L’Ape musicale

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«La mia Congiura nel mare magnum delle emozioni»

Il regista spiega come rappresenterà il clima della Firenze del XV secolo

È sempre molto complesso muoversi attraverso le pieghe della storia. Essa stessa sovente muta in leggenda, mito, resuscita, o forse non è mai morta, e comincia a nutrirsi delle interpretazioni prendendo vita propria, trasformandosi al suo stesso interno, divenendo multiforme. Ma l’accaduto è conoscenza comune ed è la catena che ci lega saldi alla storia medesima. Si può fantasticare sul luogo del primo incontro fra Dante e Beatrice, disquisire sulla lunghezza della lama che trafisse Giulio Cesare, non si può però disquisire sull’accaduto e sulla cronaca.

Nondimeno esiste un territorio pregno di possibilità nel quale ci si può addentrare con libertà e creatività interiore: ed è lo stato d’animo.

Ecco. La “mia” Congiura si muove attraverso queste pieghe.

Firenze altro non è che un “fazzoletto” di non molti quadrati, da poco più di un secolo è stata eretta la cerchia delle terze mura (gli attuali Viali), le porte delle città si chiudono a mezzanotte per un’ordinanza e chi si trova fuori e rientra mentre si stanno chiudendo, lancia sassate per non farsi serrare al di fuori della città, da lì il detto “siamo alle porte coi sassi”.

Dentro queste mura si decide la politica europea e non solo, si concerta la vita, si concentra la vita ecclesiastica, si dispone financo la vita del prossimo con alleanze, matrimoni, delitti e tutto ciò che serva a far incedere l’ingranaggio a pro di coloro che detengono il potere. Eccessi di ricchezze e povertà.

Occorrono giorni, a volte mesi per avere una risposta da Roma o da Milano, il messo che parte, la missiva che arriva, l’oggetto che viene discusso, l’epistola che riparte, infine la risposta che arriva a destinazione; immaginiamo poi se la risposta non era esaustiva o abbisognava di un ulteriore domanda. Gli inverni sono lunghi e rigidi, le case dei non nobili malsane, l’alimentazione approssimativa (innumerevoli le morti di gotta, lo stesso Magnifico). Senza contare che la “povera” Firenze è funestata dalle alluvioni, nei duecento anni che precedono “la congiura” se ne contano almeno diciotto disastrose.

Ma Firenze è una città di eccessi, ora come allora, ed in mezzo a questo maremoto, tuttavia non deriva, troviamo anche la straordinaria nascita del Rinascimento artistico, il brulicare di iniziative atte ad unirsi e sollevare gli animi, come ricorrenze quasi quotidiane nei vari canti della città per onorare un Santo piuttosto che celebrare un matrimonio o una festa rionale. Insomma Firenze è un turbinio di emozioni compresse, e questo vale ovviamente per tutte le città murarie dell’epoca.

Dunque ciò che per me era ed è di precipuo interesse, direi esigenza artistica, si muove nel mare magnum delle emozioni, non nella cronaca e trattasi, ripeto: dello stato d’animo. Racconteremo sì un pezzo di storia, di cronaca come l’ho definita di sopra, ma soprattutto racconteremo, le ragioni ragionevoli o meno. Senza spiegarle, sarebbe presuntuoso, non vogliamo essere giudici tantomeno maestri, solo narratori di sensazioni, sentimenti attraverso la storia.

E se vi è una missione che mi sono prefisso, una definizione che sigilli i miei intendimenti nel percorso de “La congiura” è: poesia evocativa; termine apparentemente implicito il secondo ma non affatto scontato.

Prendere coscienza e conoscenza dei fatti e personaggi, non per disconoscerli o riconoscerli ma per non conoscerli più, poiché in questa analisi e studio siamo diventati il personaggio stesso, non con le sue emozioni ma con quelle emozioni.

Che si approvi o meno “la ragion di stato”, l’amore fra un nobile e la figlia di un corazzaio, gli sperperi per il carnasciale, o che se ne prendano le distanze, non è mio intendimento. Intendo essere “li”, essere “nel”, senza l’io colui che fu, conseguentemente senza il mio io; ovvero il personaggio. E non m’importa se il “phersu” differisce dal supposto storico, sono io qui travolto da qualcosa di più grande, di incontrollabile, di tracimante che non è storia fine a se stessa ma vita. Imperitura.

Sandro Querci


 

 

 
 
 

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