Anima, arte e tecnica
Un auditorium affollato decreta un trionfale successo al violinista tedescoAugustin Hadelich interprete del Concerto di Čajkovskij, apprezzando nella seconda parte la rara e impegnativa Sinfonia n. 2 di Elgar con la direzione di Robert Treviño.
TORINO, 21 marzo 2025 - Dopo la grandiosa Quarta Sinfonia di Šostakovič eseguita la scorsa settimana, Robert Treviño, per il suo ritorno primaverile sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, si cimenta in un'altra composizione di raro ascolto quale la Sinfonia n. 2 di Edward Elgar, non prima di aver concesso il sacrosanto guiderdone a un pubblico che, se da un lato è aperto alle novità, dall'altro ama inevitabilmente i pezzi di forte richiamo.
Cosa c'è di meglio allora del Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35 di Pëtr Il'ičČajkovskij per riempire una platea quasi al colmo della capienza, come nella stagione è finora accaduto poche volte? Il merito, oltre che del brano in programma, è anche del debutto all'auditorium Toscanini del solista Augustin Hadelich, quarantunenne tedesco di famiglia, toscano di nascita, cosmopolita di formazione, la cui carriera, ora densa di appuntamenti nelle principali sale da concerto mondiali, rifugge dal classico copione del prodigio precoce ma appare piuttosto graduale maturazione e conquista di un'espressione personale. Fianco a fianco sulle poltrone disegnate da Carlo Mollino, ecco allora madri e figlie, nonni e nipoti, coppie di ogni età tra cui alcuni orchestrali con compagne al seguito, destinati a rimpolpare nella seconda parte il robusto organico richiesto da Elgar ma lasciati liberi di godersi l'inizio della serata ascoltando i colleghi all'opera.
Hadelich, di cui si dice un gran bene e che un certo numero di commenti in rete non esita a definire tra i migliori violinisti al mondo, non delude le attese, con un'esecuzione tecnicamente impeccabile della pagina. Se si dovesse definire con una sola parola lo stile di questo musicista, avremmo pochi dubbi: efficace. Non è forse un termine di per sé molto affascinante ma rende bene la capacità di trovare il giusto colore da attribuire a ogni battuta, a ogni arcata, a ogni frase del variegato discorso cajkovskiano. Da una tale visione la portata del concerto non può che uscirne potenziata, a partire dall'intonazione lievemente graffiante dell'esordio nell'Allegro moderato iniziale, che ci introduce in modo inequivocabile ed esatto in quella tipica atmosfera russa che, in misura più o meno evidente, percorre da capo a fondo il lavoro e che, lungi dall'apparire il difetto deprecato da Hanslick alla prima viennese del 1881, risalta oggi in veste di indubbio pregio. Troppe volte, da altri interpreti, questo mood viene riservato solo all'ultimo movimento finendo invece per essere messo in ombra, nel resto dell'opera, da una cantabilità levigata, magari luminosa, ma assai meno capace di toccare l'anima. Da tal punto di vista Hadelich non si nega, alternando uno straordinario spessore di suono, merito anche del suo ruggente Guarneri del 1744, già appartenuto a Henryk Szeryng, con una precisione e lucidità nel fraseggio che si pongono a punto di riferimento assoluto nel panorama violinistico internazionale. Non difetta, nel suo bagaglio, un virtuosismo di natura trascendentale, evidente senza dubbio nel finale che lo porta a superare con vigore ed eleganza, sempre accompagnate ad un articolazione di estrema chiarezza pure nelle scale più rapinose, nei picchettati più arditi, le insidie di un movimento dove nemmeno il minimo inciso viene tralasciato senza essere funzionale all'insieme.
Treviño, da par suo, appare in forte sintonia con il solista, instaurando un dialogo che non esclude la cura del dettaglio di singoli incisi di particolare riuscita: su tutti emergono le riprese del secondo tema cantabile nel primo e terzo movimento prima della coda, così come il ritorno dell'idea principale della 'Canzonetta', quando alle volute del violino si sovrappone il timbro dei legni, in una di quelle serate in cui qualsiasi nota esca dagli strumenti (la coppia di clarinetti in primis) diventa una piccola gemma preziosa.
Il trionfo al termine non può che essere totale, con le ovazioni dell'intera sala messe a tacere solamente dalla volontà di Hadelich di ritirarsi dopo una mezza dozzina di chiamate in scena, rese ancora più fragorose da un'intensa trascrizione di 'Por una cabeza' di Carlos Gardel proposta come bis.
Assente dalla programmazione Rai dal lontano 1957 la Sinfonia n. 2 in mi bemolle maggiore op. 63 (1911) di Sir Edward Elgar è un pezzo di grande ambizione, dimostrato dalla dedica nientemeno che alla memoria di Sua Maestà Edoardo VII scomparso l'anno precedente. Più ampia della prima sinfonia, non esente da una certa retorica e prolissità mai tuttavia disgiunte da una sincerità di eloquio quasi commovente che la avvolgono di un fascino 'vecchia Inghilterra', la seconda può vantare aperture melodiche di notevole ispirazione (il secondo tema del primo movimento oppure il motivo conduttore del finale per non fare che un paio di esempi), tra le migliori uscite dalla penna del compositore. Il fatto è che Elgar vuole dire tante cose e vuole dirle tutte insieme, e di conseguenza il clima espressivo è sempre molto denso, pur supportato da una conoscenza e da una tecnica orchestrale di alto livello. Ciò non impedisce alcune bizzarrie, croce e delizia dello charme eclettico dell'autore, come quando, nel bel mezzo dello sviluppo del muscoloso 'Allegro vivace e nobilmente', si fa strada una citazione passeggera del tema principale del Concerto per violoncello di Dvořák, senza riallacciarsi a nessun appiglio melodico o armonico apparso in precedenza. Al di là degli elaborati movimenti estremi, influenzati da una tangibile 'ansia da prestazione' nei confronti dei modelli del sinfonismo germanico, i tempi migliori sono quelli centrali, con il linguaggio che diventa più libero e meno incasellato dall'osservanza di schemi formali. Il Larghetto, dolente e consolatore insieme, dove l'omaggio in musica al defunto sovrano giustifica la dedica, è una pagina magistrale, coinvolgente e di forte impatto emotivo, parente prossima del Nimrod delle Enigma Variations,ed entra di diritto a far parte di quel ristretto novero di pezzi che, a ragion veduta, hanno ammesso Elgar nel selettivo club degli immortali.
Robert Treviño dimostra di credere a fondo in questo repertorio mediante una direzione sanguigna e generosa, accurata e attenta ad amalgamare al meglio le diverse sezioni strumentali, senza scollamenti nel suono e sfasamenti agogici, vera sfida per una bacchetta che voglia cimentarsi con la sinfonia. Le risorse dell'Orchestra Sinfonica Nazionale sono spremute a fondo, arrivando a punte di vero virtuosismo nel brillante terzo movimento, uno scherzo dal curioso titolo di 'Rondo. Si ama ciò che si conosce, e il fatto di proporre dal vivo musiche di non frequente esecuzione non può che condurre ad apprezzarle maggiormente anche da parte di quel pubblico che non andrebbe altrimenti a cercarne le registrazioni in disco oppure online.
Ampio successo per un direttore che sta conquistando, di serata in serata, l'esigente platea subalpina.
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