Coppia insolita (e vincente)

di Irina Sorokina

Con la direzione di Marco Angius e la partecipazione di Anita Rachvelishvili, i complessi dell'Arena di Verona danno bella prova di sé in Ravel e Prokof'ev.

VERONA, 10 maggio 2025 - Venerdì sera e sabato pomeriggio il concerto sinfonico al Teatro Filarmonico di Verona è un appuntamento importante dedicato a due compositori tra i più significativi del Novecento, il francese Maurice Ravel e il russo Sergej Prokof’ev. Nella prima parte si ascoltano La Valse, poema coreografico per orchestra, e il celeberrimo Boléro; nella seconda Aleksandr Nevskij, cantata per mezzosoprano, coro e orchestra, op. 79 tratta dalla colonna sonora del film omonimo di Sergej Ejzenštejn, per molte generazioni opera cinematografica di culto, vista la figura del grandissimo attore Nikolaj Čerkasov nel ruolo del titolo.

Troviamo l’orchestra della Fondazione Arena in ottima forma e anche felicemente ispirata, sia dalle atmosfere sofisticate dei pezzi di Ravel sia dallo spirito eroico e dolente della cantata di Prokof’ev. Già da giovane, il francese si sentiva attratto dal valzer, aveva l’idea di comporre un poema dedicato a uno dei simboli dell’impero asburgico, ma solo nel 1920 La Valse ebbe il proprio debutto. Il grande impero aveva cessato di esistere due anni prima. Nota anche come Poème choréographique, la composizione di Ravel fu legata al vulcanico impresario Sergej Djaghilev e alla sua impresa privata Les Ballets Russes. Ma all’ascolto del pezzo proprio il committente trovò la partitura incompatibile con il qualsiasi tipo di coreografia: il fatto provocò la rottura tra il manager e l’artista e La Valse ebbe il proprio debutto in forma di concerto.

Opera bellissima e travolgente, La Valse attrae sia i conoscitori sia i semplici amanti della musica, ma conquista anche quella parte del pubblico che non ha già avuto occasione di ascoltarlo. L’esecuzione della partitura al Teatro Filarmonico di Verona lo conferma, il pubblico sembra immediatamente rapito dalla musica, dai temi e dai ritmi. Sul podio Marco Angius sprizza un’energia che si esprime non solo nel gesto, ma anche nei movimenti del corpo, senza escludere i salti assai energici. Fortunatamente, questa vena un po’ istrionica non reca alcun danno all’esecuzione e la direzione appare disinvolta e appassionata, con una tenuta impeccabile del ritmo e dinamiche in continuo crescendo.

Mentre per La Valse si spende qualche parola di presentazione, Boléro non ne ha certo bisogno. Ascoltato centinaia di volte, attrae da sempre e attrarrà nel futuro, lo conferma la recentissima esecuzione veronese. Il pezzo celeberrimo è fra i più eseguiti nel mondo e la statistica sostiene che ogni quindici minuti in luoghi diversi del pianeta ci sia chi ascolta il Boléro non solo in una sala da concerto o in teatro, ma anche impiegato nella pubblicità, come colonna sonora o sottofondo. In poche parole, da circa novant’anni l’umanità ascolta il capolavoro di Ravel senza alcuna interruzione.

Dopo l’interpretazione convincente della Valse, Angius fa suo a pieno titolo il Boléro. Impressiona il fatto che la ripetizione di ritmo e melodia siano per lui fonte di un divertimento pazzesco che coinvolge il pubblico. Tratta ogni strumento con amore autentico affiancato dall’intenzione di giocare; i salti sul podio e qualche gesto esageratamente energico ne fanno parte. Ottiene dall’orchestra un suono teso ed espressivo, ma sempre ben bilanciato. Il crescendo giunge al culmine e il gesto imperioso ordina ai tromboni il glissando finale: per un attimo la sala rimane col fiato sospeso per premiare il maestro Angius e l’orchestra della Fondazione Arena di Verona con lunghi applausi.

Passando all’esecuzione della cantata Aleksandr Nevskij, essa non si può dire che goda della stessa popolarità e frequenza d'esecuzione in Europa di altri lavori di di Sergej Prokof’ev (i balletti Romeo e Giulietta e Cenerentola o Pierino e il lupo). Non molti conoscono conoscono il film del grande regista sovietico Sergey Ejzenštejn, uno dei simboli del cinematografo dell’epoca di Stalin, il temuto dittatore che metteva pesantemente le mani sui destini degli artisti e le loro opere. E di conseguenza non troppo nota è la colonna sonora del film composta da Prokof’ev.

