L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Voci nella mestizia

di Luigi Raso

Die Zauberflöte riporta l'opera al Teatro di San Carlo, in un clima sospeso fra la concertazione bolsa di Gabriele Ferro e l'abolizione dei dialoghi da un lato, il cast vocale di eccellente livello dall'altro.

NAPOLI, 2 ottobre 2020 - Quando nello scorso mese di marzo, a causa dell’avanzata inesorabile e spietata della pandemia in Italia, furono decretate le prime chiusure di teatri, cinema e di tutte le manifestazioni pubbliche al chiuso, al San Carlo erano in corso le prove di Die Zauberflöte: di colpo, quindi, artisti a casa, produzione annullata e rinviata “a data da destinarsi”.

Viene recuperata ora, in questo coraggioso scorcio della stravolta stagione lirica 2019 -2020, seppur soltanto per due date, proposta in forma di concerto e priva dei recitati.

Una mutilazione, quella dei dialoghi, al Singspiel di Mozart che, aggiunta alla privazione della componente scenica e registica, contribuisce a prosciugare la teatralità del capolavoro. Il risultato è una serata mesta, vuoi per le rigide e sacrosante regole anti Covid-19 che distanziano e riducono il pubblico, vuoi per la scelta di presentare Die Zauberflöte come una successione asettica di arie, concertati e cori, il tutto svuotato dal nesso drammaturgico che i recitati avrebbero assicurato.

Ma tant’è. Di questi tempi occorre fare di necessità virtù e saper accontentarsi.

In compenso, dopo la musica sinfonica (leggi la recensione), anche la lirica, seppur ancora priva della essenziale componente teatrale, ritorna nella sala del San Carlo.

Non è, però, un ritorno trionfale: la serata appare dominata da un alone di tangibile mestizia. Gli ingressi dei cantanti sul palcoscenico evocano un recital piuttosto che un’opera teatrale: guadagnano la scena con la mascherina opportunamente indossata, se liberano per cantare, la reindossano per dirigersi dietro le quinte. Un automatismo, questo, che nel corso della serata assume le fattezze di un rito ripetuto con inquietante automatismo.

Lo dicevamo e le abbiamo compreso, più o meno, tutti: sono regole imposte dal momento ed è bene che sia così, per la sicurezza degli artisti e del pubblico; ma tutto ciò ha oggettivamente poco a vedere con l’idea di opera che per secoli abbiamo costruito e coltivato. L’intervallo, momento di scambio di opinioni tra appassionati, è estremamente compresso nel tempo: solo pochi minuti e tutti al proprio posto. Poco più della durata di un siparietto, insomma.

Non contribuisce a diradare il velo di mestizia la direzione di Gabriele Ferro, la quale, sin dai primi accordi della sinfonia introduttiva, ammanta la meravigliosa, enigmatica e ambivalente fiaba musicale mozartiana di un velo grigio che copre il monco articolarsi della vicenda. Compare un tardivo guizzo di vitalità nel finale dell’opera, con la scatenata aria di Papageno, "Ein Mädchen oder Weibchen wünscht Papageno sich!", e il successivo duetto con Papagena, come a voler testimoniare che in Die Zauberflöte comunque scorre musica tra la più sorprendente mai scritta per genuinità, leggerezza e innocenza riconquistata.

Quella di Ferro è una conduzione bolsa, che spegne il brio della genuina anima popolaresca e fiabesca del Singspiel; né risultano adeguatamente esaltate le forme musicali corali che innervano l’illuministica e massonica religiosità dell’opera.

Insomma, si procede con lentezza, con poca attenzione all’unitarietà drammaturgica dell’opera - già inficiata dalla mutilazioni dei recitativi - e senza dare il giusto risalto a quella commistione di forme musicali che costituisce l’aspetto più affascinante del capolavoro di Mozart.

Peccato... perché la produzione schiera nel complesso un cast vocale di eccellente livello; l’orchestra e il coro del San Carlo confermano di essere in ottima forma.

L’orchestra, particolare, si dimostra duttile, pronta ad alleggerire le sonorità, dal suono tornito e curato (merita un plauso il primo flauto di Silvia Bellio); altrettanto bene fa il Coro diretto da Gea Garatti Ansini, il quale, seppur relegato nello fondo del palcoscenico e distanziato, supera egregiamente e con suono compatto la prova.

Le sorprese più interessanti della serata provengono da un cast vocale ben assortito, composto da artisti che con grande professionalità si spendono per conferire alla rappresentazione un minimo di teatralità.

È il caso del simpaticissimo e ben cantato Papageno di Roberto De Candia, perfettamente calato nelle vesti del buffo uccellatore. Artista dalla immediata comunicativa, la sua interpretazione denota grande esperienza vocale e teatrale che gli vale la simpatia del pubblico. Gli fa da contraltare la Papagena giovane e frizzante di Lara Lagni.

Antonio Poli ha vocalità generosa e probabilmente fin troppo debordante per il Principe Tamino: il timbro è suggestivo, la voce di robusto spessore, ma, soprattutto, il tenore viterbese è sempre incline ad alleggerire appropriatamente l’emissione, a sfumare. Il suo è un Tamino estremamente carnale, quasi eroico, ma di bell’effetto.

A dar voce (e che voce!) a Pamina è Mariangela Sicilia: stupisce immediatamente per la bellezza del timbro, per la linea di canto raffinata, gli acuti sempre morbidi, centrati e ben “girati”, perfettamente sostenuti dal fiato. È una Pamina aliena da moine, ma connotata da giovanile e autentica femminilità. Tutta la parte è ben cantata, con stile adeguato: Mariangela Sicilia immerge l’aria dell’Atto II, "Ach, ich fühl's, es ist verschwunden", in quell’aura di rimpianto del tempo passato di cui Mozart è maestro assoluto.

Il Sarastro di Konstantin Gorny, in possesso di voce dal discreto volume e dal timbro brunito, è autorevole e convincente; molto attento a ciò che resta dell’aspetto teatrale è il Monostatos di Cristiano Olivieri.

Riscuote un notevole successo personale la Regina della Notte di Daniela Cappiello: voce leggera e dal timbro di bel colore, grazie a un’ottima emissione, sfoggia con naturalezza acuti e sovracuti sicuri, sempre timbrati e a fuoco, che fanno quasi dimenticare le asperità siderali di cui è disseminata la parte di Astrifiammante.

A completare degnamente il cast, il Terzetto delle dame, composto da Emanuela Torresi, Prima dama dalla notevole freschezza vocale; Laura Cherici è brava nel conferire la propria esperienza vocale e teatrale alla Seconda dama; infine, Adriana Di Paola, brunita Terza dama.

Altrettanto bene i Tre Genietti di Fiorenza Barsanti, Antonella Petillo, Roberta Mancuso.

Di grande professionalità il Primo Armigero e Secondo Sacerdote, entrambi interpretati da Marco Miglietta, così come l’Oratore e Una Voce di Mariano Orozco, il Secondo Armigero di Gianfranco Montresor.

Al termine, la sala - quasi gremita in rapporto alla sua ridotta capienza - tributa un sincero e caloroso successo per tutti, salutando con punte di evidente entusiasmo il Papageno di Roberto De Candia, la Regina della Notte di Daniela Cappiello e la Pamina di Mariangela Sicilia, il Tamino di Antonio Poli.

Il prossimo appuntamento per l’opera, ancora in forma di concerto, è per il 16 e 18 ottobre, quando andrà in scena La rondine di Giacomo Puccini, originariamente prevista per il mese di luglio scorso.

Avanti tutta!


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