È abbastanza evidente come il problema cronico sia da ricercare in costi patologicamente non corrispondenti a quanto prodotto; osserviamo la struttura percentuale dei costi fiorentini per scoprire come, a parte qualche variazione annuale determinata da differenti accantonamenti nel fondo oneri e rischi, è sostanzialmente immutabile nei vari esercizi.
Tralasciando la voce assolutamente secondaria delle spese per godimento di diritti di terzi, come il noleggio di allestimenti o il noleggio di materiale musicale (quante volte ci è stato raccontato che i problemi dei teatri si risolvono con le edizioni Kalmus!) – inezie, come si vede dal grafico seguente – vale la pena soffermarsi su altro.
Gli importi complessivi si fanno più consistenti nel caso degli costi per servizi che includono i cachet artistici degli scritturati, le spese per utenze, i costi di manutenzione (Firenze, nonostante la costruzione del nuovo teatro, ha continuamente effettuato lavori di bonifica amianto nel vecchio Comunale, pur sapendo che la location era destinata alla dismissione) i costi di facchinaggio (e Firenze, pur avendo adesso una sede costata un bel po’, la programmazione si articola in una decina di location, quindi ci sono servizi di trasporto e facchinaggio affidati per gara: guai ad ammortizzare l’acquisto di un automezzo e impiegare quattro operai selezionati tra i dipendenti, ché ne scaturirebbe certamente una vertenza sindacale per demansionamento).