Il film uscì nel 1939, prima dell’aggressione tedesca all’Unione Sovietica, e, probabilmente, nessuno o pochi avrebbero potuto immaginare che presto sarebbero sorti paralleli tra i fatti storici del 1242 e la più tragica attualità dell’epoca di Prokof’ev. Solo due anni dopo la prima esecuzione della cantata e circa sette secoli (esattamente 699 anni) dopo la battaglia che l’ispirò, i paesi si ritrovarono di fronte alla necessità di affrontare la Germania di Hitler, molto più forte e tecnicamente preparata. Sette secoli prima, una situazione simile fu fronteggiata dall’esercito russo dal principe Aleksandr, che dopo la vittoria fu chiamato “Nevskij”, soprannome derivato dal fiume Neva, dove aveva sconfitto gli svedesi prima di battere la coalizione di teutoni, danesi e livoni sul lago dei Ciudi ghiacciato.

Le sette parti della cantata (La Russia sotto il dominio mongolo, Canto di Aleksandr Nevskij, I crociati a Pskov, Sorgi, popolo russo!, La battaglia sul ghiaccio, Il campo della morte, Entrata di Aleksandr a Pskov) inclusero i migliori pezzi della colonna sonora del film e la prima esecuzione dell’opera alla Sala Grande del Conservatorio di Mosca il 17 maggio 1939 ebbe un successo strepitoso.

Come nei pezzi sinfonici di Ravel, anche nella cantata di Prokof’ev Marco Angius trova una sintonia perfetta con l’orchestra areniana, il direttore e i musicisti letteralmente “cambiano musica”, affrontano mondi del tutto diversi e si dimostrano appassionati e versatili. Nel pezzo d’apertura della cantata, La Russia sotto il giogo mongolo, Angius punta su sonorità pesanti dall’effetto speciale che potremmo chiamare “gelo”, crea accenti espressivi anch’essi speciali e raggiunge un buon equilibrio tra i gruppi di strumenti. Nel Canto di Aleksandr Nevskij dimostra una comprensione dello spirito lirico profondo del pezzo e ricava dall’orchestra un suono caldo e ben bilanciato; I crociati a Pskov apre la strada larga agli ottoni, le loro fanfare “militari” creano un grande contrasto con le emozioni dolorose trasmesse dagli archi. In Sorgi, popolo russo! impone ai musicisti una tensione continua e ottiene forti contrasti, La battaglia sul ghiaccio risulta quasi scultorea. Nel Campo della morte accompagna con delicatezza la voce femminile che piange i defunti e intona un canto segnato da grande dignità e dolore profondo. Riesce attribuire compattezza al finale della cantata, Entrata di Aleksandr Nevskij a Pskov, che non è altro che la ripetizione dei temi più belli e significativi del capolavoro di Prokof’ev.

Lo straziante assolo “Ya poydu po polyu belomu” (“Andrò per il campo innevato”!), il lamento della donna che cerca il marito tra i caduti nella battaglia, è affidato al mezzosoprano Anita Rachvelishvili, che ben conosciamo fin dal momento della sua apparizione nella Carmen messa in scena da Emma Dante alla Scala nel lontano 2009. La voce è ampia, scura, ben timbrata, tuttavia, l’effetto prodotto dal suo canto non è del tutto soddisfacente. Sì all’espressività e la capacità d’impersonare una donna il cui destino da secoli è amare, essere fedele, subire ingiustizia e violenza, seppellire mariti e figli; no all’emissione di gola, che produce l’effetto di un canto “intubato”; sì alla linea del canto ben pensata; no al colore troppo scuro e a una certa monotonia.

Il coro areniano preparato da Roberto Gabbiani è da sempre oggetto di elogi dei critici e d’ammirazione del pubblico e non delude affrontando la musica di Prokof’ev; dimostra un approccio appassionato e un lavoro grandioso, profondo e cesellato e può essere considerato il secondo protagonista del concerto. Nel Canto di Aleksandr Nevskij, una specie d’inno, soprani e mezzosoprani, tenori e bassi sfoggiano un suono davvero bello e un legato carezzevole. Nella terza parte I crociati a Pskov, il coro areniano dimostra un’autentica trasformazione, intona il corale ascetico dei cavalieri teutonici cambiando il suono dal caldo al freddo, il carattere dal vitale all’ascetico. Pure lo spirito eroico del celebre Sorgi, popolo russo è espresso benissimo, segnato dal contrasto vivace tra le parti e dalla morbidezza del suono. Tenori e bassi sono capaci anche cambiare la faccia e la voce quando viene il momento di calarsi nei panni dei cavalieri teutonici e intonare il loro canto in latino, freddo, secco, meccanico e disumano.

In un sabato pomeriggio all’inizio di maggio, l’accoppiata fra Ravel e Prokof’ev ottiene un successo grandioso e scalda gli animi, come il sole che finalmente si affaccia sulle piazze e le strade della città veneta.

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