Virtuosismo ben temperato
di Luigi Raso
Fra Bach, Brahms e Beethoven/Liszt, Igor Levit mette in luce al San Carlo la sua personalità artistica.
NAPOLI, 14 febbraio 2025 - Dopo Daniil Trifonov (leggi la recensione) e Jean-Paul Gasparian tocca ad Igor Levit debuttare al San Carlo nell’ambito del quarto Festival pianistico.
Il pianista russo naturalizzato tedesco propone un programma di ampio respiro, che va dalla Fantasia cromatica e fuga in re minore, BWV 903 di Johan Sebastian Bach ai Sei pezzi (Klavierstücke) per pianoforte, op. 118 di Johannes Brahms, passando per l’arrangiamento di Franz Liszt della Sinfonia n. 3 op. 55 “Eroica” di Ludwig van Beethoven. Dall’interpretazione dei brani in programma emerge una personalità artistica fondata su un pianismo che sa coniugare virtuosismo e approfondito scavo emotivo mitigato da un approccio intellettuale, a tratti cerebrale, alla musica. Tecnica ferratissima, suono preciso e articolato, dalla ricca gamma cromatica, uso parco ed essenziale del pedale, bravura al servizio dell’interpretazione sono le caratteristiche principali dell’arte di Igor Levit, uno dei più apprezzati e innovativi pianisti della attuale scena internazionale.
L’interpretazione della Fantasiacromatica e fuga in re minore, BWV 903 di Johann Sebastian Bach (composta nel 1720) è perfetta nel restituire l’idea di un suono di derivazione clavicembalistica: Igor Levit l’affronta con un suono preciso, pulitissimo, che ne mette in luce la complessa architettura. È, come del resto postula il brano, un approccio estremamente intellettuale e riflessivo, improntato a far emergere gli sbalzi dinamici, a rimarcare il contrasto tra la Fantasia cromatica iniziale e la successiva fuga, che, sotto le mani di Levit, vede illuminarsi il gioco contrappuntistico.
Approccio, ça va sans dire, diametralmente opposto ha il pianista per i successivi Sechs Klavierstücke, op. 118, scritti nel 1893 da Johannes Brahms. Il breve ciclo, intimo e delicato, si compone di sei brani dalla natura contrastante, ma tutti uniti da una profonda espressività. Qui il piano emotivo appare “ben temperato”: nei Sechs Klavierstücke, op. 118 dominano introspezione e profonda malinconia. Igor Levit si addentra in queste emozioni in punta di piedi: controlla, con il suo pianismo elegante e misurato, i sentimenti che connotano i brani; colora gli stati d’animo di sfumature dinamiche che contribuiscono ad ingentilire il fluire musicale lirico e meditativo. Non mancano affondi dinamici, la scelta di agogiche stringenti, ma nel complesso l’interpretazione di Levit si distingue per adagiare sui meravigliosi brani di Brahms una coltre di lirismo intenso quanto controllato.
La seconda parte del concerto è interamente dedicata a un monumento sinfonico arrangiato da Franz Liszt per pianoforte, la Sinfonian. 3 op. 55 Eroica: il tocco è così vario e “colorato” che, complice il prodigioso arrangiamento, ascoltandolo quasi ci si dimentica di non essere al cospetto dell’orchestra.
Il brano è il compendio delle doti pianistiche di Levit apprezzate questa sera: l’approccio analitico, sicuro, lo scavo nello spartito, l’uso di una ampia gamma dinamica, l’articolazione musicale sempre controllata e calibrata sul singolo episodio. Un esempio tra i tanti: dopo l’epico Allegro con brio del primo movimento, il “gelo” iniziale che emana la celeberrima Marcia funebre. Adagio assai del secondo, nel corso del quale Igor Levit fa acuire lentamente tensione e drammaticità.
Lo Scherzo. Allegro vivace è un fulgido esempio di virtuosismo funzionale all’espressività - una delle caratteristiche più evidenti di Igor Levit - che sfocia in quella trionfale epifania di idee musicali e sonorità che è l’Allegro molto dell’ultimo movimento, laddove a dominare è l’impeto eroico del pianoforte.
Al termine, malgrado il contrappunto continuo - soprattutto durante l’esecuzione della Fantasia cromatica e Fuga di Bach! - di roboanti accessi di tosse stereofonicamente distribuiti in sala, di interminabili e molesti scartocciamenti di caramelle, successo calorosissimo e convinto da parte del pubblico del San Carlo (non folto, in verità, come avrebbe merita il concerto) e un encore all’insegna di Beethoven: dalla Sonata n. 8 in do minore, op. 13 Patetica, Igor Levit regala una composta esecuzione del celebre secondo movimento Adagio cantabile.
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