L’Ape musicale

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Nina pazza per amore di paisiello a taranto e savona

GIOVANNI GREGORIO CATALDO PAISIELLO

(Taranto, 9 maggio 1740 - Napoli, 5 giugno 1816)

Giovanni Gregorio Cataldo Paisiello nacque a Taranto il 9 maggio 1740 da Francesco, maniscalco, e Grazia Antonia Fuggiale. Dal 1745 al 1753 studiò nel collegio gesuitico di Taranto con la prospettiva di intraprendere la carriera giuridica. Assimilati i primi rudimenti musicali dal tenore Carlo Resta, sacerdote amico dello zio materno, su invito e patrocinio di Girolamo Carducci Agustini marchese di Fragagnano e dell’avvocato Domenico Gagliardo, nel 1754 fu accompagnato dal padre a Napoli per compiere gli studi musicali nel conservatorio di S. Onofrio, dove entrò da convittore l’8 giugno. Alla morte di Francesco Durante (30 settembre 1755) la direzione dell’istituto passò a Carlo Cotumacci e Girolamo Abos; ma al perfezionamento di Paisiello nell’arte del contrappunto accudì soprattutto Joseph Doll, unico docente straniero nei conservatorii napoletani. Divenuto mastricello nel 1759 e compiuti nel genere sacro i primi saggi compositivi, il 5 luglio 1763 Paisiello terminò anzitempo il proprio tirocinio. Il debutto nella carriera operistica avvenne nei teatri emiliani: esordì al teatro Rangoni di Modena con l’opera buffa La moglie in calzoni (18 febbraio 1764), proseguì poi a Bologna con Il ciarlone e I francesi brillanti. Dopo una puntata a Venezia e una sosta a Roma – al Valle andò in scena l’intermezzo a quattro voci Le finte contesse – Paisiello, rientrato a Napoli, ebbe nuove commissioni per il teatro Nuovo e dei Fiorentini con due commedie per musica del Mililotti che siglarono l’incontro tra Paisiello e il genio vocale e istrionico di Gennaro Luzio e di Antonio e Giuseppe Casaccia. Nella primavera 1767 L’idolo cinese, primizia di una lunga e fruttuosa collaborazione con Giambattista Lorenzi, fece colpo sul pubblico partenopeo, per l’inedita mescolanza dei registri stilistici e la suggestiva ambientazione esotica; la corte stessa ne richiese un’immediata ripresa nel proprio teatro, indi in quello di Caserta nel 1768 e di nuovo a Palazzo reale il 6 aprile 1769 alla presenza di Giuseppe II. Nel giugno 1767 Paisiello debuttò al S. Carlo col dramma per musica Lucio Papirio dittatore, di Apostolo Zeno. L’ottimo rapporto con la corte s’incrinò quando a fine agosto Paisiello indirizzò una supplica al sovrano onde evitare il matrimonio con Cecilia Pallini, che si sarebbe finta vedova e risultò sprovvista della dote promessa. La contesa si risolse a favore della donna: le nozze furono celebrate il 14 settembre nel carcere di S. Giacomo degli Spagnoli, dove Paisiello venne recluso per alcuni giorni appunto per via del mancato impegno matrimoniale. Le vicissitudini prenuziali non incisero però sui ritmi produttivi del musicista, che si mantennero alti fino a fine 1770. Risale a quest’anno l’amicizia del musicista con l’abate Ferdinando Galiani, consigliere del Tribunale di commercio, intellettuale brillante e poliedrico, già ambasciatore a Parigi e dotato d’una fitta serie di contatti internazionali.

Solo nel 1774 la corte borbonica riattivò i rapporti con l’operista commissionandogli Il divertimento de’ Numi, «scherzo rappresentativo per musica» di Lorenzi, da recitare in coda all’Orfeo ed Euridice di Gluck nel teatro di Palazzo. In quell’anno Paisiello scrisse due dei melodrammi più acclamati: Il duello e La frascatana poi ripresa 186 volte in Italia e in tutt’Europa, caso senza eguali nel genere buffo settecentesco. Il 1775 fu l’anno del Socrate immaginario, un esilarante capolavoro nato dalla collaborazione con Galiani e Lorenzi, che vi misero in burla l’affettata infatuazione erudita per la cultura greca osservata in tanti parvenus dell’intellettualità partenopea.

