Necessità senza virtù
Il Teatro Carlo Felice di Genova riprende La traviata firmata Giorgio Gallione per una serie di recite tutte esaurite: alla regia, mai convincente, non corre in soccorso il versante musicale, alterno tanto in buca quanto sul palcoscenico.
Genova, 19 gennaio 2025 – In un mondo dove già i giovani vedono la pensione come un traguardo irraggiungibile, occorre autentico sadismo per destinare la stessa impietosa sorte agli spettacoli teatrali. Al Teatro Carlo Felice di Genova questa Traviata firmata da Giorgio Gallione s’è vista già tre volte in meno di dieci anni: 2016, 2018 e ora, senza poi rendicontare La rondine di Puccini che sulla base dello stesso allestimento si rabberciò ancora nel ’18. Secondo alcuni il numero perfetto, secondo noi decisamente troppe.
Il problema, ovviamente, non è nell’anagrafica quanto nelle ragioni dello spettacolo stesso, insufficienti a giustificare tale longevità. Pur partendo da idee plausibili, lo si era già scritto all’epoca, Gallione vive il racconto teatrale stretto nella morsa di un soffocante horror vacui, condizione letale specie se il tutto s’articola in una dimensione onirica o irreale. Senza poter far appello al filtro della veridicità per vagliare taluna o talaltra scelta – e senza nemmeno invocare il gusto, troppo soggettivo per essere chiamato al banco degli imputati –, ogni sghiribizzo della fantasia rischia di apparire legittimo o pregnante, quindi autorizzato ad insediarsi nel flusso narrativo, indipendentemente dal sostegno offerto all’idea cardine. S’assiste, così, a una messinscena confusa e confusionaria, soffocata da trovate di dubbio fascino, impersonale nell’approccio al testo. Nata, nove anni fa, per far di necessità virtù, questa produzione appare oggi come una scelta smaccatamente commerciale, che un po’, in tutta onestà, delude in relazione al percorso virtuosissimo intrapreso dal Carlo Felice negli ultimi anni.
Non aiuta, nel senso che non distrae, il lavoro in buca di Renato Palumbo, chiamato a dirigere i complessi del teatro genovese. Attenta invero ai preziosismi strumentali, ovunque venata da quel colore cinereo che prova a supportare il disegno registico, la concertazione del direttore veneto, al netto dei tagli di tradizione e di sporadici scollamenti, contrappone momenti di acceso impeto ad altri di straniante sospensione, alternati in un discorso musicale che trova certamente più di un momento di gran pregio. Esemplare, in questo senso, il secondo quadro del secondo atto, diretto con splendida carica drammatica: il fraseggio strumentale, cesellato minuziosamente in accenti e agogiche, esalta con forza il testo, di cui puntella impennate e inflessioni, conferendo al momento un’immediata intensità espressiva. Il cast e la regia, però, non sempre riescono a sostenere le idee del podio e il risultato, nel complesso, si pone al di sotto delle intenzioni. Qui, forse, c’era bisogno di una lettura meno sofisticata e più franca.
Il cast, dunque. Carolina López Moreno è una Violetta dalla bella voce e dalla bellissima presenza scenica. Per la capacità di declinare la linea di canto in eteree sfumature e di scolpire il fraseggio con accorati accenti, il terzo atto le rende particolarmente giustizia – o, dipende da come la si vuole vedere, è lei in grado di rendere miglior giustizia al ruolo –. Manca, tuttavia, agio nel canto di agilità – l’involo all’acuto è tirato e la coloratura sommaria – e autentica polpa drammatica, per cui il personaggio fatica a imporsi nella sua sfaccettata completezza. Nemmeno Francesco Meli, Alfredo, lascia segni particolarmente indelebili, pur portandogli in dote la nutrita esperienza in ambito verdiano: troppo maturo, troppo ponderato, il suo Alfredo sacrifica l’istinto in virtù di una ricercatezza che risuona, qui e là, artefatta. Nulla da ridire, invece, sul Germont padre di Roberto Frontali, autorevolissimo per virtù vocali e interpretative. Tra i comprimari si distinguono l’ottimo Gastone di Roverto Covatta, la spigliata Flora di Carlotta Vichi, l’imponente Dottor Grenvil di Francesco Milanese. Corretti Chiara Polese (Annina), Claudio Ottino (Barone Douphol), Andrea Porta (Marchese d’Obigny), Loris Purpura (domestico di Flora), Giuliano Petouchoff (Giuseppe) e Filippo Balestra (Commissario). Buona la prova del Coro istruito dal maestro Claudio Marinino Moretti.
Festante, la platea completa del Carlo Felice tributa calorosi riconoscimenti a tutti gli artisti. Quattro sold-out su sette recite: la non virtù, talvolta, paga. Almeno al botteghino.
Leggi anche
Genova, Lucia di Lammermoor, 17/11/2024
Genova, Il giro di vite/The turn of the screw, 13/10/2024
Genova, Il Corsaro, 19/05/2024
Genova, Beatrice di Tenda, 17/03/2024