Rivoluzioni

di Isabella Ferrara

Al Teatro Bellini di Napoli la trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian del testo di Pedro Lemebel, con la drammaturgia di Lino Guanciale, anche nelle vesti di portagonista.

NAPOLI, 26 marzo 2025 - A Santiago del Cile nella primavera del 1986, la storia di una nazione e di un amore si intrecciano. Sul palcoscenico immagini, testo e musiche introducono fin da subito lo spettatore nel periodo storico, nel Paese, nell’ambiente fisico ed emotivo in cui si svolge la vicenda. La scenografia è efficacemente elaborata, colori e luci rinviano con immediatezza alle immagini e alle atmosfere della vivace vita di un travestito, la Fata dell’angolo, nel Cile di Pinochet. La fedeltà al testo, Ho paura Torero di Pedro Lemebel, da cui è tratto lo spettacolo, è come una promessa di rendere merito alla veridicità e all’interezza della poetica di un’opera che parrebbe mortificata se ridotta o ritagliata su tempi più brevi. Ne risulta una particolare scelta stilistica, un passaggio continuo dal racconto in terza persona alla recitazione in prima persona, una lettura che pretende tempo e rischia di stancare nella sua lunghezza. Il merito di tutti sulla scena è di averla condotta fino in fondo, senza cenni di cedimento e senza sbavature.

Una bella prova attoriale di Lino Guanciale, che diventa una Fata dell’angolo delicata, leggera, che non vuole imporsi con prepotenza, ma che riempie l’aria con una presenza intensa, non più quella di una passione carnale, bensì quella di un amore consapevole e generoso. Ben fatte anche le trasformazioni sui tacchi di Michele Dell’Utri e Daniele Cavone Felicioni. Molto bravi nei ruoli del generale Pinochet e sua moglie Mario Pirrello e Sara Putignano, la quale con notevole tratto ironico e irriverente si sposta fluida in una cornice di violenza e spavalderia dittatoriale verso l’aspetto grottesco e a tratti comico, che pare essere il tono conduttore di tutto il romanzo e, quindi, di tutto lo spettacolo. Il racconto di un triste, disperato, terribile, sanguinario e doloroso momento storico; di una difficile, sofferente, problematica vita da travestito e da omosessuale; di una comune, universale storia d’amore senza genere, senza tempo e senza spazio. Un racconto tragico con una vena ironica costante e con guizzi comici, come per prendersi gioco delle difficoltà, o di un dittatore sanguinario, uomo perseguitato da incubi e insofferenze matrimoniali, ridotto ad uno scherzo di se stesso. Un poetico e ruvido sguardo che si riesce a percepire durante tutto lo spettacolo.

Le scelte stilistiche e di regia hanno condotto per mano lo spettatore nella storia di una nazione e delle vite di alcuni personaggi. È mancata in quei baci e quelle parole, lasciati nell’aere con melliflui gesti, la passione di un amore socialmente “corrotto” e di una vita votata alla causa della rivoluzione, fosse quella sanguinaria contro una dittatura, o quella educata, leggera e piena di ombre aggressive contro il perbenismo ipocrita della paura della diversità e della libertà.

Lo spettacolo tutto è calato perfettamente nella realtà contemporanea, nelle lotte per la libertà, politica e civile, che non ci hanno mai lasciato. Molti fervori ormai sono sopiti, altri sono trasformati in rabbia mal diretta e mal gestita. C’è sempre, e ancora, da imparare dalla storia, ricordare, senza trascurare fingendo vacua leggerezza e superficiale ignoranza. Come ci mostra la Fata dell’angolo, voler amare, vivere, ballare e cantare non significa ignorare e, indifferenti, girare lo sguardo altrove. Non c’è un altrove che possa restare protetto o immacolato all’assalto della realtà.

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