Nel 1776 Paisiello fu richiesto dalla zarina Caterina II, su segnalazione del barone Friedrich Melchior von Grimm (a sua volta influenzato dall’amante Louise d’Épinay, corrispondente e amica di Galiani) e dell’imperatore Giuseppe II. Il soggiorno a Pietroburgo si prolungò per ben otto anni, durante i quali l’operista affinò la scrittura d’ambito serio e sopperì alla mancanza in loco di un librettista con la revisione di alcuni titoli buffi (anche celeberrimi, come la Serva padrona). Il matrimonio inaspettato inaugurò il teatro privato del granduca Paolo nel palazzo Kamennoostrovskij, mentre al Mondo della luna spettò l’apertura del teatro Bolshoj. Il barbiere di Siviglia (L’Hermitage, 26 settembre 1782), intonato su una riduzione della commedia di Beaumarchais condotta da un autore ignoto (forse non italofono), rappresentò la gloriosa conclusione della permanenza in Russia. Durante il viaggio di ritorno Paisiello soggiornò alla corte polacca di Stanislao II Augusto Poniatowski fino all’aprile 1784 e giunse a Vienna il 1° maggio; già quattro giorni dopo riferiva per lettera al Galiani il progetto d’intonare per il teatro di corte un dramma eroicomico del poeta cesareo Casti. Il re Teodoro in Venezia, questo il titolo dell’opera che trae spunto dal capitolo XXVI del Candide di Voltaire, andò in scena il 23 agosto senza peraltro entusiasmare il pubblico, che, a detta del cronista Karl von Zinzendorf, ne disapprovò la lunghezza (negativo fu pure l’esito d’una successiva ripresa, l’11 ottobre, con un diverso cast). Arrivato a Napoli sul finire dell’ottobre 1784, Paisiello subito attese alla composizione dell’Antigono metastasiano per il S. Carlo (12 gennaio 1785). In seguito al successo dell’opera, che segnò l’inizio d’un lungo percorso di rinnovamento stilistico del dramma per musica, il musicista chiese e ottenne dal re (7 marzo) una pensione fissa di 100 ducati mensili, privilegio mai concesso ad altri colleghi. La tranquilla situazione lavorativa propiziò una ritrovata operosità e una netta maturazione stilistica che si rivolse in prevalenza al genere serio. Con Nina ossia La pazza per amore (Belvedere di S. Leucio, 25 giugno 1789) Paisiello fu l’artefice primario di una profonda metamorfosi nei meccanismi ricettivi dello spettacolo d’opera, orientandoli verso forme di immedesimazione psicologica. Un autentico sperimentalismo drammaturgico esibirono invece sia l’opera inaugurale della Fenice di Venezia, I giuochi d’Agrigento (16 maggio 1792, dramma per musica del conte Alessandro Pepoli), sia Elfrida (4 novembre 1792) ed Elvira (12 gennaio 1794), «tragedie per musica» ideate per il S. Carlo dall’anziano Ranieri Calzabigi. L’agio del compositore fu sconvolto dagli eventi storici: quando il 21 dicembre 1798 la corte riparò in Sicilia per sottrarsi all’invasione francese, Paisiello non si unì ai realisti, fiducioso che la propria fama lo avrebbe esaltato agli occhi di qualsiasi governo; e difatti il 4 maggio 1799 fu nominato maestro di cappella nazionale dell’effimera Repubblica partenopea (23 gennaio - 8 luglio). Ragioni diplomatiche spiegano il trasferimento dell’ex-maestro di cappella reale a Parigi (vi giunse il 24 aprile 1802) finalizzato all’organizzazione dei fasti del Primo Console. L’infatuazione di Napoleone per Paisiello risaliva al 1797, anno della Musica funebre commissionatagli dal Bonaparte stesso per onorare il generale Lazare Hoche, e crebbe nei due anni di permanenza del maestro a Parigi. La tragédie lyrique che avrebbe dovuto consacrare l’operista pugliese agli occhi dei parigini, Proserpine (Nicolas-François Guillard; Opéra, 29 marzo 1803), non ebbe tuttavia felice incontro. Mal ambientatosi nel difficile ambiente musicale parigino, riconosciuto in Jean-François Lesueur un degno sostituto, Paisiello ripartì per Napoli verso fine agosto 1804, dopo aver composto una Missa solemnis e riciclato un Te Deum del 1791 da usareper l’incoronazione di Napoleone in Notre Dame (2 dicembre). Per non perdere la stima e i lauti emolumenti dell’imperatore, Paisiello inviò poi con regolarità a Parigi un gran numero di brani sacri e una nuova composizione celebrativa per il genetliaco di Napoleone. Nella Napoli di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat (1806-1815), insignito di svariate onorificenze e della direzione del nuovo Collegio di musica (con Giacomo Tritto e Fedele Fenaroli; dicembre 1806), beneficiario d’una pensione annua di 1000 franchi, Paisiello si congedò dalle scene teatrali con I pittagorici, un dramma d’un sol atto di Vincenzo Monti (S. Carlo, 19 marzo 1808) che commemorava le vittime della repressione del 1799: sarà questo il vero motivo della rottura definitiva con la corte borbonica, tornata sul trono il 9 giugno 1815. Rimasto vedovo da poco (23 gennaio 1815), privo degli onorari provenienti da Parigi e da Pietroburgo, Paisiello trascorse l’ultimo anno di vita in solitudine nel vano tentativo di risollevare a palazzo la propria reputazione. Morì per blocco intestinale il 5 giugno 1816 nella sua casa di Napoli assistito dalle sorelle Maria Saveria e Ippolita. Una selezione delle sue musiche sacre accompagnò il solenne funerale nella chiesa di S. Maria Nova, cui parteciparono le massime cariche musicali cittadine.


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