L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Nina pazza per amore di paisiello a taranto e savona

Notte per me luminosa

di Marco Betta

Scene liriche su personaggi de L' Orlando Fuorioso di Ludovico Ariosto

Libretto di Dario Oliveri

Nuova opera commissionata dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena e dal Teatro dell'Opera Giocosa di Savona in occasione dei 500 anni dalla prima edizione dell'Orlando Furioso

Prime rappresentazioni assolute:

Teatro Comunale L. Pavarotti - Modena, 2 dicembre 2016

Teatro dell'Opera Giocosa – Savona, 11 dicembre 2016

Personaggi:

Ludovico Ariosto, voce recitante; Angelica, soprano; Medoro (e Astolfo), mezzosoprano; Orlando (e Pastore), baritono

La nuova opera commissionata dal Teatro Comunale al compositore Marco Betta dal titolo Notte per me Luminosa è dedicata ai 500 anni dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Marco Betta, che in Italia ha ricevuto inviti e commissioni da enti e festival come il Teatro alla Scala, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, l’Accademia Chigiana di Siena, l’Arena di Verona, l’Orchestra Sinfonica della RAI e l’Orchestra Regionale della Toscana, ha collaborato con Andrea Camilleri ad un ciclo operistico del quale Il Fantasma nella Cabina si è visto a Modena nel 2002. La sua musica, che si è sempre nutrita della memoria storica di antiche culture mediterranee, fondendo tradizione classica e modernità, si unisce in questa occasione alla narrazione poetica che Dario Oliveri ha immaginato attorno agli ultimi istanti della vita dell'Ariosto e alla rievocazione fantastica dei personaggi del più noto poema cavalleresco. “Una notte di prima estate del 1533. La casa di Ludovico Ariosto a Ferrara, in contrada Mirasole. Una stanza con un grande letto, una scrivania ingombra di carte, le pareti ricoperte di scaffali e di libri”: questo l'incipit dell'opera che, spiega Oliveri, “è non soltanto uno spettacolo teatrale – o un lungo madrigale a più voci – sulla morte di Ludovico Ariosto, ma anche un’opera sul mistero della creazione artistica e sul potere della letteratura; un’opera che si alimenta di altre opere, soprattutto musicali e poetiche”

Trama

Ferrara, una notte di prima estate del 1533.

La stanza da letto nella casa di Ludovico Ariosto. Il poeta ha 59 anni e da alcuni mesi – dopo l’incendio che ha distrutto la sua scena teatrale per la Sala grande del Palazzo ducale – è profondamente angosciato, non ha pace, trascorre le notti fra i sogno e la veglia. Sta dormendo su una poltrona e all’improvviso si sveglia, assalito da ricordi lontani: rammenta, tra l’altro, il suo Orlando Furioso, ma in maniera confusa.

Si riassopisce e sogna. Vede Angelica, vestita di bianco, che si guarda intorno con aria circospetta, pare inseguita. Poi ecco calare il buio, le tenebre; un gruppo di uomini e donne seminudi, con i corpi dipinti, salta fuori dall’ombra e si avventa su Angelica. La ragazza tenta inutilmente di divincolarsi, ma viene afferrata e sollevata da terra. Comincia una sorta di rito furente: alcuni uomini suonano con forza i tamburi, altri danzano selvaggiamente, le donne strappano il vestito di Angelica e le fanno indossare una tunica rossa; alcuni bambini gridano tenendosi la testa fra le mani e Angelica viene legata mani e piedi a una grande struttura di legno.

Il poeta è agitato, urla nel sonno, poi si sveglia di soprassalto e si rende conto di essere nella sua camera; si alza, beve un sorso d’acqua, cerca di tranquillizzarsi. Poi si avvicina ai suoi libri, ne prende uno e comincia a leggere.

Compaiono, nella sua mente, Angelica e Medoro, abbracciati, intenti a vivere il loro amore; ma un pastore li mette all’erta. Irrompe infatti Orlando, completamente folle di gelosia, che brandisce la sua Durlindana. Dopo aver perso la ragione e aver fatto il giro del mondo, uccidendo e distruggendo ogni cosa sul proprio cammino, è tornato nel luogo in cui tutto ha avuto inizio, lì dove Angelica e Medoro hanno inciso sui muri, sulle pietre, sulle cortecce degli alberi i segni del loro amore, scatenando la sua ira. Ma tutto sembra accadere lì, nella stanza di Ariosto: realtà e ricordi si confondono. Il Pastore tenta di nascondersi dietro i mobili, ma Orlando lo vede, lo insegue e lo trafigge con la Durlindana, accanendosi poi sul corpo senza vita. Poi si aggira un istante sulla scena, beve da una bottiglia che trova sul tavolo e lascia cadere la spada sporca di sangue. Ora è lui ad accasciarsi sulla poltrona di Ariosto.

Entra in scena Astolfo, il paladino inglese che la fata Alcina – dopo averlo amato per un breve periodo – ha trasformato in un mirto. In groppa all’Ippogrifo sale sulla vetta del Paradiso terrestre e poi sulla Luna, dove in un vallone sono raccolte tutte le cose perdute dagli uomini sulla Terra. In quella sconfinata varietà di oggetti trova l’ampolla in cui è racchiuso il senno di Orlando.

Si vede Astolfo sollevarsi in aria, poi la scena diventa di nuovo quella iniziale: la stanza di Ariosto è vuota e lui sta dormendo.

Ma ecco che tutti i suoi personaggi compaiono in scena, lui apre gli occhi e li vede intorno a sé: Angelica, bellissima, Orlando rinsavito e Astolfo, in vesti da viaggiatore. Ariosto si sente, da dentro, una rinnovata energia.

I suoi personaggi lo circondano, in silenzio.


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