La poesia del violoncello
di Luigi Raso
Il violoncellista Truls Mørk offre un'interpretazione d'altissima caratura del concerto di Šostakovič in perfetta sintonia con l'orchestra del San Carlo diretta da Costantinos Carydis.
NAPOLI, 22 marzo 2025 - Dedicato al mitico musicista russo naturalizzato statunitense Mstislav Rostropovič il Concerto per violoncello e orchestra n. 1 in mi bemolle minore, op. 107 di Dmitrij Šostakovič (eseguito in prima assoluta nell’allora Leningrado, il 4 ottobre 1959, affidato alle cure di Rostropovič, di Evgenij Mravinski e della Filarmonica di Leningrado... scusate se è poco!) sembra essere tagliato sulle corde espressive e tecniche del dedicatario: strutturato in quattro movimenti, (dopo il primo, il più ampio, i tre successivi si susseguono senza soluzione di continuità) è un brano imperniato sul virtuosismo espressivo e tecnico dello strumento, sul dialogo fitto tra strumento solista e orchestra.
E stasera al San Carlo c’è un solista che a si dimostra ben all’altezza del compito affidatogli: Truls Mørk è impeccabile tecnicamente, in possesso di un suono opulento, dal bellissimo colore, caldo e di velluto, e, soprattutto, denota un acume interpretativo intensissimo che gli consente di passare tra i diversi stati d’animo dei quattro movimenti con un’aderenza emotiva e tecnica sbalorditiva.
Tanto netto e preciso è l’incipit che espone il cosiddetto tema DSCH (un crittogramma musicale che, adoperando la notazione tedesca, rappresenta le iniziali del compositore secondo la traslitterazione Dmitri Schostakowitsch), quanto siderale e astratto è il successivo Moderato del secondo movimento: qui Truls Mørk cava dal suo violoncello un suono di stupefacente bellezza, ricco di armonici, tornitissimo; la cavata del suo arco si fa via via più intensa, il dialogo tra strumento solista e orchestra sempre più incandescente, evaporando allorquando interviena la meravigliosa e straniante celesta di Umberto Cipolla.
La Cadenza del terzo movimento è per Mørk un'ulteriore conferma delle sue doti di virtuoso e di interprete analitico e profondo: impressiona sia per la bellezza del suono – ma questa, come detto, è una costante dell’interno concerto e soprattutto del successivo encore – sia soprattutto per la raffinatezza e la varietà del fraseggio.
Dopo il lungo soliloquio della Cadenza, nel finale – Allegro con moto, in forma di Rondò – Truls Mørk e l’Orchestra del San Carlo diretta dall’ateniese Constantinos Carydis danno vita a una coinvolgente danza dai tratti luciferini (emblematici sono gli interventi del precisissimo ottavino di Francesco Camuglia) e dionisiaci che accompagnano il Concerto verso una conclusione all’insegna dello slancio vitale e della gioia.
All’ottima riuscita del Concerto di Šostakovič, oltre alla encomiabile prova di Truls Mørk, contribuisce in modo determinante l’Orchestra: precisa, attenta, compatta, ben rodata nell’intenso dialogo tra le famiglie strumentali e, soprattutto, perfetta nel creare, per la rarefazione delle dinamiche, una tappeto sonoro sul quale far adagiare l’intesa melopea del violoncello del Moderato del secondo movimento.
Constantinos Carydis, al suo debutto al San Carlo, ha il merito di trovare il giusto punto di equilibrio tra solista e orchestra e di gestire, in sintonia con Mørk, le dinamiche e i tempi più appropriati.
Per il violoncellista è un trionfo: applausi prolungati, calorosi e fragorosi, e richieste di bis che vengono esaudite con il meraviglioso e mesto El cant dels ocells, un canto natalizio catalano di medievale trascritto da Pablo Casals per lo strumento solo: l’errare della melodia, in poco più di tre minuti, ipnotizzano la sala del San Carlo. Truls Mørk è senz'altro un artista da seguire con estrema attenzione e interesse.
Dallo slancio gioioso che chiude il Concerto di Dmitrij Šostakovič si vira,in un viaggio nel passato di oltre cento anni, al giubilo - sarà questo il trait d’union dei due brani del programma? - che innerva ogni piega della Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore “Renana” op. 97 (composta nel 1850 ed eseguitala prima volta l’anno successivo) di Robert Schumann.
Ritroviamo l’Orchestra del San Carlo in buona forma, dal bel suono, finalmente valorizzato dalla camera acustica posta sul palcoscenico (dovrebbe essere adoperata in occasione di tutti i concerti sinfonici, anche per supplire alla sonorità secca del teatro), nel complesso precisa, benché si ascolti qualche menda nel primo movimento Lebhaft (Vivace).
L’attacco della Renana, così come dell’intero primo movimento, è tra i più insidiosi dell’intero repertorio sinfonico: il direttore Carydis se la cava discretamente, ma poi lascia prendere un po’ troppo il sopravvento ai timpani sull’intera orchestra.
Scoppiettante e spedito è il successivo Scherzo. Sehr massig, del cui Ländler Carydis, però, accentua il tono marziale.
Nicht schnell (Non veloce), un Lied di estrema grazia, è giocato su dinamiche leggere, in netto contrasto con quanto ascoltato in precedenza e con quanto si ascolterà in seguito.
Con Feierlich, il quarto movimento, Robert Schumann volle evocare la solennità del duomo di Colonia: Carydis e l’orchestra del San Carlo restituiscono l’immagine pulita delle austere campate della tarsia polifonica e religiosa che prepara al ritorno dello scoppiettante Lebhaft (Vivace) finale, in netto contrasto con il rigore del Feierlich precedente: Carydis si lancia nella danza vorticosa, accentuando anche qui l’apporto sonoro dei timpani, che troppo risultano sovradimensionati nel volume rispetto all’orchestra incrinando l’equilibrio tra le sezioni.
Alla fine resta il ricordo di una decorosa e vivida esecuzione della Renana, testimoniato da applausi convinti e prolungati per l’intera orchestra, le sue prime parti e il direttore greco Constantinos Carydis.
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