Le regine sul Mar Baltico
Grande successo per Maria Stuarda al Danish Real Teater di Copenaghen con la regia di Mariame Clément e la direzione di Paolo Arrivabeni
Copenaghen, 16 gennaio 2025 - Maria Stuarda, una della più belle opere di Donizetti, non fa spesso il capolino alle sale dei teatri dell’opera, ma si ritaglia comunque il proprio spazio. Nei giorni scorsi è apparsa in una delle sedi del Danish Real Teater a Copenaghen, quella moderna e più spettacolare, comunemente chiamata Opera House, all’inglese. È coprodotta con il Grand Théatre de Genève che alcuni mesi fa ha presentato anche la prima parte della trilogia inglese donizettiana, Anna Bolena.
Conoscendo l’inclinazione dei paesi nordici verso il fenomeno di regie theater, si sospettava che Maria Stuarda non avrebbe evitato questa sorte, ironicamente parlando. Ma ci si sbagliava; una delle più belle delle “figlie” di Donizetti non ne è caduta la vittima. Alcune cose dubbiose, quali la mescolanza degli abiti cinquecenteschi con quelli dei nostri giorni o la presenza di due operatori di cinepresa che “immortalavano” le ultime parole della regina scozzese, ci sono state, ma si sono contate sulle dita di una mano. Per il resto la messa in scena, frutto di una squadra al femminile, scenografie e costumi di Julia Hansen e la regia di Mariame Clément, è stata di stampo tradizionale, bella da vedere e sufficientemente funzionante dal punto di visto teatrale.
La Hansen ha ideato una cornice impressionante per lo spettacolo, che ha colpito fin dall’inizio e continuato ad attirare lo sguardo per tutta la durata della recita. La sua scenografa, senza dubbio, è stata guidata dal desiderio di creare la bellezza, ma l’ha unita al senso pratico; agli occhi dello spettatore è apparsa una grande scatola progettata per fingere facilmente sia una sala del castello sia un bellissimo parco dagli alberi folti. Ricco e fantasioso è stato il disegno di luci di Ulrik Gad, degno del lavoro di un pittore; ha scelto lui i colori e giocato con le loro sfumature sottili. La bellezza del parco che sembrava avere il potere avvolgere pure il pubblico è stata impressionante.
Gli alberi sono cresciuti gioiosi sotto il cielo azzurro, e l’ambiente è risultato simmetrico e carezzevole per lo sguardo, ma con lo sviluppo del dramma i colori freddi e pacifici sono mutati in quelli caldi, alcune foglie si sono ingiallite, altre sono diventate rosse. L’arrivo dell’autunno è sembrato alludere all’assottigliamento delle speranze di Maria Stuart, imprigionata da vent’anni e sempre più vicina alla morte. Più vicino al pubblico, a destra è stata posta la scrivania d’Elisabetta, un oggetto indispensabile nell’esistenza della regina vergine; qui si occupava degli affari di stato, qui firmava la condanna della regina scozzese, qui faceva l’amore (o, meglio, un rapido atto sessuale) con Leicester. La struttura della scenografia non ha saputo evitare l’idea del “teatro nel teatro” ed è stata penetrata dalla sensazione della fine imminente.
Sulla stessa onda del lavoro della Hansen, la regia di Mariame Clément dall’inizio si è presentata nel modo “tranquillo”, quasi invisibile, come se avesse voluto raccontare una semplice storia dirivalità tra due donne, anche se regine, senza alludere alla tragica morte di una di due. Ma, simile alle foglie che cambiano i colori e predicono la fine, il suo lavoro con i cantanti attori strada facendo è diventato più approfondito e coinvolgente, rimanendo però il fatto che la bellezza della veste di questa Maria Stuarda non è stata affiancata da originalità registiche.
Tutta l’ammirazione del pubblico è giustamente andata da un cast brillante composto da tre artisti svedesi, uno inglese, una danese e un cantante “latino”, il tenore messicano americano Galeano Salas. Le due regine rivali sono state interpretate da Elisabeth Jansson (Elisabetta) e Gisela Stille (Maria), entrambe svedesi. Nel caso della première a Copenhagen, la regina inglese ha dominato in un certo senso su quella scozzese; la Jansson ha offerto una superba interpretazione scenica, disegnato un’Elisabetta estremamente intelligente e acuta in politica e negli affari d’amore; snella e alta, ha indossato abiti di taglio maschile e portato i capelli corti, già solo questo si è letto come il segno di dominio. La voce corposa e piena di vibrazioni ha presentato una vasta gamma di colori e deliziato nei passaggi virtuosistici; insomma, davanti al pubblico è apparsa, come per magia, Elisabetta d’Inghilterra, conosciuta per via dei libri, dei dipinti e delle opere liriche.
Gisela Stille nel ruolo del titolo ha tenuto bene la testa a questa regina d’Inghilterra così sicura di sé e impietosa: per essere un’autentica belcantista non le manca nulla, bel timbro, estensione, agilità. La sua Maria, anche se prigioniera e presto preda del boia, ha tirato fuori un carattere ferreo durante l’incontro di due regine; la celebre frase “Figlia impura di Bolena” intonata dalla Stille con orgoglio e determinazione, con la voce quasi rauca, ma sempre tagliente, è rimasta uno dei più alti momenti dello spettacolo. Ma si doveva ancora arrivare all’apice con “Deh! Tu di un'umile” in cui la voce della Stille ha parsa qualcosa di realmente angelico, ultraterreno e si è colorata di sfumature sottilissime. Non è stata da meno l’interpretazione di “Io vi rivedo alfin… Contenta io volo”, una testimonianza dell’autentica grandezza artistica del soprano svedese.
Galeano Salas ha interpretato con sicurezza e slancio il ruolo di Roberto, conte di Leicester, donandogli una voce sì, non grandissima, ma impostata perfettamente, dai bei centri corposi e dagli acuti sicuri e brillanti. Ha disegnato il carattere del personaggio in profondità e in tutte le sfumature e ha fatto apparire il suo Roberto molto umano. Il suo ottimo canto non ha conosciuto le parole quali “cautela” e “risparmio”: il tenore ce l’ha messa davvero tutta, passione, speranza e disperazione e si è fatto riconoscere l’autentico vincitore della serata, senza togliere nulla a due protagoniste femminili.
All’altezza di tre protagonisti sono stati i due baritoni, l’inglese Theodore Platt nel ruolo di Lord Cecil e lo svedese Henning von Schulman, Talbot, e ha lasciato un buon segno una partecipe e commovente Johanne Bock nel ruolo di Anna Kennedy.
Sul podio, Paolo Arrivabeni, vero ambasciatore dell’opera italiana nel mondo, ha offerto una lettura precisa e profonda della partitura donizettiana, e il Kongelige Operakor (Coro dell’Opera Reale) e il Kongelige Kapel /Cappella Reale) preparati rispettivamente da Steven Moore e Mikkel Futtrup si sono distinti per il suono brillante e compatto.
Quasi impossibile descrivere il successo di questa Maria Stuarda che alle sue numerose “case” in giro per il mondo adesso ha aggiunto quella in Danimarca, bagnata dalle onde fredde del Mar Baltico.
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