Eccelsi rimedi
Alexander Lonquich sostituisce l’attesissima Hélène Grimaud, costretta alla defezione per un problema di salute, nel penultimo concerto della stagione di Lingotto Musica: il primo di Brahms lascia dunque il palco al quarto concerto di Beethoven e il compositore amburghese rimane appannaggio della sola Camerata Salzburg, che eccelle nella prima serenata.
Torino, 7 maggio 2025 – Ci sono serate che iniziano con una piccola crepa nel cuore. Hélène Grimaud non era solo una delle stelle più attese nel firmamento già ricchissimo di Lingotto Musica, ma un’occasione per il pubblico torinese di attingere a una fonte di intensa personalità ed estro creativo. Proprio su questo stesso palco, l’inafferrabile pianista francese s’era resa protagonista di un memorabile concerto – in cui al concerto n. 20 in re minore di Mozart seguiva il primo di Schumann –, un paio di anni fa e sempre con la Camerata Salzburg, ammaliando il pubblico con un carisma che, nella percezione di chi scrive, è dato a pochi interpreti. L’attesa per il bis, dunque, si caricava di aspettative quasi affettive, come quando si torna a incontrare qualcuno che, pur non conoscendoci, ci ha lasciato in un fortuito incontro un segno profondo e indelebile. Ma la musica, si sa, ha i suoi imprevisti e i suoi miracoli, e così, appresa la notizia della sua indisposizione, Lingotto Musica ha trovato in meno di ventiquattr’ore un sostituto d’eccezione, capace di lenire le pene della delusione.
Cassato dall’impaginato di sala il primo concerto di Brahms, Alexander Lonquich si è immerso, e ha immerso noi e l’eccellente Camerata Salzburg, nell’aurorale partitura del concerto n. 4 in sol maggiore op. 58, il più fine e peculiare tra i cinque concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven. Ritroviamo così quelle stesse suggestioni regalateci quattro anni or sono, proprio qui nell’Auditorium Giovanni Agnelli, con l’integrale dei concerti insieme all’Orchestra da Camera di Mantova. Lonquich legge il quarto con fraseggio ispirato, musicalità eccelsa, tocco rotondo e flessuoso, capace di accarezzare la tastiera per pianissimi evanescenti e dar fuoco alle polveri là dove la scrittura si fa più maestosa e brillante. Con una lucidità analitica che non si tramuta però mai in freddezza, Lonquich sa far dialogare il presente e il passato che si avvicendano in una partitura tanto nobile e per molti aspetti innovativa: l’equilibrio perfetto tra tensione e cantabilità, tra scavo intellettuale e abbandono lirico, fa della sua interpretazione un viaggio poetico, meditato e insieme visceralmente comunicativo, capace di restituire la modernità bruciante di questa sublime pagina. Complice la natura straordinaria della sostituzione, è inevitabile che il rapporto con la Camerata Salzburg sia quello di due eccellenze che si affiancano ma non si fondono, come corpi celesti vicini che sfiorano l’orbita comune senza ancora condividerla del tutto: specie nell’Allegro moderato iniziale, nel dialogo con l’orchestra si è avvertita l’assenza di una piena comunione, e alcuni passaggi si sono affidati più alla superba professionalità che a un’intesa davvero matura. Ma per quanto costruito in così poco tempo, tanto basta – e avanza – per non recriminare oltre. Tant’è che il pubblico saluta il salvatore della serata con acceso entusiasmo, costringendolo a due bis eseguiti in maniera magistrale: la Novelletta op.21 n.2 di Schumann e la Bagatella op. 126 n. 6 di Beethoven.
Dopo l’intensità assorta del Beethoven di Lonquich, la Serenata n.1 in re maggiore op.11 di Johannes Brahms apre una finestra su un mondo altro, fatto di equilibri classici e di serena espansività. Prima prova orchestrale del compositore amburghese, la Serenata conserva l’eleganza da musica da camera trasportata su scala sinfonica, con quella scrittura ariosa e lieve che tradisce l’ammirazione giovanile per Mozart e Haydn, ma già lascia intravedere l’identità piena di un autore capace di fare sintesi tra tradizione e slancio romantico. È una pagina che respira con naturalezza in un’atmosfera pastorale, che non cerca il colpo di teatro ma piuttosto la grazia della proporzione, l’intelligenza della conversazione musicale, il piacere del canto intimo e sereno. Qui la Camerata Salzburg, diretta dal primo violino Giovanni Guzzo, finalmente esplode in un trionfo di sonorità gioiose e iridescenti: un tripudio di colori orchestrali e fraseggi cesellati con cura, che restituiscono tutta la vitalità e la freschezza di questa partitura giovanile. La compagine salisburghese si fa protagonista di una lettura dinamica, attenta ai dettagli e al respiro globale della forma, capace di esaltare tanto la leggerezza danzante dei movimenti esterni quanto la cantabilità raccolta dell’Adagio non troppo. Il dialogo tra le sezioni è vivo, flessibile, virtuoso, e la compattezza dell’ensemble si accompagna a una nitidezza timbrica che rende giustizia all’invenzione brahmsiana. Dopo le raffinate inquietudini beethoveniane, la Serenata si offre come un inno alla semplicità nobile del suono, conclusione luminosa e pienamente risolta di una serata iniziata con una crepa ma terminata con piena soddisfazione.
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