L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mozart e Strauss

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ospita l’americano Robert Treviño, che dirige un concerto bipartito: nel primo tempo, due opere di Wolfgang Amadeus Mozart, l’ouverture da Die Zauberflöte (K. 620) e il Concerto n. 23 in la maggiore per pianoforte e orchestra K. 488, eseguito da Javier Perianes (al suo debutto a Santa Cecilia); nel secondo, la monumentale (eppure intimistica) Symphonia domestica di Richard Strauss.

ROMA, 7 marzo 2025 – Mozart e Strauss sono due autori che stanno decisamente bene assieme in un programma da concerto e Robert Treviño, al suo ritorno sul podio della più prestigiosa orchestra italiana, vuole conquistare il pubblico con due titoli decisamente noti e rispolverare un capolavoro da troppo tempo dimenticato nei cartelloni dell’Accademia.

Il primo tempo, tutto dedicato a Wolfgang Amadeus Mozart, si apre con una buona esecuzione dell’ouverture da Die Zauberflöte. Treviño mostra una direzione pulita, ben lavorata;buona la cura con cui il direttore stacca dall’adagio all’allegro, di cui si apprezzano i rapidi passaggi degli archi; in generale, se il volume sonoro di molti strumenti suggerisce un’attenzione filologica alla ricerca di sonorità più morbide e argentine, Treviño non si lascia sfuggire l’occasione di lasciare che gli ottoni suonino militarmente imperiosi. Non si può certo parlare di un’esecuzione indimenticabile, anzi, però il direttore fa il suo e l’orchestra esegue in maniera impeccabile. Javier Perianes si presenta sul palco e si attacca il Concerto n. 23. L’incipit dell’allegro (I) è magistrale per qualità sonora: il lavoro che Treviño fa con i volumi delle compagini, in verità durante tutto il concerto, è ammirevole. Perianes possiede un pianismo cantabile, dolcissimo per morbidezza di tocco e sgranatura del suono. Non è un pianista pretestuoso, Perianes, ma uno che bada ad un fraseggio di naturalezza antica, incredibilmente delicato. Il virtuosismo, quindi, risulta quasi pudico, ma arriva lo stesso. Tutto il movimento si lascia apprezzare, soprattutto, per l’argentina cantabilità dei passaggi pianistici, resi di ampio respiro dal dialogo con l’orchestra. Perianes apre l’Adagio (II) con una sublime enunciazione del tema principale del pianoforte: l’interprete è maestro di colori, rallenta, ‘ruba’, impercettibilmente, sottolineando il senso di malinconia della melodia. La concertazione di Treviño è larga, giacché il direttore lascia cantare l’orchestra, accentuando proprio tale senso di malinconia. Il movimento finale (III) è un tripudio di brillantezza, con Perianes che articola i temi librandosi sui tasi del pianoforte come una libellula: il volume è contenuto, la pulizia, coniugata alla velocità, rendono la performance piacevolissima – il tutto su un’agogica gagliarda, ma non sforzata. Anche nei momenti di più spedito virtuosismo, Perianes rimane fedele ad un’idea di tersa pulizia sonora, increspata solo da qualche abbellimento più energico. Dopo gli applausi, il pianista si congeda con una soffusa Mazurka (op. 17 n. 4) di Chopin.

Nel secondo tempo Treviño ci mostra, in maniera più approfondita, di cosa è capace come direttore. Il banco di prova è la Symphonia domestica di Richard Strauss, che l’americano ha il merito di riportare nei programmi dell’Accademia, dai quali era assente dal 1978. Ed è un peccato sia mancata per così tanto tempo, giacché la Symphonia domestica, fra i suoi meriti, ha quello di tenere l’ascoltatore incollato al brano, senza un attimo di pausa, per tutta la sua durata. Treviño affronta una partitura irta di temi, effetti e sezioni di carattere, persino ethos assai differente fra loro. L’agogica, di conseguenza, si fa più decisa: l’americano gioca con gli effetti di una partitura proteiforme, cesellando le varie parti e riuscendo a coglierne il carattere, il colore particolare, persino nei passaggi più sfumati. Treviño modula le varie sezioni con un certo qual gusto bozzettistico: esempi ne sono il vivace Scherzo, ma pure la barcarola che funge da ninna-nanna e il tema amoroso, dallo sviluppo mahleriano e dall’intensità wagneriana (stupendo il momento di massima acme del pezzo, soprattutto per il profluvio sonoro generato dall’orchestra). Il direttore, in fin dei conti, scontorna bene due aspetti essenziali di questo capolavoro straussiano: il bozzetto miniaturistico e il momento vertiginoso, verticale, in cui l’orchestra genera la sua più grandiosa potenza. Alla fine, il pubblico applaude calorosamente, ben più di quanto aveva fatto nel primo tempo.

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