Falstaff a casa Verdi
Il Falstaff andato in scena al Teatro Carlo Felice conquista per la messinscena di Damiano Michieletto, qui ripresa da Andrea Bernard, che rilegge il capolavoro verdiano con tono poetico e malinconico. Convince il cast in cui brilla la Nannetta di Caterina Sala, meno il podio, pur funzionale, affidato a Jordi Bernàcer.
Genova, 10 marzo 2025 – C’è una dolcezza malinconica nel ripensare alla vita quando gli anni si accumulano sulle spalle come un mantello ingombrante e pesante. Sir John Falstaff, un tempo glorioso cantante d’opera, ha lasciato Windsor per Milano, casa Verdi nello specifico, dove il presente si sfalda tra le mura silenziose e il passato ritorna, vivido e forse beffardo, come un vecchio amico che non si lascia proprio dimenticare. In una bellissima sala illuminata da una luce incerta, tra il chiacchiericcio lontano degli altri ospiti intenti a consumare il pasto e il rintocco annoiato di un orologio che segna il tempo con indifferenza, Falstaff rievoca le sue imprese, le burle, gli amori sfiorati e il vino versato. Sorride ancora, con la stessa pancia rotonda ingrassata dagli applausi, dall’arte, dal successo e mentre intona, forse per l’ultima volta, un frammento di un’aria che un tempo infiammava i cuori, tenendo stretto a sé il ritratto di Giuseppe nostro come fosse una sacra effige a cui affidare la propria anima nell’ora del tramonto, sorride sornione: perché la vita è stata un’opera magnifica e lui ne è stato, in un modo o in un altro, sempre il protagonista.
Ecco dunque che l’ultimo capolavoro verdiano, andato in scena al Teatro Carlo Felice di Genova nell’allestimento firmato da Damiano Michieletto e qui virtuosamente ripreso da Andrea Bernard, si trasforma in una delicata riflessione sulla vecchiaia. Già il colpo d’occhio è magnifico: le scene di Paolo Fantin, illuminate da Alessandro Carletto, e i costumi di Carla Teti regalano alla sala un’atmosfera densa di suggestioni. Il racconto, poi, sempre garbato nei toni che sfiorano con grazia quelli della commedia, si muove tra poesia e serena amarezza, alternando ricordi e presagi in un gioco sottile tra realtà e illusione in cui il passato si intreccia al presente con la leggerezza di un sogno e il peso ineluttabile del tempo che scorre. Certo, come quasi sempre accade quando ci si addentra nella dimensione dell’onirico, l’assenza di una stringente necessità logica confonde un po' le acque e sospende la narrazione in un limbo dove le emozioni e le suggestioni prevalgono sulla coerenza razionale, rischiando così di disorientare lo spettatore che per la prima volta si avvicina al titolo. Tuttavia, la maestria con cui lo spettacolo è montato è tale che, pur essendo rilevante, la questione della decifrabilità del testo finisce quasi in secondo piano.
La direzione di Jordi Bernàcer, alla guida dell’Orchestra dell’Opera Carlo Felice, non si muove sempre nella stessa direzione ed è un vero peccato. Più brillante che crepuscolare, qui e là un po' disordinato nel rapporto col palcoscenico in termini di tenuta e di volume, Bernàcer imposta in buca una concertazione sì efficace ai fini della recita, meno al sostegno dello spettacolo così com’è stato pensato. Buona la prova del Coro del Teatro Carlo Felice istruito dal maestro Claudio Marino Moretti.
Ambrogio Maestri, specialista indiscusso del ruolo, veste i panni di Falstaff come una seconda pelle: l’interprete è sempre ineccepibile, l’attore monumentale e carismatico, ma il vocalista si rivela sovente poco a fuoco. Ford è Ernesto Petti, baritono dalla voce statuaria, emessa con seducente virilità e piglio. Ecco, virilità e piglio forse sono un po' troppi, ma l’artista è giovane e avrà certamente modo di affinare il ruolo e i mezzi. Affinatissima è invece la Nannetta di Caterina Sala, soprano dalla voce flessuosa e capace di sciogliere il cuore del pubblico a suon di eteree filature: «Sul fil d'un soffio etesio», ça va sans dire, è il momento musicalmente più toccante di tutta la serata. Fa molto bene il suo innamorato, Galeano Salas, Fenton dalla voce educata e luminosa. Ottime le allegre comari di Windsor: Erika Grimaldi è un’Alice Ford dal fraseggio arguto e dalla voce svettante, Paola Gardina una Meg dal ricco impasto timbrico, Sara Mingardo una Quickly dallo strumento contraltile di lusso. Validi i ruoli di fianco: Blagoj Nacoski è un pregevole dottor Caius, Oronzo D’Urso e Luciano Leoni vestono con accuratezza i panni rispettivamente di Bardolfo e Pistola.
Successo vivo e caloroso per tutti gli artisti, salutati alle uscire finali con entusiasmo da una platea tutta esaurita.
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