Le sorprese di Attila
di Luigi Raso
L'assetto previsto in origine per Attila al Teatro San Carlo subisce diverse modifiche lungo la strada, fra sorprese positive e piccoli inciampi.
NAPOLI, 24 aprile 2025 - Nella marcia di avvicinamento al Teatro San Carlo Attila di Giuseppe Verdi ha visto mutare nella sostanza il parterre d'interpreti: al posto del direttore Diego Ceretta, Vincenzo Milletarì; in luogo dell’annunciato Ildar Abdrazakov, Attila di lusso, Giorgi Manoshvili; poi, Odabella sarebbe dovuta essere Sondra Radvanovsky, la quale, indisposta, è stata sostituita a pochi giorni dalla prima da Anna Pirozzi, impegnata in questi giorni al San Carlo come Minnie nella Fanciulla del West (la recensione: leggi la recensione).
Ma i cambi di cast per questo Attila, evidentemente nato sotto cattiva stella, non finiscono qui: Luciano Ganci, palesemente indisposto e in enorme difficoltà alla prima del 24 aprile - si apprende mentre si scrivono queste considerazioni - sarà sostituito da Francesco Meli per la seconda e ultima replica del 27 aprile. Basta così! A meno che Attila non voglia candidarsi ad insidiare il primato di opera menagramo saldamente detenuto da quell’altra di Giuseppe Verdi..
Malgrado tutti questi incidenti durante il percorso di avvicinamento di Attila a Napoli – vi ritorna dopo la produzione del 2006 che vedeva la scena dominata dal non più giovanissimo unno, ma ancor graffiante e soprattutto iper-carismatico, di Samuel Ramey – questa ripresa, eseguita in forma di concerto, non manca di regalare positive sorprese.
Vincenzo Milletarì, al netto di alcuni aspetti perfettibili e di taluni cali di tensione, si dimostra concertatore e direttore di talento: a dispetto dei suoi trentacinque anni, ha alle spalle una significativa carriera internazionale ed è, per sua fortuna, direttore che ha fatto la gavetta, da tenere d’occhio. Il suo Attila è garibaldino, con echi battaglieri; qualche calo di tensione si avverte nei duetti, ma il meraviglioso e articolato concertato che chiude l’atto I è ben amministrato. Adeguato e ben rispettato l’equilibrio tra palcoscenico e buca. Dall’Orchestra del San Carlo, in buona forma, ottiene suono caldo e ben timbrato; qualche sbavatura, imprecisione e calo di tensione narrativa, come accennato, non manca, ma la prova dell’orchestra e del direttore sono nel complesso soddisfacenti.
Fabrizio Cassi, direttore del coro, da concittadino di Verdi, ha l’indubbio merito di infondere a piene dosi quel fremito gagliardo e battagliero che deve aleggiare nelle opere risorgimentali, “quarantottesche”, del compositore delle Roncole. Coro compatto, dal bel suono, idiomatico, garibaldino e possente come la partitura di Attila postula. Per dovere di cronaca, pur nel complessivo giudizio estremamente positivo, non si può non notare che le corde maschili appaiono più precise e sicure di quelle femminili, che in alcuni momenti denotano défaillance nell’intonazione e sonorità troppo spigolose.
Dell’Attila verdiano il coro è una delle tante assemblee di donne e uomini per le quali Verdi “pianse ed amò per tutti”: piange, trama e spera. Fabrizio Cassi e la compagine sancarliana stasera hanno saputo coinvolgere nei loro sentimenti anche il pubblico.
Ildar Adbrazakov è stato allontanato dal cast di questo Attila per il sostegno convinto e continuato al presidente della Federazione Russa Vladimir Putin anche successivamente alla invasione dell’Ucraina, con tutto il suo corredo di morti fra i cittadini (si ricordano ancora le stragi di civili inermi di Bucha e Kramatorsk?) e per aver ricevuto ed accettato pubblicamente dalle sue mani onorificenze e per aver firmato appelli per la sua rielezione nel 2024.
Già alcuni mesi fa, quindi, è stato sostituito dal georgiano Giorgi Manoshvili, il quale, ferma restando l’indiscutibile statura artistica e vocale di Adbrazakov, quasi non lo fa rimpiangere per la bellezza del timbro, per l’eccellente tecnica di emissione, il fraseggio, l’incisività della linea di canto. Un Attila estremamente convincente, quello di Manoshvili, dalla vocalità sicura, che si avvale di una dizione eccellente, che dà senso alle inflessioni della scrittura verdiana e con una buona - e affinabile - dose di carisma interpretativo. Nel primo atto, “Mentre gonfiarsi l’anima” e l’incontro/scontro con Papa Leone I sono momenti di grande impatto, vocale ed emotivo.
Ernesto Petti, baritono salernitano dalle indubbie qualità, gioca la carta della robustezza e della ruvidezza militaresca nel delineare il generale romano Ezio. La sua prova è in crescendo: dopo un esordio non perfettamente a fuoco, assottiglia l’emissione nell’aria “Dagli immortali vertici”dell’atto II, per poi ostentare acuti robusti e ferini nella successiva cabaletta “È gettata la mia sorte”.
Anna Pirozzi, Odabella, merita ringraziamenti per aver accettato, nel bel mezzo delle recite della Fanciulla del West, di sostituire con brevissimo preavviso la collega Sondra Radvanovsky. Com’è noto, Minnie e Odabella hanno scrittura sensibilmente divergenti: Anna Pirozzi, pur avendo “in gola” - come si dice icasticamente nel gergo dei cantanti - la parte pucciniana, ha affrontato quella verdiana ottenendo un esisto nel complesso convincente. La scrittura le consente indubbiamente di mettere in evidenza le sue qualità principali: la robustezza dello strumento, il volume (in particolare nel registro centrale e acuto). Facendo leva su queste caratteristiche, Pirozzi appronta una Odabella battagliera e assetata di vendetta, sacrificando forse eccessivamente il suo versante lirico di donna innamorata.
Discorso a parte, e limitato, per Luciano Ganci, il quale, sebbene non annunciato dal Teatro, si dimostra da subito colpito da indisposizione: lotta non poco - non riuscendoci – per tener fermo il timone dell’intonazione quando la scrittura si inerpica; per evitare gli acuti, è costretto a operare improvvisi trasporti all’ottava inferiore. Insomma, al netto del bel timbro restano tante imprecisioni causate dall’evidente indisposizione che avrebbero richiesto, in primis, l’annuncio da parte del teatro e, in “secundis”, la sua sostituzione. Per la rappresentazione del 27 aprile, infatti, Foresto sarà sostenuto da Francesco Meli.
Dall’Accademia del San Carlo provengono Francesco Domenico Doto (Uldino) e Sebastià Serra (Leone), entrambi adeguat per colore alle brevi parti che interpretano.
Al termine, il teatro quasi gremito tributa applausi per tutti; di consolazione e incoraggiamento per Luciano Ganci, che con eloquente gestualità si scusa con il pubblico per la sua prova inficiata dall’indisposizione.
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