Wo Mensch den Menschen liebt

di Antonino Trotta

Al Teatro Municipale di Piacenza, Die Zauberflöte prende vita in una regia evocativa di Marco Bellussi, tra simbolismo massonico e scenografie librarie. Ottima la direzione musicale di Massimo Raccanelli e convincente il cast, in cui s’impongono il Papageno di Gianluca Failla e la Pamina di Leonor Bonilla. Applausi calorosi per una produzione curata che chiude con successo la stagione.

Piacenza, 13 aprile 2025 – Esistono luoghi che appartengono tanto allo spazio quanto allo spirito. Tra scaffali eretti come colonne e tomi custoditi come reliquie, una biblioteca può essere tempio dove celebrare, ogni giorno, un rito potente e silenzioso: quello della ricerca, della trasformazione, dell’ascesa. Qui, dove l’uomo ama l’uomo e incontra se stesso attraverso la voce di mille altri, la via verso la luce è lastricata di carta e inchiostro, raccoglie memorie, intreccia pensieri, attraversa mondi lontani e vicini, reali e immaginifici, restituendo al viaggiatore il dono prezioso della conoscenza. Così, Marco Bellussi, che di Die Zauberflöte andato in scena al Teatro Municipale di Piacenza cura la bella regia, immagina il viaggio iniziatico degli eroi mozartiani Tamino e Pamina come un percorso verso la conquista della consapevolezza, una traversata interiore che si snoda tra prove, rivelazioni e rinascite.

Tra le tre austere librerie che definiscono la suggestiva scenografia ideata da Matteo Paoletti Franzato e illuminata con arte da Marco Cazzola e impreziosita dalle videoproiezioni di Fabio Massimo Iaquone, la narrazione creata da Bellussi scorre fluida e pulita, alternando senza forzatura né intoppi i vari registri che si avvicendano nel magnifico testo mozartiano e onorando tutti gli spunti che ivi sono custoditi: tra strizzate d’occhio alla simbologia massonica, personaggi fiabeschi – ben vestiti da Elisa Cobello – e un’idea di fondo concreta che fa da filo conduttore all’intero racconto, lo spettacolo, nel complesso ben montato e coordinato sotto il profilo strettamente attoriale, riesce a coniugare le varie sfaccettature del titolo, restituendo all’opera tutta la sua carica evocativa e iniziatica. Qualche perplessità, invece, destano i dialoghi tradotti in italiano, sia perché sforbiciati rispetto all’originale – frettoloso ci è parso, ad esempio, quello che precede la seconda aria della Regina della notte –, sia perché appaiono in frattura con i recitativi lasciati giustamente in lingua originale. Non tutti gli interpreti, poi, sono madrelingua, e se il Papageno italiano può scavare il testo per trovare mille inflessioni con cui colorare il suo personaggio, il Sarastro russo fa più fatica a guadagnare autentica autorevolezza là dove la lingua pone qualche scoglio.

Ottimo il versante musicale, a cominciare dalla bella direzione di Massimo Raccanelli che, alla guida dell’Orchestra Città di Ferrara, intavola una lettura elegante e teatrale capace di valorizzare, anche in buca, gli svariati registri – quello eroico, quello solenne, quello drammatico, quello lirico, quello giocoso – che si susseguono nella sublime partitura, garantendo ovunque, oltre all’apprezzabile sostegno al palcoscenico, mordente e duttilità nella concertazione. Ottimo è il contributo del Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito dal maestro Corrado Casati.

Molto ben assortita, infine, la compagnia di canto. Tra i protagonisti s’impone senz’altro il carismatico Papageno di Gianluca Failla, cantato con mezzi preziosi governati da tecnica solida e reso vivido da un’inebriante spigliatezza scenica. Antonio Mandrillo, al netto di qualche incertezza, sa ritrarre con voce luminosa e ben emessa un Tamino eroico e principesco. Ottima, al suo fianco, Leonor Bonilla, Pamina dal fraseggio sensibile e dallo strumento omogeneo e ben timbrato, particolarmente apprezzata nell’aria del secondo atto, dove accento patetico e sfumature eteree le valgono calorosi applausi a scena aperta. Al di là di qualche intoppo di pronuncia nei dialoghi in italiano, Dmitrii Grigorev canta Sarastro con l’autorevolezza assicuratagli da un cremoso colore brunito e dall’accento solenne con cui sa corredare la parte. Claudia Urru, Astrifiammante, affronta l’impervia scrittura della Regina della Notte con notevole sicurezza e slancio drammatico: gli acuti sono centrati con precisione, l’agilità è ben controllata e il fraseggio, iracondo e ferino, restituisce al personaggio quella forza oscura e vendicativa che ne costituisce l’essenza.

Ben delineati anche i ruoli di fianco: Alessandra Adorno è una Papagena corretta e musicale; Lorenzo Martelli un Monostatos efficace e misurato; Gesua Gallifoco, Silvia Caliò e Janessa Shae O’Hearn formano un terzetto di Dame coeso, armonioso nei timbri e vivace nella caratterizzazione scenica; Giulio Riccò e Carlo Enrico Confalonieri ben vestono i panni di sacerdoti e armigeri; puntuale l’Oratore di Gianluca Convertino. Bravissimi i tre candidi geni: Khloe Kurti, Lorenzo Pigozzo, Giovanni Maria Zanini.

Un teatro gremito e partecipe tributa calorosi applausi a tutti gli interpreti al termine della recita. Si chiude così, forse troppo presto, la stagione del Municipale di Piacenza. L’attesa ora è tutta rivolta a ottobre, quando la sfidante e attesissima trilogia verdiana prenderà vita sotto la direzione di Francesco Lanzillotta e la regia di Roberto Catalano. Non vediamo l’ora.

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