzione e nei due finali.

Un grande successo di pubblico, opposte prospettive pur tuttavia armonizzate sul palco e in buca: la vita di un capolavoro come Il barbiere di Siviglia è fin dall'inizio un gioco di contrasti, di realtà e suggestione, storia e leggende (ancora si raccontano come veri aneddoti tramandati solo da fonti molto lontane dalla prima: leggi l'approfondimento "I duecento anni del Barbiere di Siviglia"). Lo è perfino nel libretto e nella musica, che ci fanno credere a Figaro e Rosina quando si proclamano motori dell'azione, mentre a tirare le fila sono in realtà sempre i rapporti di potere fra il Conte e Don Bartolo. Figuriamoci se non può e non deve essere poliedrico, polimorfo, uno, nessuno e centomila anche quando rinasce in teatro. Questo è il bello dell'opera, quando ci entusiasmiamo come quando ci infuriamo.

Leggi anche

I duecento anni del Barbiere di Siviglia

Verona, Il barbiere di Siviglia, 22/07/2023

Verona, Il barbiere di Siviglia, 24/06/2023

Macerata, Il barbiere di Siviglia, 12/08/2022

Reggio Emilia, Il barbiere di Siviglia, 11/04/2021

Bolzano, Pierrot Lunaire / Gianni Schicchi, 09/11/2024


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