Dalla Russia con dissenso

di Luigi Raso

L'Ensemble Prometeo esplora, in un concerto per l'Associazione Alessandro Scarlatti, il rapporto fra compositori d'area ex sovietica e il potere. Fra Šostakovič, Arutjunjan e Khačaturjan, si impone la modernità di Stravinskij

NAPOLI, 3 aprile 2025 - Compositori sovietici e potere politico: sono queste le coordinate all’interno delle quali si dipana l’interessante programma scelto dall’Ensemble Prometeo per il concerto proposto al Teatro Sannazaro per la stagione dell’Associazione Alessandro Scarlatti, che si appresta a celebrare (dal 29 aprile al 24 ottobre 2025) i trecento anni dalla morte (Napoli, 22 ottobre 1725, come riportato dall’atto di morte della parrocchia di Santa Maria Avvocata) del “musices instaurator maximus” (come recita la lapide sepolcrale nella Chiesa di Santa Maria di Montesanto a Napoli).

Sono i Cinque pezzi di Dmitri Šostakovič, dalla scrittura semplice, quasi didattica, ad aprire la riflessione sui rapporti quasi sempre difficili tra la feroce dittatura comunista sovietica e il compositore russo: sui rapporti tra l’apparato e i grigi e zelanti funzionari da una parte e dall'altra il compositore quasi tutto è stato detto, scoperto e divulgato (in ultimo, l’interessante monologo Gli occhiali di Šostakovič, scritto e diretto da Valerio Cappelli e interpretato da Sergio Rubini), eppure ogni volta che si ascolta questa musica si è portati a riflettere sulla profondità e sulla sapienza di questo genio del ‘900, costretto a rendere intellegibile ai dettami del grezzo realismo sovietico mirabolanti, ardite e innovative costruzioni musicali, dense di ispirazione, sarcasmo, di riflessioni scultore sul destino dell’uomo. I Cinque pezzi (dei primi anni ’50) si pongono in questo solco: linguaggio musicale elementare, temi orecchiabili, di difficoltà tecnica non elevata.

L’esecuzione dell’Ensemble Prometeo è quindi estremamente prudente e trattenuta quanto ad emotività: aleggia una meccanicità, che, probabilmente, vuole alludere al linguaggio estremamente semplice imposto a Šostakovič (e dallo stesso schernito?). A farne maggiormente le spese però sono, sul versante interpretativo, il violino di Grazia Raimondi, un meraviglioso Giuseppe Gagliano del 1783, e il clarinetto di Michele Marelli, troppo in secondo piano rispetto al pianoforte, il quale, invece, sotto le dita dell’esperto Ciro Longobardi, sfoggia tocco nitido ed elegante.

Più coinvolgimento si respira nella successiva Suite per Trio di Aleksandr Arutjunjan, suggestivamente influenza da elementi musicali della tradizione folklorica dell’Armenia, nella quale si apprezza il suono ben definito e vibrante del clarinetto in esposizione del primo tema post introduzione del pianoforte. Anche se non si avverte (e vede) una particolare simbiosi nell’esecuzione tra il violino della Raimondi, il pianoforte di Longobardi e il clarinetto di Marelli, l’esecuzione restituisce correttezza, pulizia e perizia tecnica.

L’anima armena è ben presente anche nelle musiche di Aram Khačaturjan, georgiano di nascita e armeno di ascendenza, del quale l’Ensemble Prometeo propone un raro e interessante ascolto, il Trio per violino, clarinetto e pianoforte (del 1932), in cui ad imporsi è l’elemento ritmico, molto ben evidenziato dall’esecuzione, e un sapore vagamente orientaleggiante dei temi. Esecuzione precisa, ma che risente di quell’asetticità emotiva che, soprattutto per l’interpretazione violinisitica, è una costante dell’intero concerto.

Infine, il programma si chiude con una delle composizioni più geniali di uno dei più profondi autori della musica occidentale: dall’Histoire du soldat diIgor Stravinskij la Suite per violino, pianoforte e clarinetto. Scritta nel 1919, questa suite, pur all’ennesimo ascolto, ci ricorda e dimostra quanto il compositore russo - poi naturalizzato statunitense; esule dalla sua patria sin dallo scoppio della Rivoluzione d’ottobre del 1917 – sia in anticipo, per squisitezza tecnica, inventiva, innovazione armonica e strumentale, rispetto al tempo della crrazione. Si giunge così al paradosso che il brano più “moderno” del programma sia in realtà quello cronologicamente più remoto.

Stasera il pianoforte di Ciro Longobardi ha il compito di tenere uniti i cinque brani della Suite; il violino (l’anima del soldato venduta al diavolo) di Grazia Raimondi è abbastanza incisivo, il clarinetto di Michele Marelli è efficace a contribuire nel creare l’atmosfera infestata dallo strisciante e sinuoso ghigno mefistofelico.

Successo convinto e caloroso quello decretato dal pubblico richiamato al Teatro Sannazaro dalla rarità della proposta.

Le richieste di bis vengono esaudite: due brani dalla Suiteop. 157b per violino, clarinetto e pianoforte (del 1936) di Darius Milhaud. E neppure lui, ai tempi supplementari del concerto, riesce a scalfire la modernità dell’Histoire di Igor Stravinskij.

Leggi anche

Napoli, concerto Feola/Burnside, 30/03/2025

Napoli, concerto Lamsma/Trinks / San Carlo, 28/03/2025

Napoli, concerto Wassily Quartet, 27/03/2025

Napoli, concerto Mørk/Carydis / San Carlo, 22/03/2025

Napoli, concerto Capuçon / San Carlo, 20/02/2025

Napoli, concerto Levit, 14/02/2025